storia e memoria barbero

Storia e Memoria

osservazioni sulle parole di Alessandro Barbero

Seguo con molto interesse le lezioni di Alessandro Barbero.
Il professore di storia ha talento nella comunicazione, nell’uso del linguaggio, nella modulazione della voce, conosce i ritmi dell’azione drammatica; questi doni gli consentono di coinvolgere emotivamente il pubblico trasportandolo nelle sue lezioni come irretito in una realtà virtuale.

Si può a buon titolo definire il prof. Barbero un vero anchorman della divulgazione storiografica. Pur non conoscendolo di persona provo per lui molta stima ed affetto.

Per questi motivi ho deciso di scrivere alcune mie riflessioni su una breve lezione di circa un’ora, una in particolare che si discosta nettamente da tutte le altre. Mi riferisco a quella sul rapporto tra storia e memoria, visibile qui:

Ed in forma ridotta qui:

Trovo questa lezione forzata, preparata strumentalmente per la ricorrenza ufficiale del “Giorno del Ricordo”, da spendere nell’imminenza della stessa data. Il professore infatti non parla con scioltezza, arranca e s’interrompe spesso, perdendo il filo logico di un’argomentazione non lineare. 

Il ruolo delle istituzioni

Barbero equivoca scientemente nel voler assegnare alle istituzioni che hanno promosso le giornate di dedica un ruolo che non si sono mai assunte: insegnare storia.
Le istituzioni politiche si occupano del presente. Semmai esse scrivono la storia contemporanea. Le democrazie moderne hanno assunto un compito che avrà conseguenze proprio su quello che sarà STORIA in futuro: ridurre i conflitti. È questo e nessun altro, il senso della creazione delle giornate di dedica. La democrazia moderna è, come ben dice Barbero, una cosa diversa dall’antica. Essa opera per delega e quindi deve avere dei compiti ampi, ecumenici. Qui si assume a pieno titolo il diritto ed il dovere d’impedire l’oblio. Null’altro.
Chi governa non può, per ovvi motivi, entrare nel merito della sintonia fine dei fatti perché non è suo compito e solleverebbe giuste ed aspre critiche dal mondo accademico cui appartiene Barbero. 

Le istituzioni politiche devono favorire ed incoraggiare il progresso socio-culturale delle masse, devono quindi offrire occasioni di riflessione e di confronto generalizzato che procedano sulla via del civismo. Ciò perché oltre alle ideologie di singoli partiti e regimi di governo, esistono principi fondamentali irrinunciabili, oggettivi.  In questo ambito le ideologie e i regimi devono cessare. Putroppo qui Barbero dimostra di voler insistere sul lato delle ideologie con la scusa della “ricerca della verità”.

Verità e fatti

Egli, facendo riferimento ai nostalgici convinti che si voglia riequilibrare l’attuale comune giudizio sui fatti, non rende giustizia ma danneggia gravemente il principio fondante delle giornate di dedica così come sopra descritto; e lo fa consapevolmente perché è uomo colto.
Egli si avventura in un’argomentazione piuttosto ambigua e fa fatica: perché non è nella sua indole.
Dice: “la memoria non è la storia”.

Barbero dichiara che la storia intende ricostruire la verità. Quale?
Lo storico si deve rifare ai documenti che sono il frutto della memoria di qualcun’altro, nella loro numerosità si svelerebbe la verità oggettiva.

Ebbene se è così significa che anche la memoria di un singolo testimone deve aver valore nella ricostruzione dello storico e che tante singole memorie lo avranno più di una sola. Tuttavia, se di un fatto vi fu un solo testimone, della memoria e della storia di esso vi sarà un’unica versione. Non un’unica verità, non la verità.
Ciò significa che memoria e storia non sono due aspetti contrastanti, come invece vuole qui mostrare Barbero ma due ingredienti indispensabili per la ricostruzione storica dei fatti e non della verità dei fatti.

Ciò perché ogni testimone di un fatto ha una sua personale memoria dello stesso e quindi la verità non sarà mai compiuta. Sarà invece compiuta la più fedele ricostruzione dei fatti quando, delle differenti memorie, non sia stato escluso nulla. Impossibile ricostruire la verità, possibile ricostruire i fatti. Questo sarebbe per me il ritrovato equilibrio nelle argomentazioni di Barbero ma in tal senso verrebbe meno tutto il suo ragionamento.

Lo storico è scienziato

La posizione dello storico non dovrebbe essere FORMALMENTE ma SOSTANZIALMENTE super partes e qui invece temo non sia il caso. Pare che per il professore vi siano delle memorie minori, quelle della parte italiana che fu fascista e poi sconfitta.
Per il professore il giusto ed il buono, la verità rivelata dei valori del vincente sistema di potere, escluso qualche eccidio, fu dalla parte degli alleati, qui da intendersi gli slavi comunisti. La sua dissertazione scade nel benaltrismo quando sostiene che in fondo si moriva in tutto il mondo: nei campi di battaglia, nelle città e nei campi di sterminio. Fino ad un sostanziale “se la sono cercata” quando cita l’odio che gli slavi nutrivano per gli italiani invasori. Eppure sappiamo tutti che i delitti delle foibe furono organizzati militarmente e non furono una più che sensata rivolta di una popolazione oppressa contro l’oppressore

Barbero, così facendo, tralascia un aspetto fondamentale del mestiere dello storico, forse emozionato dal far politica. Lo storico non dovrebbe parlare con la voce dei vincitori, assumendo come valori positivi gli esiti a loro favorevoli e come negativi gli altri. L’esercizio più arduo è proprio quello di avventurarsi in investigazioni inesplorate, in approfondimenti inediti ed è l’esercizio che Barbero fa sempre e che contribuisce ad accendere l’interesse per la sua materia. In questo caso, non lo fa. Preferisce contestare il valore delle giornate di dedica e per farlo intende svilire il valore della memoria, che è, di fatto l’unico vero accesso ai fatti storici. Pare proprio un ragionamento tautologico.

Si chieda il prof. Barbero:
cosa direbbe egli oggi se la vittoria fosse stata dei nazifascisti?
Sosterrebbe i valori di quei vincitori?
Avendo avuto la famiglia tutta ( o quasi ? ) ben inserita nella società fascista ( come egli stesso dichiara ), probabilmente potrebbe sempre fare l’insegnante. Io forse no, avendo avuto parenti impiccati perché partigiani e altri parenti fermamente anarchici. Forse insegnerebbe che il buono ed il giusto sono sempre stati dalla parte dell’Italia e della Germania.
Questo esempio per assurdo ci avverte sulla delicatezza del personale giudizio morale dello storico circa la materia che tratta. Esso è paragonabile al principio d’indeterminazione di Heisenberg, l’osservatore influenza l’esito della sua osservazione; e dove va a finire la pretesa ricerca della verità?

Il ruolo della complessità

Il professore chiama in causa la complessità per opporla all’azione semplificatrice delle giornate di dedica ma ciò è facilmente controvertibile. È proprio quell’istituzione celebrativa che deve indurci ad una riflessione più profonda. È la diversità delle molte memorie, poste finalmente in campo trasparente, aperto e neutrale che richiama l’attenzione dell’opinione pubblica e pone allo storico l’esigenza d’uscire da eventuali visioni parziali, o dal riserbo della sua professione. Questa svelata diversità ( svelata ai molti ) è quindi un valore che contribuisce ad accrescere la complessità, non a svilirla. Ecco spiegato il grande interesse per la storia!
Se Barbero suppone che nell’agire di chi volle le giornate di dedica vi sia l’intento di porre sullo stesso piano fatti distinti, squalifica rovinosamente un ottimo spunto offerto per rivolgere la storia, in tutte le sue sfumature, all’attenzione del vasto pubblico.

Barbero, durante tutto l’arco della lezione, non fa altro che confondere diversi piani per dar corpo alla propria tesi ma essa non vale la pena dello sforzo e mi stupisco di lui.

Oblio e memoria

Ancor più sono stupito quando parla della Germania nella gestione dello scomodo passato. Egli considera esempio positivo il fatto che la Germania imponga la censura di qualsiasi simbolo o riferimento al nazismo, addirittura sui francobolli storici! Lo dice compiaciuto!
Una damnatio memoriae che, se comprensibile negli anni del dopoguerra, pur non essendo comprensibile il perché, invece, molte cariche dirigenziali pubbliche e private siano state lasciate in mano ad ex nazisti e a ex SS fin dagli anni ’50, è ridicola nella contemporaneità in cui le immagini, le notizie, le informazioni e le fandonie, circolano ovunque senza alcuna revisione ed io aggiungo: per fortuna!!

La Vita è Bella

Il prof. Barbero infine fa un esempio alquanto sfortunato. Cita il film “La Vita è Bella” di Roberto Benigni per esemplificare una pretesa forma di rilettura della storia al fine di renderla più gradevole al pubblico, una edulclorazione dei fatti che oggi sarebbe attuata da artisti, registi, politici, in genere.
Barbero fa notare che la liberazione del campo di concentramento sia attuata dagli americani ma che il campo di concentramento di Auschwitz fu liberato dai russi.
Ebbene dal film di Benigni non si evince in nessun fotogramma o dialogo che il campo di concentramento in cui viene portato il protagonista assieme al figlio sia quello di Auschwitz. Nessun indizio ci porta a fare questa conclusione, anzi, si rileva che le scenografie del campo sono inserite in un contesto di montagna e non nelle pianure della Polonia, nessuna frase sulla “libertà che proviene dal lavoro” appare all’ingresso del campo, mai il nome del campo viene citato.
Appare proprio una forzatura che Barbero ha voluto inserire nella sua lezione al solo scopo di dare forza alla sua debole tesi. Infatti molti campi di concentramento furono liberati anche dagli americani come: Buchenwald, Dora-Mittelbau, Flossenburg, Dachau e Mauthausen.

Conclusioni

Pare proprio che la società in cui vive Barbero sia composta da individui inetti, universalmente incapaci di comprendere la differenza tra il bene ed il male, nelle condizioni di ricevere costantemente un sussidio morale circa ciò che sia più adatto e confacente. Una società verso la quale non riporre alcuna fiducia ma per la quale comunque ci si debba paternalisticamente spendere in azioni di sussiego umanitario onde elevarla.

Questa società siffatta sarebbe invero luogo di estremo pericolo, sotto la spada di Damocle dell’imminente dittatura autocratica, della quale le masse così squalificate sarebbero entusiaste sostenitrici. In realtà essa è sì una società fragile, ma non da perniciosa natura bensì per la sua più sostanziale consistenza democratica, che incoraggia l’espressione delle individualità e delle comunità di pensiero e azione più disparate, consentendo ogni espressione, magari anche controversa, nei confini di principi fondamentali irrinunciabili ed oggettivi.


coraggio libertà ideali

Coraggio, libertà, ideali

In Italia è fortissima la faziosità politica. Tuttavia qualsiasi movimento o partito politico o gruppo associato per degli ideali positivi dovrebbe essere fieramente schierato contro: la corruzione, la rapina, la truffa, la mafia, la camorra, la n’drangheta… In una parola: la malavita.

Questi dovrebbero essere valori assolutamente condivisi da quei gruppi che intendono realizzare un programma politico. I rischi del mondo contemporaneo infatti, sono tutti innescati nelle organizzazioni criminali. Esse possono pervadere le istituzioni e i centri di potere, determinando danni incalcolabili ai beni della collettività, alla salute, all’amministrazione della giustizia, alla sicurezza, fino a distruggere le basi fondanti il sistema democratico causando quindi la morte del diritto.

coraggio libertà ideali

Mi riferisco ai gruppi appartenenti a vari schieramenti di ciò che ancora oggi definiamo destra e sinistra, che intendono interpretarne gli aspetti più estremi. Entrambi questi macrogruppi si organizzano nei cosidetti “centri sociali”, in locali al coperto ottenuti per vie lecite o illecite. Tuttavia le modalità sono spesso illecite e prendono la forma della “occupazione”. Occupazione: termine gergale ereditato dai tempi della contestazione, ancora caro ai nostalgici di quel momento breve ma significativo, che intende giustificare la necessità dell’atto illecito per il fine più alto della realizzazione dell’ideologia fondante.

coraggio libertà ideali

Il ruolo che hanno questi “centri sociali” è quello di riunire in un contesto d’omogeneità ideologica gli abitanti d’una zona del territorio e, quindi, di diffondere appunto quelle ideologie fondanti affinché si radichino in esso. In particolare le modalità assumono la forma della creazione di momenti d’aggregazione condivisione e strutturazione d’idee valori intenzioni obiettivi; tale modalità d’azione arriva ad essere molto pervasiva fino alla fornitura di servizi d’assistenza alle persone più deboli.

In particolare questi gruppi riscontrano successo nella parte più giovane e fragile della popolazione, che cerca in essi la possibilità di dare forma alla propria identità e scala di valori con la forza dell’appartenenza e della polemica. O addirittura cerca in essi un’opportunità per crescere in qualità di leader ideologico-politico.

coraggio libertà ideali

Tuttavia quali responsabilità s’assumono questi centri d’aggregazione e di diffusione d’idee ed ideologie?
Su quali basi sono creati e sostenuti questi luoghi in cui una parte della popolazione ed in particolare la più giovane, trovano riparo?

Pare che nella polarizzazione delle due parti, oggi ancora basata su un’improbabile lotta di classe, non vi sia spazio per alcun valore comune. Questo è fortemente sospetto, perché ormai quasi due secoli di progresso socio-politico dovrebbero aver smussato certe spigolature.

Ecco che qui si pone il problema della malavita, intesa come l’insieme delle molteplici e fantasiose vie che gli uomini hanno scelto per rendersi la vita un inferno. Come ben dice anche l’etimo della parola “mala-vita”.

Nella complessità contemporanea l’esistenza di luoghi d’aggregazione pubblica con fini politico-sociali in cui si stabilisca che, per il fine ideologico, sia necessario violare le leggi, è devastante. 

coraggio libertà ideali

I risultati sono facilmente verificabili nei fatti. Queste realtà non agiscono per mettere al margine i comportamenti illeciti e la violazione delle leggi scritte e non scritte della civile convivenza e dei principi fondamentali che regolano i rapporti tra le persone.

Essi pongono alla base del loro operato la faziosità, la violenza ostentata e praticata, tra loro e, ancor peggio, contro le istituzioni e chi è chiamato a mantenere l’ordine.

Alcuni potranno affermare che, essendo le istituzioni le prime a non rispettare leggi o principi, questi gruppi siano moralmente autorizzati ad opporre a tali violazioni altre violazioni.

coraggio libertà ideali

Niente di più sbagliato e qui non si tratta di teorizzare un principio pacifista o non-violento. Si tratta di logica e coerenza cognitiva. Un concetto che dovrebbe essere alla base delle società civili.

La mia personale esperienza con appartenenti a questi gruppi è sempre stata negativa e fonte di preoccupata riflessione. Costoro non prediligono il dialogo ma l’azione violenta. I loro spazi di ritrovo sono nettamente caratterizzati da simbologie esclusive, loghi di potere antico e moderno, schiaccianti simbologie che referenziano logiche d’appartenenza incondizionata. Le similitudini si possono fare solamente con le affiliazioni ai clan delle organizzazioni criminali.

In questi contesti non crescono le idee ma si costituiscono consensi attorno ad uno o più capi. L’obiettivo non è più ideale ma è quello di conservare l’equilibrio di potere. Divengono comitati d’opportunità.

coraggio libertà ideali

Un grave esempio pratico di ciò è osservabile oggi nella realtà della periferia di Roma. Come mai questi gruppi non si sono universalmente e trasversalmente coalizzati contro la dilagante oppressione mafiosa?

Come mai anche in altre realtà nazionali ( Campania, Sicilia, Calabria ) non è stata intrapresa questa concreta azione per contrastare sul nascere i fenomeni di criminalità organizzata?

Eppure questi gruppi sono radicati nei territori, ne respirano intimamente i drammi. Avrebbero tutti gli strumenti per scardinare, non le azioni criminali in sé ma la subcultura criminale e quella maglia fitta di paura omertà connivenza opportunità indifferenza che irretisce e sottomette, rendendo consapevolmente o meno complici e trasformando quartieri, sobborghi, frazioni, comuni, in cittadelle della malversazione.

Il servizio che i “centri sociali” potrebbero offrire sarebbe molto prezioso e formativo; oltre che imporre ad essi di scendere dal piedistallo delle ideologie astratte e d’emanciparsi da facili strumentalizzazioni, riuscendo a trovare un terreno comune d’azione per rendere migliore la vita quotidiana.

Ora io non sono a conoscenza di ogni realtà dei “centri sociali” e presumo che qualcuno si sia posta la mia stessa domanda e magari agisca proprio in quella direzione.

Quello che verifico è questa generale mancanza d’unitarietà di principio. Non comprendo questa faziosità che sostanzialmente mi pare volta più a distrarre e a dividere che a concentrare positivamente le forze del nostro paese.