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M.O.S.E. e l’umano

vivendo e lavorando a Venezia, nella zona di San Marco, sono in contatto reale e quotidiano con la secolare ( in ragione umana, plurimillenaria in ragione del tempo geologico ) questione delle inondazioni o alluvioni mareali della laguna veneta.

Nel vocabolario i termini “inondazione” e “alluvione” non sono riferiti all’azione delle maree. Quindi nemmeno la lingua italiana è in grado di definire quello che accade a Venezia. Ci aggiungo io l’aggettivo “mareale” onde precisare che si tratta di un fenomeno non del tutto eccezionale ma ricorrente nell’eterna periodicità di venti, correnti, pressione barimetrica, gravità lunare.

Sono quindi secoli che il mare ha il sopravvento nella laguna dell’uomo e si alza al di sopra delle zone che costui ha sottratto alle paludi ed alle barene per erigere la città. Se vi recate presso la Chiesa dei Frari troverete una tacca nel muro della chiesa con la data dell’agosto 1909. Una tacca che si trova ben oltre i fianchi di un uomo di altezza media. Quello non è stato il primo umido battesimo della città. Tra l’altro una marea eccezionale ad agosto è un fatto più singolare che raro.

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L’eccezionalità dei livelli di marea in laguna risiede nella convergenza di quattro fattori: vento, pressione barometrica, gravità lunare. Il più importante tuttavia è il tempo. La permanenza nel tempo dei primi tre fattori è cruciale. Mentre la gravità lunare è una variabile costante con periodicità fissa, le altre due sono estremamente mutevoli nel tempo e fanno quindi la concreta differenza.

Venezia nel contemporaneo piagnisteo.

In un contesto “contemporaneo” potremmo sollevare aspre critiche contro gli amministratori che vollero erigere la città in un luogo tanto instabile ed insicuro, mettendo in pericolo la salubrità e la sicurezza della vita degli abitanti. Potremmo chiedere l’azione della magistratura contro quegli avidi che preferirono piantar milioni di pali ( a detrimento irrimediabile di aree boschive di territori colonizzati ) nella mota, piuttosto che ricercare un sedime più consono alle loro pietre.

Tuttavia tra quegli antichi e questi moderni ha giocato la storia e, forse, una differente mentalità che oggi ci rende degni della tagliente satira di Fruttero&Lucentini più che dell’acuta passione di John Ruskin. Eh si, perché quegli antichi osavano e di brutto.

Hanno osato piegare un equilibrio spontaneo alle loro esigenze residenziali, militari, economiche, cultuali, fino a farne luogo d’esibizione di prestigio ricchezza sfarzo potere, centro di riferimento d’una civiltà ed esempio per altre civiltà future, contesto per la nascita di nuove idee, per la coltivazione di nuove intelligenze e sapienze. Hanno trasformato una laguna semi paludosa in un parco artificiale, in una fantasmagorica scenografia.

Quando feci queste osservazioni a certi soloni veneziani, causai ad uno di questi un quasi-attacco-cardiaco. Restrizioni mentali? Visioni limitate? Forse, oppure incapacità di leggere la storia con semplicità e senza alcun filtro ideologico, ricercando il modo di mettersi “nei panni”, ponendo attenzione all’analisi del senso pratico e pragmatico dei fatti.

Allora, di quegli antichi veneti: nobili costruttori idraulici architetti capimastri tagliapietra falegnami manovali, pensate fossero dei santi? Avete quindi una visione disneyana della storia. Come dire: alla Bambi. Idealizzate il passato? Non capirete il presente.

Mi chiedo spesso cosa avrebbero fatto costoro se avessero conosciuto il cemento portland… altro che pietra d’Istria, altro che mattoni. Certo, avrebbero dato a quel cemento delle forme a noi impossibili da concepire.

Venezia piantata come una bricola.

Dalla caduta della Repubblica Serenissima nella laguna di Venezia non si è più costruita alcuna grande opera. A parte gli edifici delle case popolari e di culto sull’isola della Giudecca e di Sacca Fisola, o il palazzetto dello sport di Castello, esempi di pessima edilizia. Nulla di significativo escludendo le ville art nouveau e liberty del Lido.

Dopo la ripulsa del progetto di Le Corbousier, che negli anni sessanta aveva in mente un ospedale per la città, giunge la prima inondazione dell’era della luce elettrica ( per l’Italia ) e dei massmedia. La priorità è quindi quella di dare riscontro alla visibilità che quei fatti destavano.

Ottima occasione per dare energia alle italiche menti ingegnose. Si mobilitano le forze del paese in un appalto che sfocia nel “progettone”, lo Stato incarica gli esperti per trovare la quadra.

Il dopoguerra è un periodo che ancora oggi viviamo in questa penisola. Allora, nei settanta e negli ottanta, esso era ancor più pregnante. Nell’infanzia repubblicana, negli equilibri di potere di un paese in perenne crisi “border line”, nella già consueta mentalità individualista e poco civica dell’italiano ( si confondeva addirittura l’idea di patria ed il tricolore col fascismo, o la parola “democrazia” con la Democrazia Cristiana ), si consolida l’idea di finanziare la partitocrazia e non solo, col denaro delle imprese. Si persevera quindi nella logica corruttiva delle Pubbliche Amministrazioni come già era stato fin dai tempi della Prima Guerra Mondiale.

Il PROGETTONE!

Il “Progettone” diviene la mangiatoia per uno tra i peggiori esempi di malgoverno di questo paese. Si smuovono prima miliardi di lire e poi miliardi di euro. La logica commissariale, per una pretesa intenzione di rendere rapida la realizzazione dell’opera, favorisce l’arbitrio il nepotismo e la corruzione a fini personali ma anche a fini elettorali.

mose umano progettone venezia

Eh già, perché i voti del popolo si comprano. Poi il popolo s’indigna ma la coscienza sporca parte da lì. Nel 2014 scoppia il caso e scatta l’operazione delle forze dell’ordine. Ma non intendo scrivere di quest’immondizia.

Quel che m’interessa è l’evoluzione dell’idea del M.O.S.E. nell’immaginario popolare anche come alimentato dai mass media che con questo argomento contano di camparci almeno fin dopo l’Epifania 2022.

Il M.O.S.E. non funzionerà!!

Ormai da anni leggo questa litania. Certo, ci sarebbe da pensarci, essendo l’opera costruita in un contesto corruttivo gravissimo. La cosa infatti sarà cagione di problematiche tecniche perché, come dice il Marchese del Grillo: “Se me freghi qui me freghi su tutto…”

Tuttavia dobbiamo anche presumere che tra le mele marce vi siano anche mele sane e capaci ingegneri che, finita l’orgia, sappiano porre rimedio.
Si aggiunga poi che l’opera è unica al mondo e, per stessa definizione, sperimentale, quindi passibile di modifiche e perfezionamenti anche in corso d’opera o dopo l’ultimazione della stessa.
Queste riflessioni sono rigettate dalla gran massa che, maliziosa e maldisposta, è incapace di cogliere la complessità dei fatti, semplifica e riporta tutto alla propria meschina dimensione di portafoglio.

Il M.O.S.E. serve solo a chi lo fa!!

mose umano venezia nomose

L’opera è stata commissionata dallo Stato Italiano a numerose ditte appaltatrici e subappaltatrici. Se intendiamo che “chi lo fa” sia lo Stato l’affermazione è corretta, infatti l’opera serve alla salvaguardia di un patrimonio dello Stato Italiano ( quindi degli italiani ).
Se intendiamo invece, maliziosamente, che “chi lo fa” siano le imprese appaltatrici e subappaltatrici, dobbiamo armarci di prove sostanziali da produrre anche in Tribunale perché, io penso, ogni sano imprenditore difende la propria reputazione in ogni sede. Senza considerare che si ritorna alla litania precedente che “il M.O.S.E. non funzionerà”.

In verità si tratta di slogan propagandistici di alcune minoranze che adottano delle “lotte” al solo scopo di conseguire una visibilità per giustificare la propria esistenza. Guai se avessero costoro responsabilità operative, sarebbero sciagure.

Il M.O.S.E. costa troppo!!

Una delle affermazioni più stupide che si possano sentire. Il costo eccessivo sarebbe in ragione di cosa? In rapporto a cosa?
È un’affermazione categorica ed assoluta che non ha alcun senso. Il costo ed il valore di ogni cosa va sempre stabilito in rapporto ad altre.

Quale sarebbe il costo per NON aver realizzato quest’opera? Come si potrebbe quantificare questo costo nel tempo?
Venezia è esposta alle maree eccezionali fin dalla sua nascita ed in passato gli abitanti hanno cercato di porre rimedio in molti modi tra i quali spesso vi era quello di alzare le rive, abbattere i palazzi e le case e ricostruirle più sollevate rispetto al livello della marea.

Non è concepibile l’idea di abdicare, di non contrastare queste alluvioni mareali e di rassegnarsi allo stivale di gomma. Non lo è, perché non lo è per la storia e la cultura della città di Venezia, propensa alla lotta per la risoluzione di problemi impossibili tipo: come costruire una cattedrale sul fango?
Venezia infatti è città consona a mercanti, condottieri, artigiani, artisti; non ad insulsi pedanti e paraculi professoroni.

Se non è così pare proprio che i tempi che viviamo sono quelli delle pecore, non certo dei leoni. Pecore belanti lagnose menagrame fataliste ma anche zeppe di malignità.

Il M.O.S.E. fino’ra ha assorbito 5,5 miliardi di euro, costerà circa 100 milioni di euro all’anno di manutenzione e sarà operativo per almeno 100 anni.
La spesa totale a fine vita dovrà quindi essere di 11 miliardi di euro.

11 miliardi di euro diviso 100 anni e diviso 60 milioni di persone ( popolazione italiana ), significa che il M.O.S.E. incide per 1,8 euro a persona all’anno per i prossimi cento anni. Un caffé all’anno per ogni cittadino italiano.

Gli italiani possono permettersi di pagare un caffé all’anno per 100 anni per avere la certezza che Venezia non sia inondata dalle maree eccezionali? Per dare finalmente questa dignità a questi luoghi che tutti dichiarano di amare incondizionatamente?

Complottismo e stampa sul M.O.S.E.

Oggi su quest’opera insistono i pregiudizi e le teorie complottiste più comuni, tipiche della nostra epoca dei social. Pochi o nessuno che abbia intenzione d’avvicinarsi alla questione senza filtri ideologici o con il desiderio d’apprendere qualcosa delle questioni tecniche ed ambientali che essa ha dovuto affrontare.

Il M.O.S.E è criminalizzato perché associato ai deprecati fatti corruttivi ma è come se dicessimo “cattivo” al tavolo perché ci abbiamo sbattuto contro col ginocchio.

La stampa poi sta seguendo la pancia della gente nel modo più scandaloso, alimentando sospetto e sfiducia fomentando e giocando sugli equivoci e le mezze verità. Perché? Perché vende!! Fa ascolto! La carta stampata vive una crisi infelice e drastica, per quadrare i conti deve sfruttare ogni opportunità e queste giungono numerose quando si punta sulla massa, la moltidudine da colosseo, quella del panem et circenses. Che poi qual è il problema? Il M.O.S.E. non è nemmeno una persona, non può certo ritenersi calunniata. Un bersaglio perfetto.

Qui la parola all’esperto ing. Giovanni Cecconi, per 30 anni al lavoro nella sala operativa del M.O.S.E.

Un confronto universale.

Immaginiamo che questa gran massa di lagnosi che oggi pare ci stiano accerchiando da ogni parte, sempre pronti ad indignarsi e ad avere sentenze e soluzioni nelle loro piccole tasche, fosse stata l’opinione pubblica attiva negli Stati Uniti alla fine degli anni sessanta del secolo scorso.

Allora John Fitzgerald Kennedy parlava di traguardi difficili che dovevano essere perseguiti proprio perché difficili e la gente si eccitava. La NASA, fondata nel 1958, esisteva per portare l’uomo nello spazio, miliardi vennero stanziati. Altri miliardi di dollari di allora vennero stanziati per la conquista della Luna. Nel 1967 tre uomini morirono bruciati nella capsula Apollo, seguirono altri incidenti altre vittime.

mose umano venezia apollo 1 1967

Se la gente di allora fosse stata quella di oggi di Venezia? Dove saremmo andati? Forse a Marcon, altro che Luna.

mose umano challenger 1986

Non posso provare che disprezzo per coloro che rinunciano che si lagnano che pensano solamente al loro piccolo orticello e pretendono che tutto il mondo debba adeguarsi alla loro ristrettezza.

Il M.O.S.E. non lo dobbiamo a quei veneziani, lo dobbiamo agli antichi veneziani ed a quelli, in tutto il mondo ed a Venezia, che hanno ancora la capacità di avere una visione di considerare il nostro progresso come la continuazione della storia dell’uomo e non la sua annichilazione.

Per approfondire: https://www.mosevenezia.eu/


a scuola di inteligenza

A squola di inteligenza

Stamattina, mentre ero intento a contrastare la marea eccezionale che ha allagato la mia casetta a San Marco, scorrevo il solito facebook e mi sono imbattuto in uno strano meme con una citazione attribuita al caro Piero Angela. Il meme afferma che “la scuola dovrebbe insegnare a diventare intelligenti”.

Ecco il meme:

a scuola di inteligenza

Sono rimasto stupito! Non posso credere che Piero Angela si sia espresso in questa maniera così poco elegante sciatta e grezza; ma non solo.

Non posso credere che Piero Angela possa sostenere una “teoria” del genere, insomma che l’intelligenza sia qualcosa che s’apprende andando a scuola.

Le mie letture mi hanno fatto comprendere che l’intelligenza sia qualcosa d’innato, un talento naturale che ognuno di noi ha alla nascita.

Mi hanno fatto comprendere che l’intelligenza sia tra le cose meno conosciute e meno comprese dal sapere umano. Essa si manifesta in molteplici aspetti e sotto differenti sfumature. Inoltre è sostanzialmente impossibile da quantificare non essendovi alcun riferimento assoluto al quale poterla paragonare.

Che possa essere oggetto d’insegnamento nelle scuole è quanto meno grottesco. Dovremmo allora intendere che ogni professore possieda un’intelligenza così eccelsa e superiore tale da poter infondere quella stessa nella mente dei suoi allievi. E con quale misterioso strumento? Un alambicco? Un clistere?

Ne ho conosciuti di professori cretini nella mia vita, quale intelligenza avrebbero potuto trasmettere costoro?

Penso anche ai tempi ed ai luoghi in cui le scuole non esistevano… Per certi ottusi e pedanti che possano dar credito a quell’affermazione, sarebbero tempi e luoghi privi d’intelligenza, popolati da stupidi inetti, incapaci di qualsiasi ragionamento. Insomma la maggior parte della storia umana e delle persone che l’hanno popolata, sarebbe stata scritta da idioti!!

Penso a tutti quegli uomini e quelle donne ( soprattutto ) che non hanno potuto accedere alla scuola e che hanno comunque dimostrato a sè stessi ed agli altri, la loro sensibilità e la loro intelligenza.

Spero proprio che quelle parole non siano di Piero Angela. Sarebbero un vero insulto all’intelligenza che, come una dea bendata, pone la sua benedizione o la sua maledizione ( si può maledire il fatto di essere intelligenti ) sul capo di tante persone anonime, lontane, in condizioni difficili, che non hanno accesso al sapere ma che, col loro talento donano un raggio di luce a chi è loro vicino.

Per concludere: l’intelligenza non è codificabile e quindi non può essere trasmessa per apprendimento.

A voler essere maliziosi si potrebbe pensare che quel meme sia stato realizzato con lo scopo di fare un sillogismo:
non ha studiato = ignorante = stupido
ha studiato = colto = intelligente.
Ciò significa che nulla di buono potrà mai originare da chi non ha avuto la fortuna di accedere alla scuola.

Si pone in questo modo una cesura netta con le qualità umane tra le quali si trova anche l’intelligenza. In pratica è la rivincita degli stupidi che hanno studiato ( magari come sgobboni ) sull’universo delle intelligenze umane che costoro invidiano.

Si noti che le più luminose intelligenze spesso sono resistenti all’autorità scolastica… e così via…

La rete social.

Questo brano giunge in rete e capita anche che chi ha sgobbato sui libri e non splende di suo proprio intelletto creda che l’interlocutore sia culturalmente male in arnese sbagliando di grosso.

A costo di spuntarla che fa costui? Persevera equivocando i termini della questione e ciò non depone a favore di chi, magari, dovrebbe fare divulgazione o addirittura professione d’insegnamento.

Egli dice: “Se Mozart non avesse avuto accesso allo studio della musica non sarebbe diventato Mozart!”
Frase abbastanza discutibile ed infatti rispondo: se Mozart non fosse stato angustiato dal padre forse avrebbe vissuto a lungo felice ed intelligente a corteggiar fanciulle per le campagne o facendo il falegname ( chissà, magari avrebbe fatto mobili straordinari ).

Questo dovrebbe far apprezzare che l’intelligenza non s’apprende e che, per il suo svolgersi, non sono necessari ruoli prestigiosi o riconoscimenti accademici.

Non si è intelligenti perché si primeggia in qualche “arte” ritenuta eccelsa da una particolare classe sociale da una particolare comunità o in un particolare periodo storico.

Certo è che tali cervellotiche obiezioni rivelano una sottostante visione meccanicistica che impone all’intelligenza d’essere utile a qualcosa, d’essere condivisa autorizzata ed applaudita da una classe sociale, d’essere rappresentanza d’una nazionalità o d’un gruppo, d’essere collocata socialmente, inquadrata e categorizzata per il funzionamento collettivo, fino ad essere codificata e fatta nozione per l’uso didattico.

Sono fatti, non più sfumature od obiezioni che mi inquietano non poco e mi ricordano tempi bui passati o futuri in cui si razionalizzava su chi fosse abile alla vita, alla morte… attenzione!

Aggiornamento: pare che La frase sia proprio di Piero Angela!
È tratta da Quark Economia, cap. XIII!!


il bello del male

Dissertazione#43 il bello del male

L’arte fu, è e sarà sempre espressione elitaria.

Come ogni prodotto dell’intelletto l’arte non può essere un’esigenza formalizzata e consensualizzata da una collettività. È necessariamente l’esito del singolo, il sottoprodotto di UNA sensibilità.

La suggestione, passando attraverso l’organismo del singolo individuo ( come il cibo ), è espulsa come arte, quest’ultima diviene successivamente espressione d’una élite per accidente o convergenza. Essa non può, per definizione, essere cascame collettivo, collettivizzato o collettivizzabile.

il bello del male

Questa ineludibile essenza pone l’arte nella condizione dell’imputato avanti alle pretese delle nostre attuali società massificate. L’arte infatti è stata democraticamente posta all’entusiastica e prolifica portata di tutti. L’economia industriale, l’istruzione, i mezzi di comunicazione ed oggi la rete informatica, c’illudono che le barriere intellettive siano abbattute e che il pensiero d’ognuno abbia medesimo diritto di cittadinanza.

Mai, in qualsiasi universo passato delle società umane, s’era potuto verificare tale scomposta intrusione delle greggi belanti nel laconico rarefatto e venerato mondo delle arti.

il bello del male

È la prova dell’ormai irriducibile scisma tra scienza ed arte, che ha posto quest’ultima alla stregua dell’evento mondano. Quando mai oggi sarebbe mondanità entrare nel merito del lavoro di un chirurgo o di un fisico?
Per ora no, infatti, chi lo facesse, sarebbe immantinente additato al pubblico ludibrio, quale presuntuoso arrogante se non insulso complottista.

Tale condizione egualitaria dell’umanissima questione artistica è disumana, essendo quella delle differenze la condizione umana naturale, favorendo lo sviluppo di morbose afflizioni, prima tra tutte l’invidia.

il bello del male

Non per nulla l’artista ricerca il patrocinio di ricche e potenti figure. Esse sole infatti possono imporre alla massa ed agli infiniti ( ed infinitesimali ) addetti all’artifizio, ciò che, per accidente o convergenza, è divenuta espressione della loro élite. Tuttavia, se prima tale patrocinio era condizione necessaria per la sopravvivenza e trovava reciprocità nel patrocinante, essendo l’arte componente funzionale e funzionante della comunità; oggi, se non in rari casi, il “patrocinium artis” ha il SOLO scopo di sceverare con arbitrio chi debba essere osannato ( fanaticamente ) e chi debba essere disprezzato ( ottusamente ). Ciò perché si è voluta gettare alle ortiche la componente funzionale e funzionante.

il bello del male

Perché?
Le motivazioni attengono alla nuova segmentazione delle classi sociali ed al dilagare della cultura industriale e consumistica massificata che ha creato differenze ancor più marcate tra un’immensa classe medio/bassa, una ridotta classe medio/alta ed una classe agiata dalle possibilità economico finanziare praticamente illimitate.
Nessuna di queste nuove classi sociali può avere in simpatia l’artista, in particolare l’artista in arti figurative ( pittura, disegno, scultura ). Perché per tutti loro questo genere d’arte è stato strappato al trono della sacralità.
Ad esempio, chi potrebbe farlo oggi con la musica?
Sarebbe un’operazione quasi impossibile, riuscita solo in parte con la musica pop con esiti disastrosi ( esempio: la neomelodica ).

L’arte quindi è disgraziatamente alla portata di tutti. Fatto degno di una ghignante “rivoluzione culturale”, quella in cui i medici chirughi sono al servizio degli infermieri. In questo contesto l’artista sarà colui che avrà trovato il modo appropriato per oltrepassare quanto prima quel gap tra la deposizione del cascame e l’istituzionalizzazione dello stesso.

il bello del male

Ciò che egli deve evitare con metodica è di essere soggetto ( imputato ) alla più morbosa afflizione: l’invidia. Essa dilaga nel dissacrato e vilipeso mondo delle arti per le ragioni esposte sopra. Si corre ai ripari ed uno dei più patetici espedienti che l’artista possa architettare è quello d’assecondare quell’afflizione. Condotta che probabilmente mai, prima della rivoluzione massmediatica, avrebbe concepito un aspirante artista.

Ecco quindi che l’artista si fa miserabile e coatto ( addetto all’artifizio cit. ), svolgendo con voluttuosa sciatteria questo “ruolino di marcia”, in cui la suggestione è ricalibrata con intento raziocinante-tattico ed emendata d’ogni spontaneità al fine di perseguire l’esito drammatico dell’ingrato compito di massificarsi.

Le risultanze sono perturbanti, regnano confusione ed incomprensione, i meno svegli adducono considerazioni ermetiche, si sprecano ragionamenti raffinati. In realtà è tutto equivocato. Navigando nello squallore si naufraga in un oceano di malintesi.

Mobilito Giotto, mi si perdoni. L’arte di Giotto aveva una funzione ( funzionante ) sacra. L’arte sacra era rivolta a tutti ma non aveva l’esecrabile ambizione di massificarsi, cioè di coinvolgere lo spettatore nel procedimento artistico. Lo spettatore era tale, punto.

il bello del male

Al nostro tempo l’arte del “miserabile artista” si prodiga nel coinvolgimento dello spettatore ( indifferenziato e massificato ). In questa coprolalica recherche è fondamentale la ripetitività ( non la riproduzione ) la cialtroneria la banalità ma, soprattutto, detta recherche, trova la propria ragione d’essere, il suo successo, solo e fintanto che si parla di essa. È appunto l’arte del fomentar ciarle, il grande vaccino contro l’invidia.

Ciò che si tralascia è la responsabilità che l’artista ha verso se stesso, che lo innalzerebbe rendendolo indigesto. Questa responsabilità si vuole annichilita. L’artista è appiattito sullo spettatore. Lo spettatore quindi s’identifica con l’artista in un transfer. Non fa differenza se lo spettarore respinga o accolga l’idea dell’opera. La cosa importante è solo che ne parli.
E ne parlerà eccome!
Nulla potrà mai avere lo spettatore contro siffatta opera d’arte. Tutt’altro! Egli sarà irretito da un’inconscia simpatia per quell’opera che si conforma alla sua mediocrità, la sua incapacità, il suo nulla estetico, la sua mentecatta vita, la sua concupiscenza di cose banali, la sua cupidigia, la sua accidia e via dicendo. Quell’opera lo rassicura e lo incoraggia ponendo i suoi pigri pregiudizi e luoghi comuni alla portata del “produrre artistico”.

In quella geniale affermazione di Bertrand Russell: “l’invidia è alla base della democrazia”, non trova posto l’arte che, oggettivamente, non sa che farsene della democrazia e troverebbe il suo miglior scopo nell’incendiare la generale furia degli invidiosi. Insomma, nel non essere banale come il male, nel non essere innocua come il banale.

sulla rivoluzione

sulla rivoluzione

la morte di Mario Sossi ha rilanciato una riflessione di Sciascia sul significato della rivoluzione edita ne l’Espresso n. 25 del 2 giugno 1974. Io, una sera dei primi di dicembre del 2019 mentre navigavo il bacino di San Marco alla volta dell’isola del Lido ( Venezia ) ho fatto la mia.

rivoluzione francese

Se vogliamo ragionare sul fragoroso roboante ammiccante promettente avvincente inquietante seducente minaccioso e quindi sostanzialmente ambiguo ( almeno quanto il termine “libertà” ) termine “rivoluzione”, dobbiamo porci almeno due quesiti di base e forse ampiamente dirimenti.

Il primo quesito è: i proletari possono essere rivoluzionari?

Sì, nelle intenzioni. Non è mai esistita nella storia una rivoluzione proletaria e mai esisterà, perché quando i proletari avessero i mezzi materiali ed immateriali per la rivoluzione si scoprirebbero anti-rivoluzionari. Quanto più si allargano consumi e benessere tanto più s’allontana lo spettro della rivoluzione e si diventa anti-rivoluzionari ( ma non controrivoluzionari, essendo la controrivoluzione una rivoluzione anch’essa ).

rivoluzione americana

Il secondo quesito è: a chi giova la rivoluzione?

Non a chi la fa e non a chi la subisce. Essa giova solo a quel vago senso d’appartenenza identitaria al “Popolo che fece la Rivoluzione”.

La rivoluzione è un fatto che ha effetti ideali solo nel tempo perché nel suo svolgersi necessariamente stabilisce una condizione transitoria e del tutto eccezionale, essendo inammissibile ed assolutamente mendace l’idea della rivoluzione permanente. Quindi, nella prospettiva futuribile, essa ha la funzione di seminare qualcosa nel “sentire sociale” della popolazione che la subì o la fece ( a seconda di come si voglia interpretare il concetto rivoluzionario ).

rivoluzione cinese

La rivoluzione è quindi un seme velenoso che può germogliare e dare frutti nelle coscienze del futuro in forme impreviste e imprevedibili nel bene e nel male, indipendentemente dai suoi presupposti fondanti.

In conclusione qui si esaurisce, secondo chi scrive, ogni possibile determinazione del fenomeno rivoluzionario e, nella sintesi imposta dalle terminologie e dagli ambiti, risulta evidente che la rivoluzione sia, insomma, una forma d’arte.

La rivoluzione quindi è tra le cose inutili come l’arte. Inutili nel loro svolgersi nel presente e quindi relegate ad un’indegna contabilità quotidiana delle vittime e dei carnefici. Utili nella loro prospettiva futura.

rivoluzione cubana

Ah, aver avuto la rivoluzione cent’anni fa! Ah, com’era degna l’arte cent’anni fa!

Arte in tutti i suoi aspetti; soprattutto, nel parossistico e goffo tentativo di razionalizzare l’irrazionale e dare il dinamismo di un’estetica pregna d’aspettative positive ad atti di cruda brutale cieca abominevole sordida violenza.

rivoluzione iraniana

Si pone tuttavia una sostanziale distinzione. Quegli atti, se nell’arte restano immaginazioni sensazioni e singulti emotivi, intimi e/o universali, del microcosmo dell’artista, razionalizzati dalla più o meno efficace sintesi estetica del gesto del tratto della mano artistica; nella rivoluzione ( seppur forma d’arte ) dette immaginazioni e sensazioni e singulti emotivi, intimi e/o universali, sono razionalizzati quando tradotti in atti rivoluzionari, collettivizzati e massificati, posti ingannevolmente alla portata di ognuno.

Questo processo di trasposizione non è solo virtuale ma gravosamente deleterio. I suoi esiti, come detto, saranno sommari e sanguinari.