alex navalny morte di un eroe

Morte di un eroe

della persecuzione della tortura e dell’omicidio di Aleksej Naval’nyj

Infine lo hanno fatto. Per l’ennesima volta il regime russo ha terminato un suo oppositore. Una lunga e collaudata tradizione quella russa o sovietica o zarista che dir si voglia.

Il dittatore con la faccia da alimentarista, che già Boris Nikolaevic El’cin in punto di morte aveva indicato come un gravissimo pericolo per la nazione, ha fatto crepare il prigioniero a ridosso delle elezioni. Lo ha fatto per incutere ancor più terrore ( come non bastasse quello che già circola ) nelle vene dei russi che hanno ancora un poco di sangue in corpo; dei russi che ancora non sono stati trasformati in zombie, che sono già una strenua minoranza.

La tradizione zarista-sovietica-russa è adamantina: la morte stessa è un mistero, camuffata, equivocata, sottilmente infusa o instillata poco alla volta tra le pareti gelide di una prigione siberiana. È la scenografia che funziona, da un’idea di onnipotenza, pone la struttura del regime in un’aura semi-divina che tutto può ed ovunque arriva. Il sistema perfetto per opprimere milioni di esseri umani e far loro accettare in silenzio settecentomila morti ammazzati in guerra; fino a far loro divenire ingranaggi stessi di quel sistema, istituzionalizzati buoi da tiro del regime.

Se da un lato abbiamo l’orrifica impenetrabilità balcanica, dall’altro qui da noi abbiamo il teatrale ridanciano cinismo che non è men crudele.

“Un nazista di meno!”; “Ben fatto!”; “guarda cosa aveva tatuato sul petto!”

Questo è il minimo compendio delle reazioni italiane border line alla notizia di questo assassinio. Il rutilante scolorito squallido mondo di chi crede di riferirsi a valori di progressismo di antifascismo mentre effettua il saluto nazista per solidarietà verso i terroristi arabi.

Il valore della vicenda è che un oppositore al regime è stato perseguitato e poi ucciso. Avanti alla situazione terrificante in cui versa il popolo russo, che non ha mai conosciuto la democrazia, era una delle poche reali possibilità che esso avesse per iniziare a comprendere il valore e la responsabilità della libera scelta.

Rallegrarsi perché quest’uomo, che ha affrontato la morte con tale coraggio, sia stato infine assassinato, pone chi lo fa al livello miserevole di chi disprezza i minimi principi morali che consentono una convivenza basica.

Da tempo la misura è colma delle cose ottuse che leggo nei social; ma pare che all’orrido non ci sia limite. Un sacco di gente che non ha la ragione, che non è capace di cogliere i valori elementari che ci fanno umani.

È morto un eroe, un uomo che ha dimostrato sconfinato amore per la propria gente, nonostante tutto, che ha affrontato un sicuro martirio perché, nell’impossibilità di avere un leale confronto, ha scelto di diventare un simbolo un esempio.

Cosa ci sta insegnando questa invasione e questa guerra nel cuore slavo d’Europa?
Di certo non pretende di trasmetterci concetti difficili contorti che richiedano chissà quale sforzo intellettuale. I fatti sono limpidi e forse mai come nel 1939/1945 il bene ed il male sono stati così distinti, eppure anche a queste lapalissiane condizioni e dopo i trucidi passati trascorsi di cui ancora abbiamo memoria vivente, non riusciamo ad essere coesi, a condividere un minimo di veduta.

Se facessimo un sondaggio non ci troveremmo tutti concordi nemmeno sui valori più fondamentali che siano mai stati concepiti e questo è allarmante, è preoccupante. Questo è il segno che le basi su cui abbiamo fondato le democrazie post belliche sono indebolite, compromissibili. Si tratta di un fenomeno che ha agito negli ultimi trent’anni insinuandosi tra le buone intenzioni di gruppi di pensiero nelle università nelle segreterie dei partiti. 

Stiamo vivendo un periodo fondamentale della storia contemporanea che decreterà o la fine o il rinnovamento di molte istituzioni politiche ed economiche oltre ad alcuni imponenti balzi avanti tecnologici. Dobbiamo sperare che il miracolo del 1945 possa ripetersi o saremo travolti dalle tenebre.

pier paolo pasolini scritti luterani le prove che non aveva io so corriere della sera novembre 1974 agosto 1975

Pasolini e le prove che non aveva

io so

Tra novembre 1974 e giugno 1975 Pasolini scrive qualcosa che, a mio parere, è da considerarsi il fulcro sul quale poggerà per i decenni a venire tutta la comunicazione di massa ed alla quale poi seguirà la valanga d’infodemia e di propaganda bianca grigia e nera prima nella semplice rete internet e poi nei social media, fino al paradosso odierno in cui i mass media seguono letteralmente le tendenze dei social media.

Pasolini è il primo ad adoprare questi metodi?
No, certo; ma è tra i primi a democratizzarli. È il primo a stanare la propaganda dagli austeri mezzi di comunicazione, un tempo esclusivi testimoni del contemporaneo, per darla ad uso e consumo di ognuno. Ottiene questo esito nel momento in cui dichiara d’essere un intellettuale e distingue tra politici, frequentatori della politica e intellettuali; ma andiamo con ordine. Procuriamoci il brano pubblicato nel novembre 1974; quindi una seconda parte pubblicata nell’agosto 1975, entrambe sul Corriere della Sera; questi ed altri articoli fecero poi parte della raccolta “lettere luterane”. 

pasolini pier paolo lettere luterane corriere della sera novembre 1974 io so ma non ho le prove

Ecco qui sopra la prima parte del brano. Pasolini contestualizza un periodo storico tra il 1968 ed il 1974 quindi si occupa di attualità, indica alcuni fatti tragici e dichiara di conoscere i responsabili di quei fatti. Conosce responsabili, mandanti ed esecutori materiali; ma no solo. Egli dichiara anche di conoscere chi gestisce le fasi della tensione! 

gli ambienti clerico-fascisti e della DC

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Pasolini dichiara che tutto ha origine negli ambienti clerico-fascisti i quali avrebbero inizialmente creato una tensione anticomunista e quindi in seguito assoldato dei criminali comuni ( magari anche tra le file della mafia ) per instaurare una tensione antifascista. 

Sono dichiarazioni esplosive poste con lucido rigore tattico all’apertura del brano in modo da focalizzare l’attenzione e dare subito una chiave di lettura: il vero grande problema è la DC corrotta.

Tuttavia quello che poteva avere la valenza di uno scoop, in poche righe si sgonfia; l’autore con semplicità afferma di non avere né prove né indizi. Non sa nulla quindi. Tutto ciò che ha dichiarato è semplicemente cosa? Vediamo.

Io so perché sono un intellettuale

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Ecco che Pasolini ci rivela il suo ruolo. A leggere la descrizione che egli fa dell’intellettuale potremmo oggi paragonarla a quella di un mero complottista affetto da infodemia. Come sono labili i confini tra un grande letterato ed un mentecatto ( è sempre così sappiatelo! ), se consideriamo che oggi molti complottisti sono pure scrittori pubblicati da case editrici o che nel web diffondono le loro teorie con materiale audiovisivo e testi scritti.

L’autore tuttavia è profondamente limpido e dichiara che le sue sono produzioni romanzate frutto dell’immaginazione se non anche della pura e semplice finzione. Purtroppo questa parte del brano è stata rimossa dalla seguente narrazione popolare, è rimasta conservata nei documenti ma non ha fatto più parte della vulgata, come anche quella che seguirà dedicata al Partito Comunista, ciò perché i mentecatti prevalgono. 

I giornalisti ed i politici sanno ma non riferiscono

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Pier Paolo ancora procede su quella che oggi sarebbe derubricata a “lagna del complottista” che accusa il “sistema” di celare colpevolmente ciò che egli va scoprendo con l’aiuto del solo suo fiuto/istinto. Assume quindi, nel vuoto istituzional-mediatico, la responsabilità di “fare i nomi”, perché egli, essendo intellettuale, non avrebbe nulla da perdere e non sarebbe compromesso col potere. 

L’intellettuale non può abbassarsi al rango del potere

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Essendo ben consapevole del cinismo nostrano prevede l’ovvia obiezione di chi lo inviterebbe ad appressarsi al potere per carpirne quindi i segreti, magari a tradimento o con sottili espedienti. Ecco qui che il poeta pronuncia uno dei suoi più bei aforismi “IL CORAGGIO INTELLETTUALE DELLA VERITÀ E LA PRATICA POLITICA SONO DUE COSE INCONCILIABILI IN ITALIA.”

Si tratta di uno dei concetti chiave di questo brano che ha un ruolo duplice: associare subliminalmente la verità all’idea dell’intellettuale; esecrare la pratica politica come mera attività di falsificazione. Questa però è un’azione politica, è una presa di posizione ideologica drastica che ha i tratti del postulato e che quindi, in questo ambito ( che non è la geometria ), assume il profilo del dogma. Ricordiamo sempre che Pasolini non ha alcun dato sufficiente ad esprimere una valutazione razionale intesa esclusivamente a riportare lo stato dei fatti. Gli aforismi sono sempre armi a doppio taglio e devono essere frutto di profonda riflessione prima di divenire pubblici e Pier Paolo lo sa benissimo. Infatti questo aforisma è ancora attuale e potrebbe essere universale; tuttavia è il rapporto tra politica e consenso che pone pesantemente la questione della trasparenza e non tanto l’appartenenza a questo o quel partito ed è qui che Pasolini inizia a camminare sul filo del rasoio. 

Ruolo dell’intellettuale nell’immaginario borghese italiano

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Dal principio di verità quindi segue, nella ferrea logica della retorica raffinata dell’autore, un excursus sulla condizione dell’intellettuale che sembra un excursus ma che, invece è un altro dei capisaldi del brano. Cos’è infine “intellettuale”?
Per il borghese medio trattasi di un parolone che richiama una figura idealistica proiettata verso discussioni sui massimi sistemi, magari un pedante isolato nei suoi pignoli ragionamenti accademici; un titolo onorifico, una croce estetica, una figura goffa e quindi facile all’asservimento. Tale coacervo di presunzioni sgorga dal retaggio dell’antica cultura ecclesiastica innestata con cura alle ataviche tradizioni rurali, che effettivamente sussistono ancor oggi. Questo si è un passaggio di assoluta verità, di confidenza fraterna che Pasolini ci riserva e che ha probabilmente motivato la nascita dell’intero brano. 

Opposizione al potere, il Partito Comunista

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Nel 1947 il poeta venticinquenne si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa e ne divenne segretario ( nell’ultima intervista prima della morte nega simpaticamente di aver aderito ad un qualsiasi partito politico ). Mai egli ha ritrattato la sua fede comunista. Qui espone con ampi particolari ciò che per lui è il Partito Comunista Italiano e lo pone nel contesto politico nazionale come un’isola d’eccellenza in un mare d’abiezione. L’apice della propaganda grigia è stato raggiunto, ormai agli sgoccioli del brano, per coloro che sono giunti fin qui si svela la luce, il possibile rimedio. Pasolini è talmente abile colla sua retorica da pensarlo come Partito-Ambasciatore in un paese ostile ma non solo, vedremo poi. Giunge quindi in soccorso dell’intellettuale un grimaldello che ha il genoma compatibile al potere per estrarne le informazioni desiderate. 

Il compromesso

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Rimarcando quella che indiscutibilmente è la lungimiranza del Segretario Nazionale del PCI Enrico Berlinguer, il poeta inserisce nel brano la parola chiave “compromesso” per ben due volte in due righe evidenziandola tra virgolette ed indicandola con l’aggettivo “quel” per trasmetterne la non paternità e quindi per darne anche maggior autorevolezza. Alla parola alleanza è riservato si lo stesso inquadramento nelle virgolette ma per esaltarne un significato lato, assolutamente strumentale, affinché le distanze tra le fazioni siano mantenute ben distinte. Pasolini, dopo la bella entrata sul palcoscenico del suo partito di riferimento, ne traccia velocemente il più importante dei suoi punti programmatici, che sarà in seguito la causa di uno dei momenti più tetri della storia della Repubblica ma per allora, purtroppo, il poeta sarà già assassinato. 

L’opposizione è contro-potere

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Ecco qui il successivo sottile esempio di retorica. È controproducente che nella soluzione prospettata non vi sia alcun tentennamento, alcuna criticità. Questo potrebbe smascherare il propagandista ed affossare lo scopo del suo impegno perciò: il Partito Comunista come opposizione al potere è anch’esso un potere e come tale si comporta sia in ordine alla verità che in ordine al suo rapporto con la funzione dell’intellettuale. Piomba quindi, ancora drastico, il giudizio aprioristico e dogmatico già visto in precedenza che ci riporta all’aforisma, chiave di volta dell’intero brano. 

verità politica e pratica politica

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Pasolini s’addentra in una deduzione che ha come premessa un pregiudizio, giungendo ad un corollario all’aforisma: si deve distinguere “verità politica da pratica politica”. È non dissimile dal luogo comune de “tutti i politici sono ladri!”, è uno slogan; certo uno slogan di elevata raffinatezza ma pur sempre uno slogan che gioca nella struttura articolata di questo brano di propaganda grigia. Insomma, resta inutile l’impegno dell’intellettuale che ha in ripugnanza la politica, per addivenire alle responsabilità nominali peraltro già individuate a livello di area politica. Inutile perché vige una regola aurea che fa omertoso colui che pratica la politica.

Sfiduciare o non sfiduciare?

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L’accidentato percorso di questo brano, insidioso e seducente, ripropone alle battute finali la vexata quaestio su ciò che dovrebbe deve dovrà compiere l’intellettuale. Quali responsabilità sono poggiate sulle sue spalle indipendenti?
Ebbene, dopo essersi sollevato dalla responsabilità di assurgere al sapere avendo in disprezzo il potere, dopo aver professato la sua aderenza al potere nella sua forma transeunte di contro-potere ( perché lo scopo di ogni partito politico è prendere il potere ), dopo aver insinuato, in forza della sua autorevolezza d’intellettuale estraneo alla definizione borghese, di sapere la verità; ecco che rinuncia al rischio che tale attività comporta perché aderisce ai principi “formali” della democrazia ed al suo credo nel Parlamento e nei partiti. Perché io si che qui ci vedo una rinuncia al rischio, calcolata con due potenti variabili: quella del credo politico, quella della fiducia nella figura di Berlinguer.

Mozione di sfiducia

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Infatti ecco qui il finale, nel quale Pasolini lancia un chiaro appello a Berlinguer affinché ponga le basi per il cambiamento della società italiana nella direzione che lui suppone essere quella corretta, senza scontentare la nazione che ha consegnato l’Italia alla democrazia che a quei tempi esercitava un immenso potere d’influenza sulle decisioni di politica interna. 

Pasolini entra ed esce dai suoi personaggi: è complottista, poi intellettuale, poi militante politico, poi nuovamente intellettuale, poi fedele difensore dei principi repubblicani. 

Pasolini è abile manipolatore di un genere di propaganda parecchio raffinata, la “propaganda grigia”. Quella che mescola fonti attendibili a mere illazioni affinché le prime diano valore alle seconde ed una delle fonti attendibili è propriamente egli stesso grazie alla sua monumentale autorevolezza di pensatore e la sua popolarità dovuta a eccelsi meriti, oltre che ad un’estetica accattivante.

Colpo di Stato

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Ad agosto del 1975 tuttavia il poeta decide di dar seguito alla sua intenzione di fare i nomi, chissà per quali motivi decide di cambiare drasticamente linea; forse aveva iniziato a sospettare di essere nel mirino anche perché incombevano gli anni di piombo e quelli come lui le cose le sentono, hanno il fiuto.

Il brano ( qui un estratto ), a differenza dell’altro, è una cascata di furia e sano rancore. È uno spietato elenco di responsabilità che vanno ben oltre le terribili stragi, delineando il quadro impietoso dell’Italia del boom economico. Chissà, tra il novembre 1974 e l’agosto 1975 il poeta attese un riscontro che non ricevette.  

Amare conclusioni

Pasolini lascia questa preziosa documentazione che più che essere una testimonianza è una sintesi metodologica di come dovrebbe funzionare un’azione di propaganda leale ed efficace.

Purtroppo l’uso che si fa delle sue parole, sforbiciate rimediate se non manipolate ai fini dello spettacolo, contribuiscono a licenziare “autorizzazioni morali” a milioni di persone che danno sfogo alle più assurde e strumentali menzogne utili a campagne di destabilizzazione del regime democratico ( per quanto discutibile ed imperfetto ) e lo scivolamento verso l’ansiosa ricerca di nuove forme di potere o verso un sordido anarchismo se non una più semplice e crudele cleptocrazia.

Il video che qui segue sembra un innocuo omaggio alle parole di Pasolini ma, per il fatto di essere stato estratto e ridotto ad alcuni dei passaggi più emotivi, quelli che l’autore mise giustamente all’inizio ma che erano funzionali al seguito, concede appunto quelle “autorizzazioni morali”. 

la gazza ladra a la maniera de "bestiario moderno"

La Gazza Ladra

A la maniera del “Bestiario Moderno” sui recenti fatti d’appropriazione indebita d’altrui letterario manufatto

Ignota ai più la vicenda che vide verso fine marzo 2024, Pasqua imminente, una popolana utente del socialnetwork FB appropriarsi senza alcun diritto di componimento letterario aforistico rilasciato dalla pagina “Bestiario Moderno”.

Il fatto diede seguito a dignitosa reprimenda che s’inflisse proprio nella bacheca della rea con una sostenuta ed onorevole fecal tempesta di commenti.

Seguendo con piacevole interesse i testi letterari del “Bestiario Moderno” da alcune settimane e considerando la letteratura volta ad un triste destino d’aridità senza il flusso continuo ed inesorabile dell’umana stupidità, ho voluto dedicare un breve racconto alla maniera “Bestiario Moderno” in riferimento al tossico ( ma neanche tanto ) episodio sottrattivo ed abusante.

La redazione dell’eccellente pagina, cui ho sottoposto il brano, non me ne voglia o magari voglia farsene delatore.

La Gazza Ladra

la gazza ladra a la maniera de "bestiario moderno"

La gazza ladra al tramonto era lurida di fango e di quelle polveri tossiche che s’impastano ai bordi delle strade; saltellava lugubre mentre approntava il decollo per svolazzare verso il suo nascondiglio quando vide quel maledetto scintillio.

Impossibile trattenersi pur avendo l’intestino pieno di lombrichi larve imenotteri falene lucertole che pretendevano il loro destino. Si gettò quindi sul bottino, là tra una pietra miliare anno 18 dell’impero e un sacchetto della Lidl pieno di lattine di tonno sfondate, fazzoletti incrostati di moccio e sperma e lastre di pvc dure come acciaio in cui le fette dei porci resistono alla decomposizione.

Col becco infilò la catenina ma era lunga e attorcigliata in parte in quello schifoso cespuglio di ortiche tarassaco ruta filtri marlboro e piscio. La gazza si mise a picchiettare ostinata là, nel torbido.

Sotto il suo becco avido sbucarono alcune decine di piccoli toporagno affamati, la toporagno-madre era stata schiacciata la sera prima mentre rientrava con la spesa.

I toporagno con le fauci taglienti lacerarono il collo della gazza sbranandola in pochi minuti. Poi si divisero il bottino e fieri sfilarono ognuno con la sua catena d’oro sul collo villoso.

header alcune piccole radici del male

Alcune piccole radici del male

come il maligno s’insinua nella mente umana

Esistono le persone malvagie?
Si, esistono e fanno parte del grande insieme di coloro che hanno disturbi psichici ( vuol dire tutto e nulla visto che almeno il 75% della popolazione ha disturbi psichici ); ma la malvagità è un universo di sottilissime sfumature tra le quali ci si perde tanto da scambiare certe persone malvagie per semplici ignoranti o sempliciotti.

Qui vorrei accennare ad un insieme di soggetti che sono diventati molto noti negli ultimi 15 anni con l’avvento dei social network, con alcune conseguenze che reputo pericolose. I social ci consentono di uscire virtualmente di casa e di confrontarci praticamente con chiunque. Come se ci mettessimo a parlare in piazza con tutti quelli che passano.

Ecco che questa nuova e potente risorsa ci ha mostrato principalmente aspetti degeneri e negativi perché, come la stupidità, sono i più comuni nella generica popolazione umana.

I meschini

Tra questi mi colpiscono particolarmente quelli propri di coloro che insultano scienziati, ricercatori, esperti, professionisti; negano risultati di studi, sussistenza di scoperte. Svelano una forma psicopatologica antisociale piuttosto ripugnante perché del tutto lampante e stridente con il più semplice buon senso; qui, infatti, le sottigliezze non contano.

Da cosa ha origine questa degenerazione, questa perversione?
Mi arrischio, addentrandomi con la sola guida del mio intuito e di qualche lettura, con un parere. Questi individui sembrano divenuti adulti senza aver ricevuto un minimo d’educazione e di nozioni ( forse sono alla terza media ma non è detto ). Le loro famiglie li hanno trascurati, sono cresciuti in ambienti privi di stimoli, superficiali, incentrati esclusivamente sul materialismo, sui bisogni primari e sui tristi disvalori dei meschini.

Giunti alla forma fisicamente adulta, col vissuto che ovviamente si portano sul groppone, accedono al web e poi al social, dove vengono letteralmente bombardati da migliaia d’informazioni e notizie d’ogni tipo. Se poco poco escono dalla loro consuetudinaria realtà, che il web è dispostissimo a propinare per indispensabili interessi economici, si ritrovano altre migliaia di notizie ed informazioni che sconfinano tra letteratura filosofia economia scienza medicina politica. Si ritrovano disorientati, privi del caldo comfort che offriva loro il gossip, l’esito sportivo, il populismo becero, il porno-giornalismo, l’alluce valgo, la calvizie, il pronto moda, lo stupro, la carneficina domestica.

Precipitati quindi dal letto della loro squallida esistenza consumistica e cronachistica, si svela loro questo nuovo mondo che, se prima era appena percettibile e lasciato a luoghi alieni come università, scuole, centri di ricerca, laboratori, studi, o anche rubriche specialistiche di programmi tivvù ( facilmente trascurabili con lo zapping ), oggi, con l’euristico algoritmo dei social, può divenire assillante richiamo ad una coatta pseudo-riflessione sulla propria condizione d’inadeguata arretratezza.

Far fronte a tali pesanti aggressioni alle proprie certezze è dura. Credono di poterle ignorare ma infine il subconscio ( lo hanno tutti ) si ribella e fa soffrire. Reagiscono allora ricercando appigli che diano la tanto agognata conferma che, anche in quel mondo così immenso e disorientante del sapere, vi sia qualcosa di sbagliato e corrotto ( come loro ) che li faccia rasserenare.

I ciarlatani

Ecco che entrano in gioco i ciarlatani. Parlano la loro lingua e affrontano quel colosso facendo loro credere di poter avere la meglio. I ciarlatani divengono i loro eroi, quelli che possono riscattarli rassicurandoli di essere nella posizione giusta, infissi sempre più a fondo nella loro condizione miserevole e ottusa. La paura passa e grazie a pompate di endorfine, si sostituisce con una fiera e baldanzosa presunzione; con poco o nessuno sforzo ce l’hanno fatta!
Hanno sconfitto il colosso del sapere!!
Grazie al ciarlatano possono insultare l’astronauta, irridere l’ingegnere, denigrare l’architetto, snobbare lo scrittore, maledire il naturalista, ignorare il medico, avvilire l’artista e, soprattutto, negare passo passo ogni verità scientifica o fatto storico che abbia superato ormai da tempo la prova della confutazione. 

Il sollievo è integrale e rafforza il senso di sicurezza. È come come quando il pubblico ride avanti alla gag del comico. Quella risata ha una componente apotropaica, depura la coscienza illudendoci, ponendoci in una posizione d’alterità rispetto al comico. Ridiamo di ciò perché crediamo di non essere ciò di cui ridiamo. Ecco perché la comicità e la satira hanno una pericolosa potenzialità sul pubblico ( ne parlerò altrove ).

Questi individui sono invertiti e cercano autorevolezza e conferma in ciò che gli somiglia. Altrimenti dovrebbero ammettere di essere ciò che sono.

I moralistici

A questo punto, da profano, avrei anche esaurito l’argomento ( di per sé arido ), se non fosse per una reazione che negli ultimi tempi verifico sempre più spesso in quelli che vogliono opporsi alla massa putrescente di questi meschini. Si tratta di un altro gruppo di persone convinte di detenere le redini del giusto, del bene, del sano, del sapere e, soprattutto, di avere il diritto d’auspicare pubbliche forme di contrasto a quegli altri, sono i moralistici.

“respirano il nostro stesso ossigeno”

All’inizio le reazioni s’incentravano sul fatto che disgraziatamente quelli respirassero il nostro stesso ossigeno. Si trattava ovviamente di humor nero piuttosto esagerato in contrasto alle enormi bassezze dei primi ma quella considerazione veniva ripetuta ed implementata in pagine e gruppi, finché col tempo essa si è persa, forse per l’intervento dei moderatori che hanno sanzionato chi la diffondeva.

“essi votano”

Debuttò allora la meno violenta ma più subdola espressione “essi votano”, impossibile da censurare ma che invia un messaggio parimenti, se non più, preoccupante del primo. Un messaggio destabilizzante per la stessa strutturazione del nostro sistema democratico. Infine pare che il peggior danno non lo causino i meschini che ho descritto ma i moralistici, presunti sani ed autorevoli.

Questi ultimi infatti licenziano l’idea di negare diritti universali a porzioni di popolazione sulla base di giudizi morali e di merito socio-culturale, facendo il paio con chi centocinquanta anni fa riteneva che chi non avesse titoli di studio ( e magari non fosse maschio ), non dovesse accedere alle urne.

Temo che il placet a questa ondata d’elitaristica repressione avverso il dilagare dei meschini operata dai moralistici, che valuto del tutto simmetrica ed equidistante a ciò che sia bene e giusto e conforme a principi fondamentali di eguaglianza e civismo, l’abbia dato ( involontariamente ? ) il compianto Umberto Eco.

umberto eco citazione legioni imbecilli social network libertà parola premio nobel

Agli esordi del web come strumento di comunicazione di massa nella sua forma popolarizzata dei social network, forse in preda ad un momento di rilassamento conviviale e confidenziale, affermò che i social sono pieni d’imbecilli con lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel. L’affermazione, per quanto si possa ampiamente condividere, fu la miccia che accese l’irrazionale replica di altre legioni di imbecilli: i moralistici.

Questi, dotati probabilmente di un’istruzione superiore a quella dei meschini ma certo della medesima presunzione e protervia, oltre al non aver assimilato solidi valori morali positivi, si sono girati il film in cui assumono il diritto/dovere di poter negare libertà civili ai secondi. Magari sono le stesse persone che in altri contesti blaterano vacuamente sull’identità di genere o sulle minoranze etniche o sulle popolazioni perseguitate o su fantomatici domini d’apartheid, fino a discettare sui benefici della pace e del disarmo universale a tutto vantaggio delle popolazioni invase.

Conclusioni

È preoccupante tutto ciò?
Ebbene sì, lo è perché ciò che affermiamo con la parola o con lo scritto e che iniziamo a ripetere compulsivamente, seppur esecrabile, ipocrita, falso, fuorviante, crudele, violento, corrotto, sovversivo dell’ordine del diritto, lesivo delle libertà fondanti, originato da bias cognitivi e convinzioni errate, diviene col tempo realtà fondata e valore sul quale poi si basano le nostre scelte collettive. Sono i semi che gettano poi alcune piccole radici del male.

a la biondina in gondoleta componimento libero di nicola eremita

A la biondina in gondoleta

Libero componimento di dedica ai sentimenti verso Venezia e il suo ethos

Premabolo

E fu così che i primi di gennaio 2024, ricevuta la notizia, mi iscrissi per la seconda volta al fortunato Festival della Poesia Erotica Baffo-Zancopè, l’altra volta fun nell’ormai lontano 2015.

Per gli uomini stupendi e le donne meravigliose de La Compagnia de Calza I Antichi, giunti già alla trentaduesima edizione del Festival, ho riservato questo libero componimento non in metrica e con rima zoppicante. La graziosissima Giuria ha voluto quindi lodare il componimento con il Premio Mario Stefani.

premio mario stefani compagnia de la calza i antichi venezia

Esso nasce dai seguenti fondamentali:

  • il brano di Beethoven;
  • le parole di Lamberti;
  • gli acquerelli di Giovanni Testa eseguiti al Lido tra il 1985 e il 1990.

Beethoven si divertì a scrivere canzoni di stile popolare, tra le tante che compose vi fu anche quella dedicata a Venezia, Lamberti vi dipinse sopra un brano poetico di profonda dolcezza e delicatezza eccola:

A la biondina in gondoleta

Cara la mia biondina, putea par sempre!
Senza il fio d’un Dorian Gray. 
Vai nua nuando par canaletti canalini e canalassi, sfiorando insulsi tesori, grevi sui fondali, in acque salse, infette, luride, di sentimenti popolari. 

Cara la mia biondina, con te in gondoleta vogo i miei trent’anni. 
Sonnecchi, t’accoccoli, come i tuoi innumeri gatti. Sotto, mille più mille pescetti in plumbei banchi. Sopra, il ciel bruno, istoriato di tetti, poi prussiano, celeste, ridanciano agli occhi stanchi. 

Cara la mia biondina: 
“Ti geri Regina dei mar!”, “Mi so rivà tardi! Tardi a fare arte e amor co’ ti!”
Sei bimba da ciavar, di quelle che va anca coi veci. Di quelle che va anca col balon da vento e la so pantegana. 
Che va co tuti, basta che i paga!

Cara la mia biondina, nazion che volevasi impero, maliarda d’ambascerie. 
Oh me ignorante! Casati Stampa te credevo; sei persa in una sagra di fumose fesserie. 
Sensual domine de scritte licenziose, sacco de camarille ideologiche et faziose. 

Cara la mia biondina, fai l’amor dondolante e t’indormenti? 
Trope fritoe!
Altro son l’erotici zavagi!
Resto svegio; vardarte da malinconie struggenti!
Altro son i sessuali ardimenti!

Cara la mia biondina, vacuo l’universal nido di scienze ed arti, vacuo il talamo di sudori degli amanti.
Carnaval è lo spettro di quei tempi; Piazza è palco per goliardi e mestieranti. 

Cara la mia biondina, chiuse cassapanche colme d’erotiche vittorie, lasciati teneri silenzi all’oblio di crudo frastuono; un acquerello al Lido, intonato a modo e dedizione, giunge inatteso e tagliente dal lontano-vicino effervescente, sistema di comunicazione. 
Casuale incombente messia del ricordo; e tutto il tuo corpo emerge dal mare colle braccia di sabbia a fargli da bordo. 
Dispero e piango senza controllo, cara la mia biondina, sorgi ancora nel lampo di un giorno! 

header carmelo bene vicende già note

Carmelo Bene, vicende già note

come al solito per gli artisti solo disprezzo

La misera cronaca che segue è la giusta scarna cronologica sequenza di ciò che merita quello che fu dell’artista e suo materiale ricordo. 

Carmelo Bene è deceduto il 16 marzo 2002. Alla morte di Carmelo rimasero Maria Luisa, sorella, attrice, co-sceneggiatrice, musa di Carmelo e suo figlio Stefano; costoro ereditarono la proprietà della Casa Turca che fu set di “Nostra Signora dei Turchi”.

La casa venne messa in vendita e Maria Luisa si trasferì in una casa più piccola in affitto lasciando praticamente arredata la Casa Turca che passò in gestione ad un architetto con la smania della poesia e degli affari che pensò di farne un Bed & Breakfast. 

carmelo bene casa turca patrimonio dell'artista santa cesarea terme

Il 15 ottobre 2013 purtroppo viene a mancare anche Maria Luisa ed erede universale restò Stefano che cercò di recuperare dalla Casa Turca tutto ciò che poteva, prima che venisse alienata e trasformata in un’attività ricettiva. 

Vi furono proteste, sit-in, raccolte firme, petizioni, per sensibilizzare il Comune di Santa Cesarea Terme in ordine all’acquisizione dell’immobile per farne il museo “Casa di Carmelo Bene” ma tutto fu inutile. 

Stefano De Mattia, figlio del primo marito di Maria Luisa ha ricevuto in dono le poesie giovanili e l’ultimo libro “Ho sognato di vivere” ed ha recuperato anche molto altro materiale, purtroppo non tutto perché vive in un mini appartamento a Roma. Con questo materiale egli ha anche organizzato una mostra sempre a Roma. La Bompiani ha ignorato le opere di Bene per 19 anni ma è normale. Tutti i poeti dovrebbero scrivere il medesimo epitaffio: “NE RIPARLIAMO TRA VENT’ANNI”. 

carmelo bene casa turca patrimonio dell'artista santa cesarea terme

Ciò che sciaguratamente è rimasto nella Casa Turca che Stefano non è riuscito a recuperare è di proprietà di capre e somari, incapaci di comprendere e dare il giusto valore a ciò che possiedono. 

luke il cannolicchio nicola eremita

Luke il cannolicchio

A nord del piccolo mare dai bassi e fangosi fondali, s’allunga la striscia di terra, ereditiera di dune ammonticchiate da correnti e venti del sud e dell’est, trattenute poi da canne e piccole psammofile eroiche. Ella, coi millenni razziò i flutti d’una laguna tiepida dolciastra rilucente.

Fin da piccola attirò innumeri esserini, desiderosi di non far solo i locatari del basso mare ma d’osare periodici capolini all’aria, magari quando le stagioni cambiano il turno e tutto è pieno di promesse o di venti severi ancora fragranti, appena usciti dal forno estivo.

Tutti lor quanti erano, migliaia di migliaia, rotolati fuori dai frangenti o spinti delicatamente da deboli increspature della bonaccia, davano alle dune qualcosa in cambio. Microorganismi utili alla costruzione: batteri e alghe così da formare lo sterminato campo di viscida tenuta alla corrente, trattenendo sali minerali, silici, carbonati, resti organici.

Quando l’opera d’equilibrio stocastico e destino fu imperiosa avanti le coste della piana regione nordica, infilata come un tovagliolo sotto il pentolame ribaltato della pedemontana a ridosso delle vette zigzagate sul fondo del cielo, giunsero esseri senzienti insofferenti all’abbandono del fato. Bipedi di media altezza e glabri, coperti di materiali non loro, elaborati coll’auspicio d’articolazioni prensili.

Presero, con quelle stesse, possesso del luogo ormai maturo, prima che abdicasse ai limi. Lo colonizzarono non solo ponendovi i loro nidi ma piegandolo nella sua mutazione ai propri desideri, imponendo persistenza e facendone tutto rifugio e dispensa.

Nei secoli costruirono e ricostruirono, costringendo gli accidenti a coincidere accrescendo quella che era una debole linea di sabbia ed incerta, sorta a confinamento delle acque lagunari che torrenti e fiumi andavano addolcendo.

In mille anni e più, fu compiuta la civiltà senziente e tecnologica, capace di normare il diritto del singolo e la tanto perseguita dai loro pensatori “civile convivenza” che tramutò l’animale inumano nell’animale umano, a suo dir, levato sopra i capricci istintuali da fondata ragione.

Ora, una notte d’agosto; quando quella civiltà ha impilato tomi e tomi di storia, costruito templi e palazzi e ville e nobili cimiteri per generazioni di nonni, sparso nel mondo i suoi simili ed instancabile, corso alla ventura per premure d’ogni negozio, dai flutti d’acquatico inchiostro, appena agitati da brezze d’oriente, enorme oggetto emerge.

Pare un tronco, dei tanti, divelti e raminghi dalle terre selvagge, che poi si lascian decomporre sulle sabbie. Poi è proprio tutt’altro, non tondo ma piatto, verticale sull’onda in gran parte sommerso ed oscilla e mostra una fessura: ora più, ora men stretta.

È leggero? È pesante? Galleggia? Più che altro ondeggia dritto e fa supporre che gran parte del suo sia sotto, immerso nell’acqua d’inchiostro della notte d’agosto.

Tra i milioni e milioni di piccoli e men piccoli esseri che vivono in quel mondo ondulatorio e bagnato, nulla è cambiato ma ora tra loro, in quell’anarchia della battigia, ritiratosi di poco il mare, è giunto un colosso bruno di sali di calcio dell’acido carbonico. Svetta in aria per venti metri, largo due e chissà quanto ancora è conficcato nella sabbia pesante d’acque. Istoriato da sottili strisce parallele e trasversali all’altezza, segnanti la crescita, è quindi vivo, o lo fu.

Ora che il sole sporge dallo sfondo blu, piatto, tagliato di netto ed arranca in quell’altro blu che si fa azzurro, in tutta la sua possanza s’ammira il guscio dell’immane mollusco.

Ai timidi silenzi notturni era ben più aperto. Alla velata alba, calma ma costellata di freschi richiami di gabbiani voraci, il guscio è più chiuso ma il colonnare impianto del tutto indifferente al rischio, che per altri simili infinitamente più piccoli è assoluto; infatti tutti lor son pronti al vertical risucchio che simula tumulata pompa d’inusitata potenza, sepolta da qualche antico ingegner buontempone. Così quella sfilza sparisce avanti la foga alare dei pennuti; ma quello no. Resta immobile, indifferente, a godersi il clima.

L’ultimo colono s’imbatte nella creatura fuori scala, fuori dal mare, in buona parte ( forse ) fuori dalla sabbia.

È quello che al mattino passa per primo di là?

Forse; ma è colui che s’accorge che qualcosa è cambiato. È un signore che, retto da instancabile orgoglio salutista, si produce con comoda costanza nel podismo mattutino in quei bordi fragorosi, intrisi e cedevoli.

La sicumera abitudinaria, comprensiva della duplice realtà: instabile ai piedi e monotona al viso, induce lo sguardo a volger presso il basso rimirando il passo, più o men forte, più o men leggero; tale usanza, ormai rappresa nei tempi ripetitivi dell’esercizio, espone lo sportivo al brutal cozzo con rugosa e dura scorza del gigante costiero.

È più impatto o spavento che produce grido e schianto?

L’altro nemmen vibrò mentre chiavi cappellino smartphone ed il primo eseguivano, con distinte parabole, cadute libere al terreno.

Silenzio! Per poco sol piccole onde e brezza. Un lamento, un’imprecazione irriferibile e quella domanda: “ma che casso xeo?”

Stupore si fa largo tra dolore e sorpresa. Sbattendo via la sabbia con la mano e con l’altra al naso sanguinante, ricerca l’insostituibile strumento che immediato testimoni quel vero. Eccolo, tra i granelli in parte infisso, acceso, poco inumidito. Eccolo, colla ridda di funzioni a protendere e replicare memorie. Eccolo scuro piatto sottile, più ampio dei telefonini, ridicoli walkie-talkie a tariffa.

Scorre il dito tremante pel recente shock, avvia l’app, induce col click, imposta il frame, produce il file, passa al social, stabilisce il topic, inserisce il text, avvia il thread.

Non s’è alzato e già s’è gettato in quel mondo promiscuo di strafinzione ed iperrealtà.

S’allontana quanto basta per unirsi ad altri suoi che già spuntano da dune, scogli, cespugli, come ogni mattino d’estate. Biascicano, improvvisano goffe lezioni di scienze naturali, pregano, imprecano, richiamano miti, vaticinano. Innumeri stregoni e dotti, quasi avesser già pria ordito adunanza.

La rete incalza e s’impregna dei piccoli atti da nulla che, come spluvie, espandono l’incendio. Il passaparola è titolone di giornali assetati, notizia di telegiornali asfittici, dibattito e lite di triti talk show.

Creatura gigantesca appare sulla spiaggia del Lido! Enorme mollusco spiaggia al Lido! Bivalve mostruoso scoperto nelle acque di Venezia! È l’inquinamento! È il riscaldamento! È la radioattività! La globalizzazione! È la grande nave! Ecco comitati pro-mollusco e no-mollusco! Raduni ambientalisti coi fuocherelli canne e chitarre! Chi vorrebbe cucinarlo per un’immensa abbuffata! Bagnini protestano! Disordini alle spiagge! Troppi escursionisti! Forte calo dei noleggi di pedalò! Non si consumano gli spritz! Non bastava la pandemia, adesso ci si mettono anche i molluschi! Il Sindaco convoca la sala operativa! Le Frecce Tricolori fanno veloci passaggi sopra bestione immoto che con inesorabile periodicità sale e scende nella battigia, per affermarne inconfutabile essenza patria! Intendono prelevarlo per la scienza; impossibile! Pare capisca e, con la potenza vitale dei suoi simili ma milioni di volte in proporzione, rapido scompare nei meandri sabbiosi tra quei tanti suoi fratellini, antichi creatori. Con la calma deve rispuntar fuori, magari a notte fonda, con la luna piena. E chi ha tempo di aspettare? E quanto costa?

Un bimbo, nessuno ricorda il nome o da dove sia giunto, lo chiama Luke. Luke il cannolicchio!

Egli rimane in quel luogo: per tutta l’estate accanto a Luke. Ci parla, avvicinando la sua testina alla fessura. Allora la mastodontica cappalunga tra granelli di sabbia annacquata, lascia piccole bolle mittenti lieto sussurro. Col tempo ognuno ritorna al proprio vagare, alle proprie faccende. C’è chi ha contato le sottili strisce parallele, sono milioni ma non son tutte.

cop26 climate change professione oppositore ai regimi

Professione? Oppositore ai regimi!

Si sono ritrovati, hanno discusso a lungo, si sono scambiati idee, intenti, progetti, possibilità, visioni.
Hanno governi e governanti differenti, che affrontano distinte realtà. Rappresentano popoli diversi e a volte distanti idealmente, culturalmente, moralmente. 
L’esito non poteva certo essere molto altro da questo. Gli interessi, i bisogni, sono quelli di miliardi di persone e di ampie reti di potere politico, finanziario, economico. 
Solamente una mente elementare, che aizza altre menti elementari ( per non dire di peggio ), può giudicare “blah blah blah” il fatto che si svolgano questi simposi. I peggiori dittatori ed i più tristi ed infami sistemi di repressione possono giudicare negativamente COP26. 
Eppure, nel gioco degli equilibri e delle sensibilità, anche Greta Thunberg, con tutto quello che si porta dietro e con la sua genesi, ha un ruolo positivo ma solamente se rientra in un sistema di potere che dia ad ognuno il suo.
cop26 thunberg blah blah blah
 
Non è certo come secoli fa quando tutto era più semplice e lineare. Oggi la complessità regna; ma ricordiamoci sempre che tutti noi del popolo rifiutiamo la complessità, pretendiamo risposte semplici, dirette, sillogiche.
Quest’ansia di banalità, di risposte rapide e soluzioni “readymade”, è il feto del nuovo conformismo, partorito dopo la seconda guerra mondiale, abbuffato nell’occidente delle rèclame, divenuto obeso dopo queste ultime rivoluzioni informatiche, che dovevano ridurre il peso del lavoro e renderci dediti alla meditazione mentre ci hanno svelato paranoici e refrattari a quelle presunte “leggi naturali” immaginate da antichi ottimisti e sempre più incatenati al brutale “posto di lavoro”.
Siam quel che siamo e non c’è tanto da esserne fieri. I governanti progressivamente son meglio dei governati ed è questa l’inquietante realtà che mi si paventa ogni giorno di più.
Le cronache recenti squarciano siparietti accademici affollati da professorini, filosofucci, e studentelli che strumentalmente bullizzano il lemma “libertà” con deprimenti speculazioni pseudo-sanitarie o di rassettamento-pubblico. Non voglio nemmeno accennare al resto che sta sotto la soglia del diploma di laurea e che bercia nelle strade da 2 mesi con la bava alla bocca.
professorini filosofucci studentelli portualetti cop26 covid19 greenpass
Diciamo la verità: l’integrazione tra governo/impresa/scienza rischia di togliere passatempi a tanti che avevano assunto il ruolo di “oppositori ai regimi”.
Facciamoci una domanda: se era solo “blah blah blah”, significa che il primo mondo avrebbe dovuto imporre condizioni dure al secondo ed al terzo che si affacciano ora ad uno sviluppo industriale e ( si spera ) sociale di massa che fino a poco fa era impensabile?
Cosa si aspettavano i duri e puri dell’ambientalismo?
Moratorie contro l’India, la Cina e magari l’Africa?
God bless this mess.
per chi ama venezia

Anche gli imbecilli amano.

“Grazie di averci liberato dall’Eremita.”
La prima, di chissà quali altre frasette.
Così accade quando prendi parte a qualche discussione in un gruppo social ed hai una tua posizione che difendi con convinzione.

I gruppi, sono i territori più curiosi e ricchi che i social-network abbiano mai prodotto da quando esistono. Sono vivaci, c’è dentro la gente e poi ci sono gli amministratori, quasi sempre capaci di ricreare tutte le più brutali storture del potere assoluto ( in rari casi veri moderatori, quasi sempre improvvisati e goffi demiurghi ). I gruppi social sono l’umanità denudata e senza alcuna remora.
La meraviglia della natura più oscura dell’umanità, così virtualmente vicina agli eccessi biblici di persecuzioni, stragi, campi di sterminio, tribunali sommari e/o del popolo ( sempre il popolo presente/assente ). 

Tutto nasce per caso, curiosando, come fan tutti, nella sezione notizie del noto Facebook, m’imbatto in un post pubblicato nel gruppo “per chi ama Venezia” da tal K. ( amministratore ) che condivide un post che l’utente Caenazzo ha pubblicato nella propria bacheca: 
( https://www.facebook.com/caterina.caenazzo.1/posts/3527743067261613 ). A mio parere ciò che Caenazzo ha scritto è abominevole ma, finché fosse rimasto nell’ambito della sua bacheca, avrebbe anche avuto un certo diritto di vita, se volessimo interpretare la bacheca dell’utente Facebook come il luogo privato in cui può sfogare ogni suo istinto od irrazionale sentimento anche poco pensato. 

Tuttavia la cosa acquisisce altro tenore quando quell’abominio viene da altri condiviso e palesato in un gruppo pubblico che intrattiene oltre 47 mila utenti ( poi di questi sono attivamente partecipi alcune centinaia ma si tratta di tecnicismi del comportamento di massa ). Si badi bene che qui non so se K. lo abbia pubblicato perché condivide gli ideali del contenuto o solamente per dovere di cronaca verso coloro che amano Venezia ( ognuno a modo suo ovviamente ). Eccolo:

per chi ama venezia

Orbene, dopo il 5 dicembre 2020 questo post è stato cancellato dal gruppo e quindi non è più visibile. Molto discutibile questa modalità d’azione visto anche il vasto numero di persone che vi partecipano. Si è trattato con evidenza di una censura postuma per i commenti ( molti di chi qui scrive ) che seguirono la pubblicazione.
È invece rimasto ben visibile il post( icino ) che poco dopo ha seguito la cancellazione che un tal G. ha voluto rapidamente pubblicare e nel quale ringrazia per il ban eseguito nei miei confronti: 

per chi ama veneziaBah, si tratta di futili sconcezze tipiche dei social.

Tuttavia nella bacheca della Caenazzo il post frettolosamente cancellato è rimasto orgogliosamente pubblicato e visibile a tutto il mondo ( anche ai non amici ). Le reazioni, salvo alcune rare, ovviamente non sono state di partecipato entusiasmo.
Ma perché?
Lo so che, per qualsiasi persona normale, essa sia una domanda retorica, cercherò allora d’immaginare che il quesito me l’abbia posto un imbecille che ama Venezia.

Questo orrendo periodo di deflagrante epidemia ha colpito tutti gli aspetti più umani: lo scambio, il dialogo, la curiosità, la cultura, l’esperienza dell’arte, il confronto, la scoperta. Quegli aspetti che ci fanno realmente differenti dal resto del mondo animale. Le uniche cose che ci ha risparmiato sono le sciagure della guerra; favore riservato tuttavia solo a noi del primo mondo. Ebbene le città più aperte a quei caratteristici traffici umani sono state le più lacerate e, tra queste, le dilaniate sono state quelle che offrono momenti di felicità: le città turistiche.

Venezia in Italia è esemplare. In qualità di suo abitante e professionista dell’arte e del turismo ne posso sapere qualcosa. La città Serenissima è piombata in una spirale di tenebroso silenzio. Non quel malinconico languore novembrino ( che si estende fino a fine gennaio ) che è sempre stato il suo tipico volto della stagione “debole” riservata a solitari romantici ed intimistici poeti ed artisti d’ogni luogo che qui ritrovano il tempo perduto, o addolciscono le loro pene d’amore o d’ideali.
Questo silenzio è piuttosto quello della morte infettiva cruda clinica subdola. Come fu ai tempi della peste, quando strisciava, falciando, sui muri e lungo le calli.

Difronte alla morte ogni essere vivente ha l’istinto alla fuga, alla difesa sua e dei suoi simili.
L’uomo anche in questo è capace di fare eccezione. Ed infatti ecco che si scopre a Venezia, in particolare a Venezia, dove è più evidente e crudo l’effetto delle quarantene e della paura, un’originale popolazione umana che, tutto sommato, non vede in questo bastimento di morte che attracca ai moli lagunari, solamente il male.
Si tratta, per naturale osservazione, di una popolazione non dedita a lavori autonomi e non più tipici e caratteristici della città, bensì di quella parte che riceve un regolare stipendio.  

Ecco, questa bizzarra popolazione non ha alcuna remora nel chiamare il morbo come un cordiale affettuoso e sollecito addetto alle pulizie che rimuove da calli campielli e campi della città quelle presenze ingombranti rumorose e sudate denominate dal franco-anglofono: “turisti”. Questa popolazione non ha alcuna remora a manifestarlo pubblicamente. 

L’ideale terapeutico di ordine, pulizia, decoro che questa popolazione è convinta sia una manna per Venezia mi ricorda quello dell’eutanasia auspicato dagli ideologi nazisti o quello dei piani quinquennali stalinisti o maoisti ma non solo. Esso è talmente esente dal minimo sentimento d’empatia che induce a considerarlo sintomo di una degenerazione psicotica. È quindi beffardamente celebrato nei social che, come insegna l’esperimento di Milgram, ci rendono refrattari al prossimo e quindi del tutto sociopatici.  

Se invece volessimo semplicemente restare nell’alveo della storia e dell’antropologia urbana scopriremmo che Venezia nacque, si sviluppò e prosperò grazie ai traffici commerciali tra i quali, fin dalle antiche origini, era anche il turismo.

Quindi questa popolazione che vede il bene nella morte, nella morbosità, nella paura, nell’annichilimento delle abitudini più pacifiche e positive dell’umanità e rende note pubblicamente tali insulse convinzioni può considerarsi ottimisticamente imbecille; mentre pessimisticamente? 

Se volessimo essere pessimisti andremmo a vedere a quali reazioni di massa conduce la suddetta divulgazione per rimanere stupiti del fatto che essa non causa corali espressioni di ripugnanza, anzi, ottiene molteplici attestazioni di stima e solidarietà. 
Ciò perché il concetto di fondo, che è di una disumanità inaudita, è espresso in una forma positiva. Chi lo espone infatti vuole simboleggiare d’essere motivato dal suo grande amore ideale per la città ( che quindi è personificata come Bambi ) e distrae l’audience dai presupposti e dalle conseguenze che sono sottese nel pensiero così espresso. 

Ecco quindi spiegato il movente di questa mia dissertazione: anche gli imbecilli amano. 
Amano gli imbecilli che non sanno comprendere i significati sottesi da certi ingannevoli pensieri, amano gli imbecilli che non hanno consapevolezza della crudezza delle loro considerazioni, amano gli imbecilli che festeggiano, quando coloro che ostinatamente si ribellano contro la degenerazione del linguaggio, che è presupposto della degenerazione del pensiero, sono perseguiti od allontanati od esiliati e proprio a loro, che difendono il valore del saper riflettere, è negata la parola. 

esser eremita o romito

Sull’esser Eremita o Romito

De pura accidental vicenda scovo, in lo social cassone, antico bran de Aretino, dedito a tal romito in pratiche de venere assai guarnito.

esser eremita o romito

Col mio nome credomi evocato ma trovo altrui che l’ha pur troncato como l’original attore. Ne nasce ardito negozio de favelle buone ed ecco il sunto.

essere eremita o romito

essere eremita o romito

Caro Romito, fummo tiroti in lo ballo por causa de fornicatione nonistante a cuelli de nostra ispecie, si nomen est omen, l’agir colli lombi sirebbe atto de pauco asceticazione et cagion de corrupta spiritual portanza. Ma se sa che lo trattiner per longa pezza le carnal pressure adduce de libido incontinenza et le verghe assai più dure.