per chi ama venezia

Anche gli imbecilli amano.

“Grazie di averci liberato dall’Eremita.”
La prima, di chissà quali altre frasette.
Così accade quando prendi parte a qualche discussione in un gruppo social ed hai una tua posizione che difendi con convinzione.

I gruppi, sono i territori più curiosi e ricchi che i social-network abbiano mai prodotto da quando esistono. Sono vivaci, c’è dentro la gente e poi ci sono gli amministratori, quasi sempre capaci di ricreare tutte le più brutali storture del potere assoluto ( in rari casi veri moderatori, quasi sempre improvvisati e goffi demiurghi ). I gruppi social sono l’umanità denudata e senza alcuna remora.
La meraviglia della natura più oscura dell’umanità, così virtualmente vicina agli eccessi biblici di persecuzioni, stragi, campi di sterminio, tribunali sommari e/o del popolo ( sempre il popolo presente/assente ). 

Tutto nasce per caso, curiosando, come fan tutti, nella sezione notizie del noto Facebook, m’imbatto in un post pubblicato nel gruppo “per chi ama Venezia” da tal K. ( amministratore ) che condivide un post che l’utente Caenazzo ha pubblicato nella propria bacheca: 
( https://www.facebook.com/caterina.caenazzo.1/posts/3527743067261613 ). A mio parere ciò che Caenazzo ha scritto è abominevole ma, finché fosse rimasto nell’ambito della sua bacheca, avrebbe anche avuto un certo diritto di vita, se volessimo interpretare la bacheca dell’utente Facebook come il luogo privato in cui può sfogare ogni suo istinto od irrazionale sentimento anche poco pensato. 

Tuttavia la cosa acquisisce altro tenore quando quell’abominio viene da altri condiviso e palesato in un gruppo pubblico che intrattiene oltre 47 mila utenti ( poi di questi sono attivamente partecipi alcune centinaia ma si tratta di tecnicismi del comportamento di massa ). Si badi bene che qui non so se K. lo abbia pubblicato perché condivide gli ideali del contenuto o solamente per dovere di cronaca verso coloro che amano Venezia ( ognuno a modo suo ovviamente ). Eccolo:

per chi ama venezia

Orbene, dopo il 5 dicembre 2020 questo post è stato cancellato dal gruppo e quindi non è più visibile. Molto discutibile questa modalità d’azione visto anche il vasto numero di persone che vi partecipano. Si è trattato con evidenza di una censura postuma per i commenti ( molti di chi qui scrive ) che seguirono la pubblicazione.
È invece rimasto ben visibile il post( icino ) che poco dopo ha seguito la cancellazione che un tal G. ha voluto rapidamente pubblicare e nel quale ringrazia per il ban eseguito nei miei confronti: 

per chi ama veneziaBah, si tratta di futili sconcezze tipiche dei social.

Tuttavia nella bacheca della Caenazzo il post frettolosamente cancellato è rimasto orgogliosamente pubblicato e visibile a tutto il mondo ( anche ai non amici ). Le reazioni, salvo alcune rare, ovviamente non sono state di partecipato entusiasmo.
Ma perché?
Lo so che, per qualsiasi persona normale, essa sia una domanda retorica, cercherò allora d’immaginare che il quesito me l’abbia posto un imbecille che ama Venezia.

Questo orrendo periodo di deflagrante epidemia ha colpito tutti gli aspetti più umani: lo scambio, il dialogo, la curiosità, la cultura, l’esperienza dell’arte, il confronto, la scoperta. Quegli aspetti che ci fanno realmente differenti dal resto del mondo animale. Le uniche cose che ci ha risparmiato sono le sciagure della guerra; favore riservato tuttavia solo a noi del primo mondo. Ebbene le città più aperte a quei caratteristici traffici umani sono state le più lacerate e, tra queste, le dilaniate sono state quelle che offrono momenti di felicità: le città turistiche.

Venezia in Italia è esemplare. In qualità di suo abitante e professionista dell’arte e del turismo ne posso sapere qualcosa. La città Serenissima è piombata in una spirale di tenebroso silenzio. Non quel malinconico languore novembrino ( che si estende fino a fine gennaio ) che è sempre stato il suo tipico volto della stagione “debole” riservata a solitari romantici ed intimistici poeti ed artisti d’ogni luogo che qui ritrovano il tempo perduto, o addolciscono le loro pene d’amore o d’ideali.
Questo silenzio è piuttosto quello della morte infettiva cruda clinica subdola. Come fu ai tempi della peste, quando strisciava, falciando, sui muri e lungo le calli.

Difronte alla morte ogni essere vivente ha l’istinto alla fuga, alla difesa sua e dei suoi simili.
L’uomo anche in questo è capace di fare eccezione. Ed infatti ecco che si scopre a Venezia, in particolare a Venezia, dove è più evidente e crudo l’effetto delle quarantene e della paura, un’originale popolazione umana che, tutto sommato, non vede in questo bastimento di morte che attracca ai moli lagunari, solamente il male.
Si tratta, per naturale osservazione, di una popolazione non dedita a lavori autonomi e non più tipici e caratteristici della città, bensì di quella parte che riceve un regolare stipendio.  

Ecco, questa bizzarra popolazione non ha alcuna remora nel chiamare il morbo come un cordiale affettuoso e sollecito addetto alle pulizie che rimuove da calli campielli e campi della città quelle presenze ingombranti rumorose e sudate denominate dal franco-anglofono: “turisti”. Questa popolazione non ha alcuna remora a manifestarlo pubblicamente. 

L’ideale terapeutico di ordine, pulizia, decoro che questa popolazione è convinta sia una manna per Venezia mi ricorda quello dell’eutanasia auspicato dagli ideologi nazisti o quello dei piani quinquennali stalinisti o maoisti ma non solo. Esso è talmente esente dal minimo sentimento d’empatia che induce a considerarlo sintomo di una degenerazione psicotica. È quindi beffardamente celebrato nei social che, come insegna l’esperimento di Milgram, ci rendono refrattari al prossimo e quindi del tutto sociopatici.  

Se invece volessimo semplicemente restare nell’alveo della storia e dell’antropologia urbana scopriremmo che Venezia nacque, si sviluppò e prosperò grazie ai traffici commerciali tra i quali, fin dalle antiche origini, era anche il turismo.

Quindi questa popolazione che vede il bene nella morte, nella morbosità, nella paura, nell’annichilimento delle abitudini più pacifiche e positive dell’umanità e rende note pubblicamente tali insulse convinzioni può considerarsi ottimisticamente imbecille; mentre pessimisticamente? 

Se volessimo essere pessimisti andremmo a vedere a quali reazioni di massa conduce la suddetta divulgazione per rimanere stupiti del fatto che essa non causa corali espressioni di ripugnanza, anzi, ottiene molteplici attestazioni di stima e solidarietà. 
Ciò perché il concetto di fondo, che è di una disumanità inaudita, è espresso in una forma positiva. Chi lo espone infatti vuole simboleggiare d’essere motivato dal suo grande amore ideale per la città ( che quindi è personificata come Bambi ) e distrae l’audience dai presupposti e dalle conseguenze che sono sottese nel pensiero così espresso. 

Ecco quindi spiegato il movente di questa mia dissertazione: anche gli imbecilli amano. 
Amano gli imbecilli che non sanno comprendere i significati sottesi da certi ingannevoli pensieri, amano gli imbecilli che non hanno consapevolezza della crudezza delle loro considerazioni, amano gli imbecilli che festeggiano, quando coloro che ostinatamente si ribellano contro la degenerazione del linguaggio, che è presupposto della degenerazione del pensiero, sono perseguiti od allontanati od esiliati e proprio a loro, che difendono il valore del saper riflettere, è negata la parola. 

veneziano medio

il veneziano medio: il bagno in canale, nostalgie e rabbia

Come qualsiasi popolo che si rispetti, anche il veneziano è propenso a criticare il prossimo ma ad essere indulgente verso sé stesso. Ecco l’annosa questione del turismo di massa che pare abbia preso d’assedio Venezia.
I veneziani si sentono avviliti da certi comportamenti che considerano un insulto alla città; ma alcuni di essi erano la normalità, in un lontano passato in cui la miseria e la fame erano diffusi.

Tra questi comportamenti c’era l’usanza di farsi il bagno in canale. Forse per le famiglie povere era arduo raggiungere il mare; magari frequentato da un turismo elitario se non proprio di censo nobiliare, quindi, nelle afose calure estive non c’era rimedio migliore, almeno per i più giovani, di buttarsi nelle acque dei canali e lì imparare a nuotare rinfrescandosi.

veneziano medio ottocento

Oggi i veneziani stanno bene, anche grazie alla moltitudine di visitatori ed ospiti internazionali che spendono i loro soldi in città; non hanno più bisogno di rinfrescarsi in laguna. Molti di loro possiedono veloci motoscafi che guidano con perizia ma anche con incoscienza per meravigliare le giovani concittadine; il mare lo fanno all’estero in località esotiche.

Chi potrà più raccogliere l’eredità di quei pomeriggi passati a sguazzare nei canali, nelle “piscine” nei rii, insieme ai compagni di scorribande estive?

Solamente il turista più smaliziato e sempliciotto potrà farlo. Egli, con serena semplicità, sopraffatto dalla calura, dopo ore ed ore a camminare nell’incanto veneziano, vedendo quei flutti invitanti che richiamano la rilassatezza della spiaggia, non può resistere e si tuffa. Inconsapevole riprodurrà ciò che fu un uso antico ormai defunto; magari nascosto per lunga pezza come qualcosa di cui vergognarsi.

I tempi, però, incalzano ed ecco che sorge il micidiale socialnetwork; moderno frullatore delle coscienze collettive, che propina a tutti in diretta e in ogni singolo monitor portatile, notizie sfornate a ritmi che farebbero impallidire le catene di montaggio fordiste.

Qui succede tutto ed il contrario di tutto. Ecco i veneziani che si accorgono di essere nostalgici, che rispolverano vecchie fotografie degli anni che furono. Cadono in estasi davanti a quei colori stantii a quelle tonalità seppia che ritraggono gruppetti di persone dimesse e vestite molto alla buona mentre vivono la loro città nei momenti più banali.

veneziano medio oggidì

Ecco che vedono la vecchia foto dei bimbi che nuotano e giocano nelle acque torbide dei canali, allora ben più luride, causa gli scarichi fognarii privi d’ogni presidio. Le reazioni sono di grande affetto, nostalgia, passione amorosa della rimembranza di fantomatici “bei tempi andati” in cui tutto era più bello, più vero, più buono.

Ecco allora che vedono la foto scattata in digitale oggidì. Una fredda fotografia HD scattata in fretta; ed in fretta resa pubblica a milioni e milioni di spettatori che, senza alcuno sforzo se la scambiano se la ritrasmettono in mondovisione. Le reazioni scomposte non si fanno attendere. Insulti maledizioni e pernacchie vanno all’indirizzo degli accaldati signori che hanno osato detergere le membra nei canali veneziani. Si augura loro morte per la funesta “leptospirosi”, dimenticando che siamo in acque salmastre non ferme. Si augura loro una forma di colera, dimenticando che il sistema delle fosse settiche a Venezia è quasi al cento per cento e che il colera era endemico ai “bei tempi andati” delle foto seppia.

Si dimentica un poco tutto per lasciarsi andare alla furia del linciaggio virtuale. Per carità, è vero; Venezia merita rispetto; ma anche la storia lo merita. Leggere questi fatti come qualcosa che ritorna, che è umana, che è azione del vivere la città; in un modo diverso da un passato che ( per fortuna! ) non tornerà mai più ( si spera ).