eremita confuta settis

il dr. Eremita confuta il sermone del prof. Settis

Giovedì 29 Novembre 2012 alle ore 20.00 presso l’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, con la collaborazione del Centro Tedesco di Studi Veneziani, si tiene un incontro pubblico del prof. Salvatore Settis avente titolo “Se Venezia muore.”; nell’ambito di un convegno organizzato in occasione del centenario dell’opera di Thomas Mann “La Morte a Venezia”.

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Per mera curiosità personale mi reco all’incontro. L’aula è completamente piena di gente. Proprio nel momento in cui il prof. Salvatore Settis è in procinto di prendere la parola scattano le sirene che avvisano dell’imminenza di un’alluvione. Il pubblico accoglie subito con brontolii e disapprovazione l’intimidatorio segnale sonoro. Settis prende quindi la parola e fa una battuta proprio sulla questione delle alluvioni per inquadrarle in un contesto di decadenza ed abbandono della città; ma poco dopo, con la medesima asprezza, egli si scaglierà contro le opere del M.O.S.E..

Il professore, quindi, inizia a leggere un suo manoscritto. Comprendo subito che si tratta di un sermone.
Un sermone all’antica basato sulla forma retorica dell’invettiva. Un sermone di quelli dei vecchi che sempre l’hanno a morte con i giovani ai quali vorrebbero negare ogni diritto, negare ogni possibilità, anche quella di sbagliare.

Cosa dice allora il prof. Settis?
Tante cose condivisibili. L’Italia è troppo cementificata: vero. Si costruiscono metropoli sempre più grandi e verticali: vero. Questi enormi complessi urbani non sono a misura d’uomo: vero. Si consumano sempre più risorse e s’inquina l’ambiente: vero.

Quindi egli entra più nello specifico e parla di Venezia.
Attacca la questione delle Grandi Navi reprimendo l’ignobile usanza di farle “inchinare” davanti a Piazza San Marco, luogo sacro ai Veneziani e alla storia.
Attacca il M.O.S.E., giudicandolo un’opera inutile e foriera di enormi spese pubbliche e dello stravolgimento della Laguna di Venezia.
Attacca il Ponte di Calatrava e quell’alberghetto insulso che si ergerà presto al suo fianco.
Attacca le scale mobili arancioni dell’Archistar di turno che metterà le mani sul Fondaco dei Tedeschi.
Attacca quella spaventosa idea della Sublagunare.
Attacca Veneto City.
Infine attacca Palais Lumière.

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Molte cose sono condivisibili ma; c’è un ma, signori. Pare infatti che tutta la manfrina sia innescata per il semplice scopo d’impedire la costruzione di Palais Lumière. Pare infatti che tutte le altre “opere” siano ormai decadute in una realtà fatalista alla quale nulla può essere opposto. Pare infine che tutto il male si concentri attorno al Palazzo di Cardin.
E perché?
Forse perché Cardin non è dotato della protezione politica dei Benetton o dei Coin o dei De Marchi o dei Mossetto?

Il prof. Settis si rivolge alla pancia della gente; evita ragionamenti troppo complicati e si fa forza con la storia e con immagini apparentemente antitetiche, per esacerbare gli animi del pubblico meno preparato e più disposto ad un’irrazionale indignazione. Esaminiamo meglio le sue tesi.

Prima tesi: egli, prima si scaglia contro la nostra civiltà moderna che costruisce metropoli sempre più grandi e disumane poi egli idealizza e cristallizza un passato in cui ogni cosa era a misura d’uomo, un passato idilliaco nel quale l’uomo era in armonia con la natura…
Credo che questa lettura sia antistorica. Ritengo infatti che l’umanità non sia assolutamente cambiata dai tempi della Serenissima ad oggi. I cambiamenti sono stati altri. Sono cambiate le risorse energetiche e i mezzi tecnologici. Settis porta ad esempio un confronto di una città Cinese con Venezia per voler dimostrare che la città orientale è un pessimo esempio di civiltà fondata sulla sopraffazione e l’alienazione delle masse, mentre Venezia è un esempio positivo di città a misura d’uomo. Le cose semplicemente non stanno così.

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La differenza tra Venezia e una metropoli moderna è solamente nelle fonti energetiche e nella tecnologia. Qui riporto la città di Shangai e di seguito la città di Venezia. Ebbene, ai tempi della Serenissima esisteva la trazione animale, quella a braccia e a vento. Il legno e il carbone erano i combustibili a disposizione.

Gli elementi costruttivi erano il legno, la calce, i mattoni, la pietra, un poco di ferro e il piombo. Tutto era sorretto dalle braccia umane. Venezia, per l’epoca, era la Shangai di oggi: una metropoli popolatissima con tutti i problemi che questo comporta. Gli scarichi erano incontrollati. Reflui maleodoranti scorrevano nelle calli e nei canali. Accattoni, malati e infermi di mente popolavano la pubblica via; quotidiane erano le manifestazioni di violenza e malversazione. Ovunque pullulava la prostituzione e girare per le calli di notte significava rischiare la vita. Poca o nessuna era l’assistenza sanitaria, per i limiti insuperabili della scienza medica del tempo.

Inoltre, per costruire Venezia furono usati un’innumerevole quantità di alberi che furono sottratti ai boschi Veneti e Slavi; mentre milioni di tonnellate di pietra d’istria giunsero dalle coste Croate.

Settis vive da Professore e non comprende il senso reale della storia ma solamente quella asettica e purificata delle storiografie agiografiche che cedono alla seducente idea di ignorare le sofferenze quotidiane dei popoli per concentrarsi sui cosidetti “grandi fatti”.

Ebbene Shangai oggi offre all’uomo la medesima prospettiva che offriva Venezia, solamente in scala esponenziale; ma in proporzione alle risorse energetiche e tecnologiche in gioco. Certo, essa schiaccia l’uomo ben più di quello che fece Venezia; ma la città lagunare, con la sua magnificenza aveva allora il medesimo scopo che oggi hanno i grattacieli: dopo la praticità e l’efficienza; intimidire e mettere in soggezione il visitatore; rappresentare la forza ed il potere della classe dirigente, inorgoglire il popolo e tenerlo stretto sotto l’ala protettrice della classe dominante.

Shangai è costruita con risorse più efficienti: il petrolio, l’elettricità, con le tecnologie moderne dell’acciaio del cemento del lavoro industrializzato e seriale. Venezia è un frattale di Shangai o di qualsiasi altra metropoli del nostro tempo. Le visioni di Settis sono sensibili ad un’immaginazione new age ma hanno poco a che fare con la realtà.

Tant’è che il nostro Professore si avventura anche nella citazione dei Futuristi, strumentalizzando le loro provocazioni a favore della sua tesi.
Egli infatti cita gli artisti del progresso come fossero stati uomini d’affari o speculatori pronti ad asfaltare il Canal Grande e a costruire ponti di ferro su Venezia… Ridicolo!!

I Futuristi lanciavano le loro provocazioni per smuovere l’ambiente dell’arte e della cultura accademica italiana, incartapecorito e ancora legato all’estetica neoclassica. Non fa certo cultura chi strumentalizza addirittura l’arte in questo modo!

Seconda tesi: Salvatore Settis fa appello alla legalità ed alla residenzialità di Venezia.

A chi sono rivolti questi messaggi?

È incomprensibile… posso solamente pensare che siano lo sfogo di un vecchio veneziano. Sono tematiche ormai quotidiane nella città di Venezia che vengono appiccicate quà e là nelle esternazioni pubbliche sempre col medesimo scopo: avere il consenso della folla e dire alla folla quello che essa vuole ascoltare.

Nulla, nelle parole del Professore, ha il benché minimo riferimento ad una soluzione ad una proposta positiva ad una visione che vada oltre l’orizzonte astioso di un anziano.

Come si pone il Professore sulla questione che tutte le “opere” che egli critica con severità, richiamando grandi principi e grandi concetti astratti, sono state realizzate da una Giunta retta da un altro Professore, il Cacciari, con il quale magari il nostro intrattiene ottime disquisizioni nei salotti locali?

Siamo difronte a persone che contraddicono sé medesime?

Terza Tesi: ecco infine il fulcro di tutto questo lungo sermone, Palais Lumière.

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Interessante come tutto il grande giro di parole e di concetti, tanto alti quanto poco concreti e per nulla basati su un’analisi reale del territorio e sulle sue potenzialità economiche e di sviluppo, si voglia infine far convogliare in un attacco focalizzato sul Palais Lumière. C’è da pensare che solamente quest’ultimo sia in effetti lo scopo di questo monito: “Se Venezia muore.”

Infatti è proprio così. Passan due giorni dalla sera dell’incontro pubblico ed ecco una plateale raccolta di firme di presunti uomini di cultura, di quella che un tempo si definiva “intelligenjia”, per l’oscuramento e la censura del progetto lanciato da Pierre Cardin.

E prima??
Dove erano questi furibondi acculturati quando si vendeva il Fontego dei Tedeschi; Cà Vendramin; Cà Corner della Regina?
Eran forse seduti nei salotti buoni a discorrer di cultura?

Se vogliamo far cultura, se vogliamo rivolgerci alla cittadinanza avendone rispetto; non possiamo presentarci con l’autoreferenzialità boriosa del Professore; ma con l’empatia e l’umiltà che son l’unica vera essenza dell’uomo colto. Presentarci esponendo alla cittadinanza quale sia la realtà dei fatti che accadono ogni giorno.

Epilogo. Ebbene si sappia che la famiglia Coin acquista immobili del Comune di Venezia a prezzi oggettivamente contenuti ottenendo anche uno sconto di dieci milioni di euro su quello che sarebbe dovuto al Comune in standard pubblici.

Si sappia che i Benetton si portano via il Fontego dei Tedeschi per una cifra esigua e ci fanno dentro un centro commerciale, ottenendo anche loro simili sconti milionari sugli standard pubblici.

Si sappia che al Lido sono in atto speculazioni per la costruzione di una darsena da oltre mille posti per navi di cento metri, dopo le decine di milioni gettati in un buco pieno d’amianto.

Si sappia che il PAT pianifica l’edificazione del Quadrante di Tessera su una zona umida soggetta ad alluvioni ed anch’esso travalica quanto sarebbe sensato in termini di cubature, oltre che essere di fatto un colabrodo che consente tutto ed il contrario di tutto.

In un contesto urbano che da anni soggiace a dinamiche del genere.

In una realtà quotidiana che nulla concede al singolo privato cittadino, che nemmeno può aprire un lucernario e tutto concede al grosso investitore che è pronto a sventrare palazzi storici.

In un contesto tale, ci ritroviamo difronte a un gruppo d’intellettuali, che si scagliano contro quest’opera…
Perché?

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Cardin finanzia la costruzione del Palais Lumière con 500 milioni di euro. La Torre sorgerà a Marghera, per chi lo sapesse si tratta di una zona post-industriale fortemente contaminata ed economicamente depressa. È una zona sulla quale le Giunte Comunali di Venezia avrebbero dovuto investire per sviluppare il contesto urbano valorizzandolo; ma non lo fecero.

Le Giunte Cacciari, Costa e poi ancora Cacciari e quindi Orsoni hanno abdicato alle loro funzioni in quel territorio del Comune di Mestre, abbandonando la popolazione a sé stessa.

L’intervento di Cardin si pone non in contrasto ma in supporto alle mancanze ed alle deficienze di quelle Giunte.

Forse è per questo che il Palais Lumière è tanto temuto?

Forse perché esso mette alla berlina gli interessi speculativi di queste Giunte che hanno preferito il Quadrante di Tessera alla rinascita ed allo sviluppo di Marghera?

Questa coraggiosa scelta di Cardin, questa eredità che un grande imprenditore partito dal nulla vuol lasciare a Venezia, va accolta con entusiasmo!

Sarà il punto di partenza per un’opportunità di rinascita della città anche dalla via di terra e per la rivalutazione della gronda lagunare devastata da mezzo secolo di speculazione industriale.

Personalmente non accetto il modo di esprimersi che piace ai veneziani che amano indignarsi per sport e per invidia, lontano un milione di km dalle visioni degli antichi Dogi della Serenissima che son stati grandi costruttori e pianificatori.

Fermiamoci ad analizzare i fatti ed a calcolare bene costi e benefici delle nostre imprese, prima di scagliarci come pazzi contro le questioni senza arrivare ad alcuna soluzione e quindi a dover subire le decisioni di altri limitandoci poi ad un penoso piagnucolio o ad un brontolio da vecchi universitari che non han mai fatto un lavoro manuale.

Settis si è scagliato contro il grande dono di Cardin con riottosa miopia e ristrettezza di vedute…
Altro che cultura.

Addirittura Settis ha lamentato che la Torre Cardin avrebbe rovinato lo sky-line di Venezia!!
Ma siamo seri!

Attualmente dalla Riva delle Zattere possiamo ammirare il deprimente scenario della zona industriale di Marghera con torri per esaurire i gas della raffinazione del petrolio, silos abbandonati e strutture metalliche per il trattamento del metano.

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Questo sarebbe lo sky-line da proteggere?

Senza il Palais Lumière Marghera è spacciata; nessuno ci metterebbe le mani per decenni, tutto sarebbe spostato verso est alla volta dell’aeroporto e del Quadrante di Tessera. Marghera rimarrebbe un sobborgo povero e degradato, un futuro Bronx.

Palais Lumière sancisce una svolta e finalmente riporta l’attenzione dell’opinione pubblica e dell’elettorato verso Marghera che ha buon titolo per essere la città giardino adiacente a Venezia e sempre più legata al Serenissimo Giglio Lagunare.

Consideriamo anche che tale costruzione non toglie nulla al territorio essendo l’area già edificata e dedicata ad attività umane, anzi, essa sarà la spinta per una ampia bonifica e rivalutazione di tutta la zona.

Accogliamo il mecenate Pierre Cardin mettendo da parte afflizioni personali ed invidie; questo personaggio andrebbe accolto con gli onori di un Principe. W Venezia!! W San Marco!!