Scritti con intento poetico sentimentale ironico sarcastico malinconico musicale. Ci può essere una metrica e la malsana lengua, ci può essere l’amore la morte il dolore la gioia l’indifferenza, non tutto ma quasi.
De pura accidental vicenda scovo, in lo social cassone, antico bran de Aretino, dedito a tal romito in pratiche de venere assai guarnito.
Col mio nome credomi evocato ma trovo altrui che l’ha pur troncato como l’original attore. Ne nasce ardito negozio de favelle buone ed ecco il sunto.
Caro Romito, fummo tiroti in lo ballo por causa de fornicatione nonistante a cuelli de nostra ispecie, si nomen est omen, l’agir colli lombi sirebbe atto de pauco asceticazione et cagion de corrupta spiritual portanza. Ma se sa che lo trattiner per longa pezza le carnal pressure adduce de libido incontinenza et le verghe assai più dure.
Ode a Giuseppe Fortunino Francesco Verdi. Le Roncole, 10 ottobre 1813 Milano, 27 gennaio 1901
I 1 — 4 Nel mondo, da filatrice ed oste, eietto, in Roncole, contrada di Busseto, Verdi Bepi compiva il primo atto, a musicar suo talento col spinetto.
II 5 — 8 Manifesto fé di sé al Cavalletti, meccanico nei melodici istrumenti, ed ei, raffermo ai suoni tal siffatti nolle nasconder dei godimenti.
III 9 — 12 Ei, intriso di solerzia e senza posa, poscia aver sanato il vil strumento riavviò con mano e fé la chiosa con detto italico, al gentil portento.
IV 13 — 16 In Marzo dell’ottocento anno ventuno l’artigian modesto e luminoso dell’ottenne capace ed opportuno seppe avvenir fulgido e armonioso.
V 17 — 20 Alle note avezzo e mai avulso od ebbro Bepi principiò coltivar sonora mente all’ordine di cui fu lustroso membro Cartesio, che viver volle dubbiosamente.
VI 21 — 24 È costì che Sant’Ignazio di Loyola, che a Gesuiti diede il seme, fu pel Bepi infante, prima scola lì, di scienza grave e di speme.
VII 25 — 28 Principiò la musical composta rima et, colla mano, l’istrumental pratica dal Provesi Mastro di certa stima di paesana banda Filarmonica.
VIII 29 — 32 In Busseto, intento in giochi bimbi, ei trascorrea lieti giorni di bimbo; ma quei potean essere i suoi piombi, se avesse sé lasciato in quel limbo.
IX 33 — 36 Dhé, mossesi pigliosamente lesto in quel Milano centro della musica ma al Conservatorio repente fu molesto avendo ei già vissuto l’età fisica.
X 37 — 40 Senza lasciar frustrato il luogo vivo al Lavigna, Bepi giusto venne e fu attento al cembalico divo, della Scala Mastro senza strenne.
XI 41 — 44 Devossi indi a liete frequenze de teatri dell’ambrosiane mura onde fondar le personal istanze che faran del genio sua premura.
XII 45 — 48 Il giovin messer Verdi, vide costì senza intermedia stirpe alcuna opere fresche, sceneggiate ognidì che dell’arte copria ogne lacuna.
XIII 49 — 52 Quel che di Sforza fu baluardo, divenne d’Austria ciambellano, Bepi il fé di suo bel riguardo a non esser di tal musica profano.
XIV 53 — 56 La giovine promessa non tediava il tempo suo, all’uopo concesso; mentre giusto nome e fama creava spendea in teatro e corti lo stesso.
XV 57 — 60 Ed è così che non ebbe i sacri voti per divenir mastro di cappella ma grazie al ciel ebbe le doti sol pel melodramma farsi ancella.
XVI 61 — 64 Venner quindi gli anni illustri cui al lavoro egli dette fiamma e da quei giorni, non vi frustri, egli dette voce a vasta gamma.
XVII 65 — 68 D’opere tante fu lume e fattore Rocester lunga e Stanislao bislacco ma una certo l’incoronò creatore quella che ognun conosce: il Nabucco!
XVIII 69 — 72 In essa appare il gran splendor del genio del solo tutta la vasta immensità nel suono e nella scena proemio all’epica vicenda dell’umanità.
XIX 73 — 76 Ernani fu quindi il dramma più teso cui Venezia fu chiesa in Fenice dove genti passioni e conteso divengon di mondo audace vernice.
XX 77 — 80 Venner quindi i Foscari e l’Alzira, dei drammi verdiani la schiera, in ognun egli tiene la mira: per mostrar la passione più fiera.
XXI 81 — 84 Macbeth opera grande Bepi crea ed è come il cugino Guglielmo; parole gemelle certo non potea fé della musica, sicuro, il suo elmo.
XXII 85 — 88 Nel mezzo del cammin di sua vita, Verdi giunse alla fama del mondo; ma pel suo zelo non crede sia finita ed è la Francia del fine lo sfondo.
XXIII 89 — 92 Sorge inatteso il patriottico moto in intime rime ascoso e non bruto. Quindi è Schiller, scrivano ben noto ch’egli non vuol che in sé resti muto.
XXIV 93 — 96 Splende ancor baldo nella Fenice perfetto, d’equilibrio composto, Rigoletto, che presto all’olimpo lo dice, il brano che in Hugo fiducia ha riposto.
XXV 97 — 100 Sul Rigoletto incauto s’abbatte la furia simil natural infausta tempesta, che, nel musical tono che da goduria, imita Venezia nel dondolar di questa.
XXVI 101 — 104 Poi venner drammi altri e forti d’intenso ritmo e sostenuto notizia alcuna è dato che vi porti giacché il tempo è contenuto.
XXVII 105 — 108 Preme rimembrar che ei certo c’era per Deputato nel primo Parlamento. E con il creator della prima nazion vera vide di Patria mancar giusto sentimento.
XXVIII 109 — 112 Cavour Conte Benso e Camillo pingue, fece vergar sua fiera richiesta per l’inno che nazion in forma giunge, dell’Universal Esposizion di festa.
XXIX 113 — 116 Finché di vita ebbe Bepi il puro spirto mai cessò segnar con serio impegno quei modelli che avea in seno il rito di comun schiatta e colta valori e segno.
XXX 117 — 120 Per finir, come al genio si conviene ei morì; e vaste lodi furon ammesse; e sempre crescenti più il tempo viene ché dai mediocri ai morti sono tesse.
Tocco ancora questi reperti della civiltà più che serena. Ella, che nutriva generosa l’Arte Sua, d’innumeri Efesti. Ella, Vagina odorante per lignei bastimenti, gremita di genii e reali prostitute. Ella, sincretismo d’anime sante e perdute. Ella, di pali conci e remenati, salubre ad Eros. Culla! Talamo! Ricovero! Giovamento! Ella, dominante il divino equilibrio tra il principe della solitudine e Thanatos, oltre il Franco Nano, il tramonto dell’ultimo sole repubblicano, i languori ottocenteschi, gli amabili deliri futuristi, il secolo crudele. Ella, oggi, non può più…
Ella rimane reperto, testimonio afono, intraducibile, indefinibile. Sola, nell’inutile, generico non silenzio, di precoci masse inconsapevoli, informate, ottuse. Perisce, nel suo grembo, Eros: sconcio alla globale stupidità; lacero al maniaco svelamento; tristo al compulsivo, febbricitante, logorio delle repliche; vano al pubblico gratuitamente plaudente e ridanciano; largo all’ignobile democraticità.
Eros giace senz’armi né croci. Straziato da immensi, rigidi, frigoriferi galleggianti, da cui non giunge voce ma pallidi lampeggianti. Trascinato da marine correnti e invadenti, che inducono ossigeno al suo vital torpore, bruciando ogni cellula ch’era grata alla nausea d’amplesso ed al dolor inguinale post priapesco.
Eros giace sfinito dal political corretto; affetto da una prostatite corrotta e clientelare; sfigurato da cretinissime spacconate, d’ideologiche disavventure; annichilito nell’invidia iconoclasta del mediocre erede, rincoglionito impotente defunto.
Eros: inafferrabile eiaculatoria liberazione; apotropaico sputo in faccia all’oblio; semplice ed astratto;
Eros soccombe al disumano sforzo di vincere l’inevitabile esistenza, opponendo alla quotidianità spregevole e possibile l’eroicità nobile e impossibile.
Tragedia Bitonica in 3 Atti Unici redatti e diretti da Nicola Eremita da una frase di Massimo Moro: “Perché non fai una tragedia??”
ATTO I SCENA I entrano Scrofoloso e Spampinato due disgraziati
SPAMPINATO: Qual ora che volge al desio siam lesti a camminar?
SCROFOLOSO: Già pria il diss’io; più non dimandar! in sul calar del sole nella foresta andiam e col calcar le suole, indietro non torniam. Mira le nubi far capriuole, non proferir altre parole.
SPAMPINATO: Amici siam da tanti lustri senza speme e per nullo illustri perciò non ti frustri quel che appare tra quegli arbusti!
SCROFOLOSO: amici siam perciò ti credo n’è miasma ma fantasma, ciò che vedo!!
SPAMPINATO: Scrofoloso! Che paura! Son nervoso, presto scappa! Dai fuggim che ormai notte xe drio venir!!
ATTO I SCENA II entra il fantasma Eugenio C.
EUGENIO C.: O mortali! Non fate che vi stecchi! Non tutti i fantasmi sono becchi, compare vostro e vostro protettore qui mi faccio con ardore.
SCROFOLOSO: Non quel che tu desii a noi è conso ma di quel che ci dai fàmme conscio.
EUGENIO C.: Di vendetta e gloria vi faccio dono in cambio di levarmi da quel trono che mi fa dei cornuti Re e Patrono.
SCROFOLOSO E SPAMPINATO: Vendetta e gloria non son per noi! Noi andiam, tu fa quel che vuoi; degne di cavallier son quelle cose per i cafon son disgrazie biliose.
CORO: S’ode un boato, un dittongo e uno iato.
EUGENIO C.: Son Eugenio C. Padron del fato e vostro futuro è già segnato, in disgrazia vi getto di qui a un annetto!!
SCROFOLOSO E SPAMPINATO: Disperazion non ci ange, minaccia non ci tange, già di disgrazia siam pecchi, com’essa ti mise tra i becchi.
CORO: S’azzuffa Spampinato, si rotola sul prato, e presso ad un burrato vede che una cavalla avea cacato e vede Eugenio C. gradasso e preso da orribil sconquasso afferra da terra una castagnola lanciolla in faccia alla banderuola, così continua e così fè Scrofoloso, finché Eugenio non fu lordoso e tutto di cacca involto cascò giù pel colle incolto. Vedendo tal caduta di quell’anima cornuta, i due amici riser tanto d’arrivar financo al pianto. Or già pieni di compassion, l’accettaron qual amicon!!
ATTO II SCENA I Scrofoloso e Spampinato e il fantasma Eugenio C. bighellonano.
SCROFOLOSO: Oggi in tre noi siam scapestri, per il mondo bighelloniam per città e case rupestri, che sarà se non cambiam? Che ne dici sor Fantasma se stà vita da marasma diventasse un tulipano? Al Castello di Merano!! Non è certo come a Linate dove l’aria la paghi a rate.
EUGENIO C.: Orsù andiamo a questa Merano alta la fronte e pronta la mano. Occhio al biroccio, tira quel laccio, Scrofoloso e Spampinato; con voi gliela faccio!!
CORO: Tutti e tre i nostri compari prendon un treno che va fino a Bari, poi, accortisi dell’errore, tornano suso in circa sei ore. Perso il biroccio sotto un ippocastano infin si ritrovano a Merano.
ATTO II SCENA II:
SPAMPINATO: Ecco il Castello in riva al mare guardate come son alte le mura, o Scrofoloso, hai voluto strafare ma la sua mole mi mette paura.
SCROFOLOSO: Mio caro e bon Spampinato tue son le stupidate ed il cervello malato, tu sei pazzo se credi che sto castello si conservi un fatato suggello che maledice colui che puote abitarne le stanze vuote.
EUGENIO C.: Ad esser sincero, a dire del vero; pur anco a me era parso codesto Castello di malvagio cosparso. Si dicea mill’anni addietro ch’esso fosse stato d’un Pietro morto in flagrante amplesso con un grosso maiale lesso, quando consorte trovatolo impietrita ed alquanto crucciata, presa una gamba del tavolo lo schiacciò con una bella stangata!!
SCROFOLOSO: Or stoppate vostra insana natura che del Castello vi mette paura. Fabule son, non hanno riscontro, non vi credete, anzi, ridete, perché se per vere agli altri son contro per noi son robusta parete all’altrui avidità compatta che fa del mondo dell’omo una schiatta!!
CORO: Or vedete i nostri sventurati scrutar essi già questo Castello tremanti per le mura e gli archi rialzati, per gigantesche torri, per profondo avello, che tutto lo circonda e lo fa sontuoso, contro l’ardire dell’uomo voglioso.
ATTO III SCENA I Scrofoloso e Spampinato e il Fantasma Eugenio C. giungono al Castello.
CORO: TOC! TOC! TOC! Fé il Fantasma. ( entra Guliermo il portiere ).
GULIERMO: A che te tu voi? Maledette so i tuoi! A che te tu hai da rompe?
GULIERMO: Oh che te tu dici? Fora dae toe, lassateme stà! Ché colla gente nun voio avé a che fà!
CORO: Guliermo si barrica dentro e preso un secchio di peltro, riempello con orina di topo; e cosa fa ve lo dico dopo. Corre sui piani elevati e lo svuota sui tre disgraziati; allora i tre scompisciati di molto si sono arrabbiati. Sfondan il portone d’un tratto, prendon e menan quel matto.
EUGENIO C.: Espugnato ti ho brutto malanno non far mossa non batter ciglio, o repente subito ti scanno: se mi fai saltar cipiglio!!
SPAMPINATO: Guarda Scrofoloso, gioisci Eugenio; questa fortezza contiene un premio! Cortigiane son quelle! Tutte bionde e tutte belle!
SCROFOLOSO: Quale dolce visione, son più del visone! Vieni bella gnoccona!
MARILONA: Io mi chiamo Marilona.
SPAMPINATO: E tu di nome come fai?
CORTIGIANA: Se mi tocchi passi i guai.
SCROFOLOSO: Agguanta Spampinato.
SPAMPINATO: Afferra Scrofoloso.
SCROFOLOSO: Se non mi sono ingannato.
SPAMPINATO: Questo è Paradiso godoso!!!
ATTO III SCENA II
CORO: I tre furfanti matricolati che le ragazze avean violate non sapean ch’eran fregati siccome a sacrificio ell’eran destinate per quel famoso maiale lesso che la moglie avea trovato col marito in dolce amplesso marito che poi avea stroncato. Sarebbero arrivate di lì a poco due nere anime di fuoco che avrebbero portato il maiale lessato che con orribil latrato si Scrofoloso e Spampinato si sarebbe cibato ed avrebbe bruciato, con alito di velluto, anche Eugenio C., Fantasma cornuto.
SCROFOLOSO: Oh che bella questa vita che orgiando fugge via, resta qui mia dolce Rita, ti regalo una Sierra Ghia.
SPAMPINATO: Oh che bello questo mondo che godendo rende grati, resta qui mio seno tondo ti regalo una Maserati
SCROFOLOSO e SPAMPINATO: Eugenio? Hai tu qualcosa che ti storna?
EUGENIO C.: Amici! Canto alla Luna il dolor delle mie corna! O Luna che in cielo brilli non mi abbandonar piangente assettati ed ascolta i miei strilli senti il mio cantar fremente. che al cuor mi fa venir dei grilli. Guarda quest’uom sofferente. Mogliera mi tradì una sera e fé di mie corna una vera tortura che mai non morì, fintanto che mia vita finì. Tradimmi anche da morto, nasciòmmi sto corno contorto. Or vendetta voglio e pretendo, anche se l’anima al Diavolo vendo!!!
SPAMPINATO: Chi son quei tre figuri che si stagliano sui muri?
SCROFOLOSO: Assassin! Maledizion! Ci disfidano a tenzon!!
EUGENIO C.: Alla spada, alla marra!! E sia morto colui che sgarra!! Difendiamo nostra conquista, dall’odio nemico egoista.
EPILOGO
CORO: Feroce duello s’ingaggia nel Castello. Attaccan da destra gli uomini neri. Difendon da sinistra i tre calimeri! Lo spadon di Spampinato trafigge il nemico; la marra di Scrofoloso lo schiaccia tal fico. Fendenti, magli, volano denti SCRASH! STUNF! SPALF! SOCK! Al par d’Enea lottan furenti!
EUGENIO C.: Ora capisco la maledizion è vera, costoro son de la morte nera, vengon a prenderci per sacrilegio d’aver portato al Castello lo sfregio di nostra presenza invadente; ma non cederemo per niente!
SPAMPINATO: Ah! Colpito son ma non m’arrendo, meglio morire combattendo per un’ora di piacere, dopo una vita di soffrire.
SCROFOLOSO: Ah! Tagliòmmi una man ma son più di Conan, resisterò financo a doman per serbar sto tulipan del Castello di Meran!!
EUGENIO C.: Ah! Maiale lesso, arriva indefesso; allor sei venuto a bruciar sto cornuto? Ah, son fregato! Ah, son bruciato!
SPAMPINATO SCROFOLOSO: No! Eugenio C. No!
EUGENIO C.: Addio addio, amaro è morir senza vendetta ne colpo ferir…
SPAMPINATO SCROFOLOSO: Ah! Maiale mangiòcci, noi poveri fantocci… Per i cafon non c’è speranza. Noi combattemmo feriti e malati, per difender nostra abbondanza ma finimmo morti ammazzati… Non degnosa fu poi nostra morte, in bocca al Maial la nostra sorte ai Cancelli del Ciel ci apre le porte; e pensar che sto casin fu per sei donne e un fiasco di vin!!
CORO: Questa è la storia di Scrofoloso Deodato e dell’amico Rutelio Spampinato che incontrato Eugenio C. s’un prato furon mangiati da un Maiale lessato per sei donne e un litro di moscato.
Dopo i recenti facts che hanno visto Laura Boldrini victim di ferocious attacks da parte di potentati di casalinghe poco istruite ed artigiani evasori dalle mani sporche, la dignità ed il respect che ispira la figura di codesta rappresentante del Governo Italiano mi impone questa riflessione e questo auspicio.
Il Centro Destra; ma che dico!
anche il Centro Sinistra; ma che dico!
L’intero arco parlamentare dovrebbe adottare Laura Boldrini, darle dei prize, invitarla a meeting, farla parlare liberamente il più possibile. Senza alcun contraddittorio, darle possibilità di dirla tutta; offrirle le più ampie possibilità di ascolto da parte del più large pubblico.
Il Centro Destra; ma che dico! Anche il Centro Sinistra; ma che dico! L’intero arco parlamentare dovrebbe consentire che si eserciti quest’operazione trasparenza e libertà. Date spazio a Laura Boldrini!
Si dovrebbe offrirle un TV broadcast dedicato, una rubrica su tutte le reti nazionali agli orari best; anche le radio dovrebbero contribuire. Darle l’opportunità di dire la propria su tutto: dalla politica estera ai pannolini, dalla spesa militare alla sanità fino alle licenze di caccia/pesca a quando sia il momento migliore per concepire un figlio.
Si dovrebbe farle condurre show e quiz; farle condurre programmi d’opinione. Si dovrebbero coprire con la sua immagine e i suoi consigli, tutti gli orari dei palinsesti televisivi nazionali e, se possibile anche con rai sat.
Ovviamente dovrebbe essere ospite fisso di tutte le rubriche televisive quali: “la vita in diretta”; “domenica in”; “porta a porta”; “ballarò”; “matrix”; “che tempo che fa”; “in onda”; “di martedì”; “quinta colonna”; “pomeriggio cinque”; “annozero”; “uomini e donne”; “bontà loro”; “David Letterman”; “omnibus”; “l’infedele”; “Larry King live” eccetera. A “Forum” dovrebbe essere giudice e giuria.
In caso di sovrapposizione di orari Laura Boldrini avrà diritto ad inviare una sosia certificata per sopperire alla propria assenza.
Laura Boldrini dovrebbe essere di diritto, member di tutte le commissioni per assegnazione di premi letterari, artistici, scientifici nazionali ed internazionali. L’Italy intera dovrebbe proporla come membro onorario di tutti i comitati nazionali ed international per l’assegnazione di borse di studio e di ricerca oltre che del comitato per il Nobel. Scontata dovrebbe essere la candidatura per il premio Nobel per la Pace 2018 e anni a seguire.
Non si dovrebbero trascurare anche i manifesti; dovrebbero esserci manifesti con i suoi migliori aforismi sparsi per tutto il territorio nazionale; non si dovrebbe trascurare nemmeno la Svizzera italiana e ancor meno i nostri connazionali all’estero, loro dovrebbero ricevere un bollettino quotidiano con tutti gli aggiornamenti sugli orari delle trasmissioni e gli estratti degli articoli apparsi sui newspaper.
Il mio sincero desiderio sarebbe quello che, per i prossimi vent’anni, non si parli di altro che di Laura Boldrini e delle sue idee, delle sue esternazioni, dei suoi consigli delle sue convinzioni e ideali.
Vorrei che le scuole dell’obbligo pubbliche e private avessero un’ora alla settimana di lezione dedicata allo studio della figura e delle opere di Laura Boldrini, anche senza tralasciare la sua biografia e la storia della sua famiglia le sue origini i suoi studi.
Lo Stato Italiano dovrebbe assumere una cinquantina di esperti agiografi per tramandare nel tempo la parola di Laura Boldrini affinché non sia dimenticata per almeno 1000 anni e più.
Gli artisti “politically-correct” dovrebbero ricevere commesse per la realizzazione di mezzi busti e corpi interi di Laura Boldrini ( antifa ) da recapitare a tutti gli office di tutte le aziende pubbliche e private ed una statua di Laura Boldrini dovrebbe essere installata avanti a tutti i caselli autostradali d’Italia oltre che nelle stazioni ferroviarie metropolitane e negli aeroporti.
Una targa di bronzo con il volto di Laura Boldrini dovrebbe essere installata in ogni fermata di autobus. Ovviamente questi lavori artistici dovrebbero essere realizzati gratis o a spese degli artisti stessi i quali dovrebbero gioire nella pubblica piazza per aver avuto l’onore di celebrare cotanto prestigio
( north korean way of life ).
Le università ed i centri di ricerca internazionali dovrebbero istituire dei seminari per l’analisi e la divulgazione delle opere e delle parole di Laura Boldrini, corsi di laurea dovrebbero essere creati specificamente per Laura Boldrini, ci si dovrebbe poter laureare in “Laura Boldrini”.
Feroce negativa distruttiva.
Un massacro del corpo e della mente.
La negazione di qualsiasi illusione.
La nemesi del buono e del giusto, la dynaton dell’immoralità.
Ballo ipocrita e latino.
Latino nel modo più sfacciato e deliquente e irrazionale.
Detestabile come una telenovela, odioso come un colonello argentino.
Arrogante e presuntuoso.
Ballo amato dalle nullità e dai profittatori dalle puttane e dai papponi.
Oggi, purtroppo, rappresentato vilmente nelle milonghe popolari, ridotto ad intrattenimento dopolavoristico e decoro per scorci storici e moderni delle nostre comunità alienate.
Qui, oggi, c’è tutto un sottomondo nostrano ripugnante e gretto, che vivacchia con la bugia del tango in un misto tra finta tradizione fanatismo e “border line” da invasati.
Perse le glorie della miseria, del puzzo di fumo e di sudore; perso l’onore del coltello; perso anche il sapore di lugubre erotismo, non resta che una sconcia parata, insulsa e sdolcinata, di comparse tristi.
infine volteggiano
a due a due
su quella spiaggia.
Trovano
l’abbraccio giusto,
di forza e grazia
che danno il coraggio
a percorrerla se oscura,
al confine del confine;
ma che sia liscia.
E si è sempre trattato di un naufragio
volontario o meno,
in un luogo impossibile,
sotto un cielo impossibile,
ma di un naufragio.
E quell’umanità,
sospinta, avversata, ostinata;
irretita dalla propria medesima meraviglia
emerge dall’abisso e balla un ballo,
scagliato in terra impacchettato col cartone e lo spago
da un Dio impomatato,
di origine italiana,
in cerca di pane e latte
e di una donna.
Un Dio ingenuo e sognante,
credulone macho affascinante
sorridente a tutti
per “farsi una posizione”,
abituato a sottovalutarsi
incline all’ottimismo
dilapidatore del suo immenso genio
mentre gli “amici” a casa
lo deridono e lo dimenticano;
ma tornerà un giorno
e qualcuno su quella spiaggia
avrà la gola inondata di lacrime,
acqua di quel naufragio:
a tempo.
Mentre la mia musica si contorce,
sovvertendo il precipizio,
giungo a sfiorare il pavimento,
e a sentire il sangue della mia donna,
scorrere sotto le mie dita.
In un contesto di tipo culturale non defunto ma in evoluzione;
in un ambiente che ambisce ad essere portatore di valori e contenuti di tipo “creativo”;
se è dato essere creatori di un qualche cosa;
non è possibile escludere il dibattito;
e quindi anche le polemiche che il dibattito stesso può e, in un certo senso, deve suscitare;
altrimenti vige il conformismo il consensualismo il dogmatismo;
aspetti questi della sociologia umana, acerrimi nemici della ricchezza culturale, della giustizia, dell’eguaglianza, del rinnovamento del pensiero.