pier paolo pasolini scritti luterani le prove che non aveva io so corriere della sera novembre 1974 agosto 1975

Pasolini e le prove che non aveva

io so

Tra novembre 1974 e giugno 1975 Pasolini scrive qualcosa che, a mio parere, è da considerarsi il fulcro sul quale poggerà per i decenni a venire tutta la comunicazione di massa ed alla quale poi seguirà la valanga d’infodemia e di propaganda bianca grigia e nera prima nella semplice rete internet e poi nei social media, fino al paradosso odierno in cui i mass media seguono letteralmente le tendenze dei social media.

Pasolini è il primo ad adoprare questi metodi?
No, certo; ma è tra i primi a democratizzarli. È il primo a stanare la propaganda dagli austeri mezzi di comunicazione, un tempo esclusivi testimoni del contemporaneo, per darla ad uso e consumo di ognuno. Ottiene questo esito nel momento in cui dichiara d’essere un intellettuale e distingue tra politici, frequentatori della politica e intellettuali; ma andiamo con ordine. Procuriamoci il brano pubblicato nel novembre 1974; quindi una seconda parte pubblicata nell’agosto 1975, entrambe sul Corriere della Sera; questi ed altri articoli fecero poi parte della raccolta “lettere luterane”. 

pasolini pier paolo lettere luterane corriere della sera novembre 1974 io so ma non ho le prove

Ecco qui sopra la prima parte del brano. Pasolini contestualizza un periodo storico tra il 1968 ed il 1974 quindi si occupa di attualità, indica alcuni fatti tragici e dichiara di conoscere i responsabili di quei fatti. Conosce responsabili, mandanti ed esecutori materiali; ma no solo. Egli dichiara anche di conoscere chi gestisce le fasi della tensione! 

gli ambienti clerico-fascisti e della DC

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Pasolini dichiara che tutto ha origine negli ambienti clerico-fascisti i quali avrebbero inizialmente creato una tensione anticomunista e quindi in seguito assoldato dei criminali comuni ( magari anche tra le file della mafia ) per instaurare una tensione antifascista. 

Sono dichiarazioni esplosive poste con lucido rigore tattico all’apertura del brano in modo da focalizzare l’attenzione e dare subito una chiave di lettura: il vero grande problema è la DC corrotta.

Tuttavia quello che poteva avere la valenza di uno scoop, in poche righe si sgonfia; l’autore con semplicità afferma di non avere né prove né indizi. Non sa nulla quindi. Tutto ciò che ha dichiarato è semplicemente cosa? Vediamo.

Io so perché sono un intellettuale

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Ecco che Pasolini ci rivela il suo ruolo. A leggere la descrizione che egli fa dell’intellettuale potremmo oggi paragonarla a quella di un mero complottista affetto da infodemia. Come sono labili i confini tra un grande letterato ed un mentecatto ( è sempre così sappiatelo! ), se consideriamo che oggi molti complottisti sono pure scrittori pubblicati da case editrici o che nel web diffondono le loro teorie con materiale audiovisivo e testi scritti.

L’autore tuttavia è profondamente limpido e dichiara che le sue sono produzioni romanzate frutto dell’immaginazione se non anche della pura e semplice finzione. Purtroppo questa parte del brano è stata rimossa dalla seguente narrazione popolare, è rimasta conservata nei documenti ma non ha fatto più parte della vulgata, come anche quella che seguirà dedicata al Partito Comunista, ciò perché i mentecatti prevalgono. 

I giornalisti ed i politici sanno ma non riferiscono

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Pier Paolo ancora procede su quella che oggi sarebbe derubricata a “lagna del complottista” che accusa il “sistema” di celare colpevolmente ciò che egli va scoprendo con l’aiuto del solo suo fiuto/istinto. Assume quindi, nel vuoto istituzional-mediatico, la responsabilità di “fare i nomi”, perché egli, essendo intellettuale, non avrebbe nulla da perdere e non sarebbe compromesso col potere. 

L’intellettuale non può abbassarsi al rango del potere

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Essendo ben consapevole del cinismo nostrano prevede l’ovvia obiezione di chi lo inviterebbe ad appressarsi al potere per carpirne quindi i segreti, magari a tradimento o con sottili espedienti. Ecco qui che il poeta pronuncia uno dei suoi più bei aforismi “IL CORAGGIO INTELLETTUALE DELLA VERITÀ E LA PRATICA POLITICA SONO DUE COSE INCONCILIABILI IN ITALIA.”

Si tratta di uno dei concetti chiave di questo brano che ha un ruolo duplice: associare subliminalmente la verità all’idea dell’intellettuale; esecrare la pratica politica come mera attività di falsificazione. Questa però è un’azione politica, è una presa di posizione ideologica drastica che ha i tratti del postulato e che quindi, in questo ambito ( che non è la geometria ), assume il profilo del dogma. Ricordiamo sempre che Pasolini non ha alcun dato sufficiente ad esprimere una valutazione razionale intesa esclusivamente a riportare lo stato dei fatti. Gli aforismi sono sempre armi a doppio taglio e devono essere frutto di profonda riflessione prima di divenire pubblici e Pier Paolo lo sa benissimo. Infatti questo aforisma è ancora attuale e potrebbe essere universale; tuttavia è il rapporto tra politica e consenso che pone pesantemente la questione della trasparenza e non tanto l’appartenenza a questo o quel partito ed è qui che Pasolini inizia a camminare sul filo del rasoio. 

Ruolo dell’intellettuale nell’immaginario borghese italiano

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Dal principio di verità quindi segue, nella ferrea logica della retorica raffinata dell’autore, un excursus sulla condizione dell’intellettuale che sembra un excursus ma che, invece è un altro dei capisaldi del brano. Cos’è infine “intellettuale”?
Per il borghese medio trattasi di un parolone che richiama una figura idealistica proiettata verso discussioni sui massimi sistemi, magari un pedante isolato nei suoi pignoli ragionamenti accademici; un titolo onorifico, una croce estetica, una figura goffa e quindi facile all’asservimento. Tale coacervo di presunzioni sgorga dal retaggio dell’antica cultura ecclesiastica innestata con cura alle ataviche tradizioni rurali, che effettivamente sussistono ancor oggi. Questo si è un passaggio di assoluta verità, di confidenza fraterna che Pasolini ci riserva e che ha probabilmente motivato la nascita dell’intero brano. 

Opposizione al potere, il Partito Comunista

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Nel 1947 il poeta venticinquenne si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa e ne divenne segretario ( nell’ultima intervista prima della morte nega simpaticamente di aver aderito ad un qualsiasi partito politico ). Mai egli ha ritrattato la sua fede comunista. Qui espone con ampi particolari ciò che per lui è il Partito Comunista Italiano e lo pone nel contesto politico nazionale come un’isola d’eccellenza in un mare d’abiezione. L’apice della propaganda grigia è stato raggiunto, ormai agli sgoccioli del brano, per coloro che sono giunti fin qui si svela la luce, il possibile rimedio. Pasolini è talmente abile colla sua retorica da pensarlo come Partito-Ambasciatore in un paese ostile ma non solo, vedremo poi. Giunge quindi in soccorso dell’intellettuale un grimaldello che ha il genoma compatibile al potere per estrarne le informazioni desiderate. 

Il compromesso

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Rimarcando quella che indiscutibilmente è la lungimiranza del Segretario Nazionale del PCI Enrico Berlinguer, il poeta inserisce nel brano la parola chiave “compromesso” per ben due volte in due righe evidenziandola tra virgolette ed indicandola con l’aggettivo “quel” per trasmetterne la non paternità e quindi per darne anche maggior autorevolezza. Alla parola alleanza è riservato si lo stesso inquadramento nelle virgolette ma per esaltarne un significato lato, assolutamente strumentale, affinché le distanze tra le fazioni siano mantenute ben distinte. Pasolini, dopo la bella entrata sul palcoscenico del suo partito di riferimento, ne traccia velocemente il più importante dei suoi punti programmatici, che sarà in seguito la causa di uno dei momenti più tetri della storia della Repubblica ma per allora, purtroppo, il poeta sarà già assassinato. 

L’opposizione è contro-potere

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Ecco qui il successivo sottile esempio di retorica. È controproducente che nella soluzione prospettata non vi sia alcun tentennamento, alcuna criticità. Questo potrebbe smascherare il propagandista ed affossare lo scopo del suo impegno perciò: il Partito Comunista come opposizione al potere è anch’esso un potere e come tale si comporta sia in ordine alla verità che in ordine al suo rapporto con la funzione dell’intellettuale. Piomba quindi, ancora drastico, il giudizio aprioristico e dogmatico già visto in precedenza che ci riporta all’aforisma, chiave di volta dell’intero brano. 

verità politica e pratica politica

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Pasolini s’addentra in una deduzione che ha come premessa un pregiudizio, giungendo ad un corollario all’aforisma: si deve distinguere “verità politica da pratica politica”. È non dissimile dal luogo comune de “tutti i politici sono ladri!”, è uno slogan; certo uno slogan di elevata raffinatezza ma pur sempre uno slogan che gioca nella struttura articolata di questo brano di propaganda grigia. Insomma, resta inutile l’impegno dell’intellettuale che ha in ripugnanza la politica, per addivenire alle responsabilità nominali peraltro già individuate a livello di area politica. Inutile perché vige una regola aurea che fa omertoso colui che pratica la politica.

Sfiduciare o non sfiduciare?

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L’accidentato percorso di questo brano, insidioso e seducente, ripropone alle battute finali la vexata quaestio su ciò che dovrebbe deve dovrà compiere l’intellettuale. Quali responsabilità sono poggiate sulle sue spalle indipendenti?
Ebbene, dopo essersi sollevato dalla responsabilità di assurgere al sapere avendo in disprezzo il potere, dopo aver professato la sua aderenza al potere nella sua forma transeunte di contro-potere ( perché lo scopo di ogni partito politico è prendere il potere ), dopo aver insinuato, in forza della sua autorevolezza d’intellettuale estraneo alla definizione borghese, di sapere la verità; ecco che rinuncia al rischio che tale attività comporta perché aderisce ai principi “formali” della democrazia ed al suo credo nel Parlamento e nei partiti. Perché io si che qui ci vedo una rinuncia al rischio, calcolata con due potenti variabili: quella del credo politico, quella della fiducia nella figura di Berlinguer.

Mozione di sfiducia

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Infatti ecco qui il finale, nel quale Pasolini lancia un chiaro appello a Berlinguer affinché ponga le basi per il cambiamento della società italiana nella direzione che lui suppone essere quella corretta, senza scontentare la nazione che ha consegnato l’Italia alla democrazia che a quei tempi esercitava un immenso potere d’influenza sulle decisioni di politica interna. 

Pasolini entra ed esce dai suoi personaggi: è complottista, poi intellettuale, poi militante politico, poi nuovamente intellettuale, poi fedele difensore dei principi repubblicani. 

Pasolini è abile manipolatore di un genere di propaganda parecchio raffinata, la “propaganda grigia”. Quella che mescola fonti attendibili a mere illazioni affinché le prime diano valore alle seconde ed una delle fonti attendibili è propriamente egli stesso grazie alla sua monumentale autorevolezza di pensatore e la sua popolarità dovuta a eccelsi meriti, oltre che ad un’estetica accattivante.

Colpo di Stato

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Ad agosto del 1975 tuttavia il poeta decide di dar seguito alla sua intenzione di fare i nomi, chissà per quali motivi decide di cambiare drasticamente linea; forse aveva iniziato a sospettare di essere nel mirino anche perché incombevano gli anni di piombo e quelli come lui le cose le sentono, hanno il fiuto.

Il brano ( qui un estratto ), a differenza dell’altro, è una cascata di furia e sano rancore. È uno spietato elenco di responsabilità che vanno ben oltre le terribili stragi, delineando il quadro impietoso dell’Italia del boom economico. Chissà, tra il novembre 1974 e l’agosto 1975 il poeta attese un riscontro che non ricevette.  

Amare conclusioni

Pasolini lascia questa preziosa documentazione che più che essere una testimonianza è una sintesi metodologica di come dovrebbe funzionare un’azione di propaganda leale ed efficace.

Purtroppo l’uso che si fa delle sue parole, sforbiciate rimediate se non manipolate ai fini dello spettacolo, contribuiscono a licenziare “autorizzazioni morali” a milioni di persone che danno sfogo alle più assurde e strumentali menzogne utili a campagne di destabilizzazione del regime democratico ( per quanto discutibile ed imperfetto ) e lo scivolamento verso l’ansiosa ricerca di nuove forme di potere o verso un sordido anarchismo se non una più semplice e crudele cleptocrazia.

Il video che qui segue sembra un innocuo omaggio alle parole di Pasolini ma, per il fatto di essere stato estratto e ridotto ad alcuni dei passaggi più emotivi, quelli che l’autore mise giustamente all’inizio ma che erano funzionali al seguito, concede appunto quelle “autorizzazioni morali”. 

addio imene

Addio all’imene!

Sarebbe ormai ora di perdere la verginità. dire addio all’imene morale che ci siamo rifatti infinite volte.

la globalizzazione

Viviamo in un mondo retto dal sistema dei capitali ( prima economici, ora ormai del tutto finanziari ).
La globalizzazione è stato il grande fumo negli occhi dei progressisti e dei post-positivisti per nascondere una sorta di nuovo schiavismo ma ha anche emancipato miliardi di persone da condizioni ben peggiori.
Ascoltavo, durante i lontani anni novanta, nelle lezioni universitarie di Cà Foscari ( Economia Aziendale ), quell’entusiasmo pionieristico di chi è convinto di cavalcare la tigre di un cambiamento storico epocale, in cui l’impresa è come una grande falena che va là dove c’è più luce ( profitto ). Tutti distratti dalla riduzione dei costi fissi, tutti ciechi davanti alla gigantesca slavina antropologica delle società emergenti sovrappopolate.
Una slavina lenta ed inesorabile che inizia solo oggi a lambirci ma che ci travolgerà.

La Cina è un paese in cui i diritti non contano, che tutela la Corea del Nord, paese in cui la vita non conta. Codesta vita ha un valore eminentemente quantitativo anche nei paesi democratici, in particolare negli Stati Uniti. Per l’India la vita umana è una massa informe di genti come greggi. Potremmo andare a ritroso nel tempo e trovarci tutti protagonisti di repressioni assassinii e dittature. Ciò che conta, tuttavia è sempre il presente ed il futuro ma non siamo educande, noi europei.

La retorica del cambiamento

Avremmo il dovere di escogitare un nuovo regime economico-sociale che sia realmente basato sulla felicità dell’uomo, o almeno di porne le basi.
Questa crisi sanitaria, che sembra l’unica da decenni ma che è tale solamente per i paesi avanzati, essendo sciagure simili ed anche peggiori, all’ordine del giorno nei paesi arretrati, è stata invece preda della retorica del cambiamento.

Una retorica che ha fatto breccia nel cuore di molti progressisti e liberali che non vedono l’ora di farla finita con quell’universo del tutto italico delle microimprese, dei piccoli professionisti e dei commercianti. Si, perché per costoro le microimprese sono inefficienti mentre le medio grandi sono in grado d’implementare i processi virtuosi dell’economia verde. A detta loro eh, in  base ai loro dati e statistiche. Sorvoliamo quindi sulla capacità di lobbing delle grandi imprese che in tal modo possono plasmare le amministrazioni degli Stati e delle Comunità di Stati.

Cosa ha prodotto finora questa retorica del cambiamento?
Molte parole, molti litigi. Si litiga molto lungo lo stivale. Si litiga e si smania per gli slogan ( decine di slogan rassicuranti durante la quarantena ).

C’è chi vorrebbe uno Stato che incentiva, un mondo imprenditoriale accentrato e ciclopico che massimizza, un mondo operaio che esegue, una riduzione delle classi sociali. Questo disegno semplice ma concreto viene nascosto dietro valanghe di parole, di terminologie anglofone, di pose che diano un’aura innovativa.

Il fatto è che questa visione potrebbe essere corretta e auspicabile ma invece di essere dibattuta nell’agone politico, istruita di buoni propositi e metodologie operative, corroborata dall’interesse della comunità, in assoluta trasparenza, viene trafugata quasi di soppiatto in occasione di una sciagura collettiva. Ecco che nascono i rivoluzionari opportunisti…
Poteva accadere solamente in Italia!
Sorge infine la pretesa rivoluzione coatta o la coazione alla rivoluzione retorica. Ne parleranno i posteri? 

Tale condotta cosa sta producendo?
Malcontento. Una larga fetta di popolazione, in grave crisi economica, terrorizzata dalla prospettiva di perdere lavoro, capitali e benessere, ascolta questi rivoluzionari opportunisti che parlano di cambiamento, che vaticinano che nulla sarà come prima. Viviamo un’epoca di stravolgimenti adesso, quando 60 giorni prima si facevano i conti della serva per quadrare il bilancio, senza la minima prospettiva oltre alla sopravvivenza.
Sono intenzioni opposte a quelle che saggiamente si dovrebbe avere col popolo ma è tipico di certi rivoluzionari pretendere di costruire il popolo per la rivoluzione e non di costruire una rivoluzione per il popolo.

Questo andazzo sconclusionato e confusionario è l’esito di decenni di faziosità di ideologismi e di scarsa onestà verso noi stessi e gli altri. Siamo troppo legati al nostro quotidiano, incapaci d’avere visioni a 15 / 20 anni e ciò è per colpa del fattore tempo legato al fattore interesse. Siamo spossati dai rendimenti azionari dagli utili infiniti che debbono fare gli azionisti.
Ci perdiamo nel gossip e nelle buste paga dei parlamentari e ci scordiamo di selezionare i parlamentari per le loro capacità empatiche. Siamo disperatamente arretrati sul piano della convivenza.

Basta solo pensare al fatto che si parla di economia verde ma si pensa di incentivare l’acquisto di auto nuove invece di favorire il riuso, il mercato dei pezzi di ricambio, la manutenzione, l’aggiornamento dei motori con kit. Tutte cose che darebbero miliardi di ore di lavoro alle microimprese.
Chiaro?

Se ci sarà una possibilità la vedo ora in questa sciagura ma temo che il risultato sarà sempre e solo aiuti ai colossi ( che hanno sempre scaricato le perdite sulla società ) e nulla, o quasi, ai piccoli e piccolissimi imprenditori e professionisti. Voglio sbagliarmi ma questa è ora ( 06 giugno 2020 ) la mia impressione.

Ecco come finirà quella rivoluzione opportunista condita prima di caramellosi slogan, poi di viscidi proclami patriottici ad un’unità mai perseguita da nessuno. Perché mai nessuno ha avuto il coraggio la forza le palle di farlo, perdendosi ognuno ( ognuno a suo modo ) nella demolizione dell’idea federalista che fatalmente avrebbe favorito quella coesione che oggi fingiamo di mendicare.
Ma l’imene morale sarà salvaguardato!!

attenti ai demiurghi

Attenti ai demiurghi!

La situazione di crisi e difficoltà, il panico generale, il terrore che certi sciacalli incutono con le armi della finanza, i segnali disumani che provengono da politici infami e da una generale indecenza dei mass media possono portare la popolazione alla convinzione che esista un demiurgo.

Il demiurgo è sostanzilamente una figura di fantasia, umanizzato sarebbe colui che fosse capace di affrontare e risolvere questioni universali, problemi intricati e scottanti.
In tempi recenti fu nel 2012 che i politici italiani si convinsero ( in buona fede ed in malafede ) che Mario Monti fosse una sorta di demiurgo. Perché?
Ecco Mario Monti è stato:
Presidente della Bocconi, Accademico, Economista a livello mondiale, Membro di una cinquantina di consigli di amministrazione, autore di un centinaio di pubblicazioni, commissario europeo, membro del gruppo Bildeberg, Presidente di un ente fondato da Rockfeller, Advisor Goldman Sachs, Coca Cola, Moody’s , Atlantic Council…

Per fortuna abbiamo inventato la democrazia, col voto e il consenso popolare. Per fortuna abbiamo inventato il populismo, il socialismo, il marxismo, il fascismo, il romanticismo.
Così possiamo cercare di difenderci da chi pensa d’incantarci con le carte e i diplomi mentre ce lo mette a bottega. 

Tutti i bellissimi titoli sopra elencati sono fatti umani esattamente come:
mungere una vacca con abilità, saper piantare un cigliegio, costruire una casa, riparare il water, allevare i maiali, salvare una vita con il massaggio cardiaco, saper fare la manovra di heimlich, avere il coraggio di pulire un handicappato che se la fa addosso 3 volte al giorno, assistere gli anziani, educare i figli, amare una o più persone perché sono simpatiche, essere capaci di ammazzare una bestia e macellarla, avere una sensibilità per la musica, saper dipingere, saper cucinare, effettuare un’operazione chirurgica, provare empatia per il prossimo…

Solo che questi, potrei andare avanti per ore, non si definiscono “titoli accademici” ma attitudini e talenti e quindi sono molto più utili, anzi sono necessari, alla sopravvivenza della specie umana. 
I titoli accademici sono la prova che un tizio ha riconosciuto un’autorità e che questa lo ha di conseguenza riconosciuto. Sono atti di potere. Non stabiliscono il valore di una persona.

Purtroppo qui non ho citato Monti a caso. Costui rappresenta proprio la negazione totale di qualsiasi attitudine o talento. Col suo operato ha dimostrato di essere il frutto di una provetta di laboratorio per la gestione della ricchezza e della speculazione finanziaria.
Ciò che non ha rilevanza primaria per la politica di un paese ma per gli interessi di pochi e interessi da scommettitori incalliti ( vedete voi il livello morale di chi scommette compulsivamente ).

Egli è esempio del tentativo ( già intrapreso in precedenza ) di razionalizzare scientificamente il funzionamento dell’economia che è una materia umanistica e non scientifica. In tal senso egli può essere paragonato a chi, nel ‘900, razionalizzava sulla gestione della vita umana stabilendo chi dovesse vivere e chi dovesse morire.
Monti non capisce nulla di politica ma capisce benissimo i limiti e le opportunità del suo potere e del potere della sua cricca.

Lo abbiamo visto tutti in televisione con un cagnolino tra le gambe per voler dimostrare di avere un briciolo di umanità; il contrasto era così forte che pareva ancor più cinico del normale.

Purtroppo quelli che si fanno illudere sono molti. Sono quelli che s’incantano con gli specchietti ( come i poveri indigeni delle foreste ) sono quelli che si perdono nella definizione del termine “competenza” ma che ad essa associano ricette e formule magiche o stregoni onnipotenti ( demiurghi ) che dovrebbero risolvere i problemi dell’umanità ( e con le ricette magiche e gli stregoni la competenza va a farsi benedire ).

Gli illusi si dimenticano che l’umanità è un problema di per sé e che è fatto di carne sangue e irrazionalità. Ad esempio questo genere di persone ( gli illusi ) crede che l’arte serva nei musei e non capisce né mai capirà che l’arte è alla base della nostra sopravvivenza e non capirà nemmeno come e perché quell’arte sia arrivata in quei musei, semplicemente perché crede che sia del tutto inutile porsi certe domande, c’è già l’audioguida, c’è già la didascalia. Capite l’aridità, la miseria, di tutto ciò?
Se lo capite avete già fatto un passo avanti. 

Agli illusi che cercano demiurghi che risolvano tutti i problemi piaccono quelli che non volano ma fanno balzi da gallina, al massimo da tacchino e troppo spesso ricevono credito perché, con sfacciata arroganza, pur non sapendo tenere in mano un cacciavite, sventolano le loro carte ed i loro titoli.

il cerchio di fuoco

Il cerchio di fuoco

Ai tempi del ventennio tutti i cittadini erano mobilitati. Erano tutti soldatini dell’esercito di cartone del dittatore col faccione ed il mento volitivo. Già allora ( e forse anche prima ) la nostra penisola era una barzelletta tragicomica.

Il neorealismo con i suoi bravi registi nel dopoguerra fu in grado di rappresentare plasticamente la disgraziata realtà socio-culturale di questo paese, ben definito ventre molle d’Europa, o anche il paese in cui le partite di calcio vengono prese più sul serio delle questioni di Stato.

Quello che è accaduto al mondo in questi ultimi mesi non succedeva dal 1576. La crisi che stiamo vivendo non è finanziaria e non è una crisi di domanda. È una crisi del tutto nuova che il nostro sistema economico non ha sperimentato dalla fine del cinquecento. È una crisi che colpisce la liquidità e tale mancanza di liquidità è dovuta allo stop della circolazione monetaria. Le aziende che sono alla base dell’economia reale devono essere messe nelle condizioni di far circolare moneta.

L’Italia con tutto il mondo occidentale avanzato si sono trovati completamente disarmati, nudi, davanti a questo fatto ancestrale, esempio della più severa legge di natura che non ha alcun riguardo per la ragione, anzi, la beffa, scaraventandola nell’incomprensione nell’irrazionalismo. Dando vigore ai più oscuri presagi.

La sanità ha svelato le sue gravi lacune, frutto di amministrazioni che hanno attuato piani di riduzione della spesa definiti a suo tempo “salvaitalia” o dando credito a presunte panacee neoliberiste.

INPS e la seicento in euro

Ecco oggi affacciarsi un altro volto non meno squallido della nostra realtà di progresso senza sviluppo, della nostra realtà che sputa in faccia all’istruzione, alla cultura, all’arte, alla scienza ed ai valori positivi del welfare; questa volta sul versante dell’economia reale, che è il motore del nostro quotidiano.

il cerchio di fuoco

Consentire all’economia reale di resistere significa impedire il blocco della circolazione monetaria. Il Governo attua la disposizione del contributo di 600 euro per ogni lavoratore autonomo secondo determinati criteri di merito ( anch’essi largamente discutibili ).

Ebbene come viene attuata questa necessaria operazione?
Con il solito sistema all’italiana che non fa uso corretto delle tecnologie più avanzate ma le adopera come ulteriore sistema di vessazione e di discriminazione tra i contribuenti sulla base della furbizia, della scaltrezza e velocità di mano.

Per accedere al contributo si deve seguire una procedura online sul sito di INPS che ovviamente in pochi minuti scoppia per l’eccesso di connessioni.

Ma che senso ha questa cosa?
Non vi pare pazzesco?
Gli uffici pubblici hanno tutto di noi!
Hanno le dichiarazioni dei redditi i versamenti inps i versamenti inail le dichiarazioni ici imu intrastat le comunicazioni iva le certificazioni uniche i 770 i 730 le fatture elettroniche le ricevute fiscali elettroniche i contratti registrati ed una lunga lista di altre informazioni tutte digitalizzate.
Eppure ci chiedono ancora di fare una domanda per i 600 euro.

Ci sottopongono a ore ed ore di attesa su un sito web scoppiato che non riesce a contenere le connessioni. Nella già disagiata condizione in cui il lavoratore autonomo si trova, con pagamenti bloccati, entrate azzerate ed una serie di scadenze delle quali non tutte sono disposte ad attendere, il lavoratore autonomo deve sedere ore ed ore avanti al pc o fare la questua presso ordini di artigiani o commercialisti per presentare la cartina, per dimostrare ancora per l’ennesima volta al suo paese che lui è degno.

Deve ancora e ancora saltare nel cerchio di fuoco, a petto in fuori!
Per due gallette e una fibbia di stagnola.

Ecco allora che tutti i volonterosi “autonomi” si adeguano e corrono si affrettano fanno ressa sul web perché non si fidano hanno giustamente paura di non arrivare in tempo di essere esclusi pur avendo diritto.
Perché ormai conoscono questo paese. Sanno che le code esistono solo per i fessi. Sanno che le risorse non basteranno per tutti e quindi chi prima arriva meglio alloggia.

Il sadismo di Stato, il sadismo istituzionale unito ad una ricca dose di cinismo e di supponenza verso chi intraprendere in autonomia e non è legato alla poppa di Stato, è qui rappresentato in maniera statuaria e regale. Esso è rappresentato nel modo anche più subdolo della sfacciata dittatura, perché ammantato da presunti indirizzi di merito coll’ipocrita prefazione dell’intento umanitario caritatevole.

Eppure non è carità, non è umanità. È il solo modo per salvare un sistema economico che tutti noi condividiamo, TUTTI.
Devono farcelo andar di traverso perché noi autonomi evidentemente stiamo di traverso.

 

 

 

sulla rivoluzione

sulla rivoluzione

la morte di Mario Sossi ha rilanciato una riflessione di Sciascia sul significato della rivoluzione edita ne l’Espresso n. 25 del 2 giugno 1974. Io, una sera dei primi di dicembre del 2019 mentre navigavo il bacino di San Marco alla volta dell’isola del Lido ( Venezia ) ho fatto la mia.

rivoluzione francese

Se vogliamo ragionare sul fragoroso roboante ammiccante promettente avvincente inquietante seducente minaccioso e quindi sostanzialmente ambiguo ( almeno quanto il termine “libertà” ) termine “rivoluzione”, dobbiamo porci almeno due quesiti di base e forse ampiamente dirimenti.

Il primo quesito è: i proletari possono essere rivoluzionari?

Sì, nelle intenzioni. Non è mai esistita nella storia una rivoluzione proletaria e mai esisterà, perché quando i proletari avessero i mezzi materiali ed immateriali per la rivoluzione si scoprirebbero anti-rivoluzionari. Quanto più si allargano consumi e benessere tanto più s’allontana lo spettro della rivoluzione e si diventa anti-rivoluzionari ( ma non controrivoluzionari, essendo la controrivoluzione una rivoluzione anch’essa ).

rivoluzione americana

Il secondo quesito è: a chi giova la rivoluzione?

Non a chi la fa e non a chi la subisce. Essa giova solo a quel vago senso d’appartenenza identitaria al “Popolo che fece la Rivoluzione”.

La rivoluzione è un fatto che ha effetti ideali solo nel tempo perché nel suo svolgersi necessariamente stabilisce una condizione transitoria e del tutto eccezionale, essendo inammissibile ed assolutamente mendace l’idea della rivoluzione permanente. Quindi, nella prospettiva futuribile, essa ha la funzione di seminare qualcosa nel “sentire sociale” della popolazione che la subì o la fece ( a seconda di come si voglia interpretare il concetto rivoluzionario ).

rivoluzione cinese

La rivoluzione è quindi un seme velenoso che può germogliare e dare frutti nelle coscienze del futuro in forme impreviste e imprevedibili nel bene e nel male, indipendentemente dai suoi presupposti fondanti.

In conclusione qui si esaurisce, secondo chi scrive, ogni possibile determinazione del fenomeno rivoluzionario e, nella sintesi imposta dalle terminologie e dagli ambiti, risulta evidente che la rivoluzione sia, insomma, una forma d’arte.

La rivoluzione quindi è tra le cose inutili come l’arte. Inutili nel loro svolgersi nel presente e quindi relegate ad un’indegna contabilità quotidiana delle vittime e dei carnefici. Utili nella loro prospettiva futura.

rivoluzione cubana

Ah, aver avuto la rivoluzione cent’anni fa! Ah, com’era degna l’arte cent’anni fa!

Arte in tutti i suoi aspetti; soprattutto, nel parossistico e goffo tentativo di razionalizzare l’irrazionale e dare il dinamismo di un’estetica pregna d’aspettative positive ad atti di cruda brutale cieca abominevole sordida violenza.

rivoluzione iraniana

Si pone tuttavia una sostanziale distinzione. Quegli atti, se nell’arte restano immaginazioni sensazioni e singulti emotivi, intimi e/o universali, del microcosmo dell’artista, razionalizzati dalla più o meno efficace sintesi estetica del gesto del tratto della mano artistica; nella rivoluzione ( seppur forma d’arte ) dette immaginazioni e sensazioni e singulti emotivi, intimi e/o universali, sono razionalizzati quando tradotti in atti rivoluzionari, collettivizzati e massificati, posti ingannevolmente alla portata di ognuno.

Questo processo di trasposizione non è solo virtuale ma gravosamente deleterio. I suoi esiti, come detto, saranno sommari e sanguinari.

medaglioni all'attacco

Medaglioni all’attacco!

Questi medaglioni che lanciano strali e sermoni, invettive e moniti, che auspicano maniere forti e censure coll’alibi del vittimismo, avete notato che son tutti anzianotti?
Son quei vecchi che han nostalgia della loro gioventù perduta e berciano contro chi la perderà.

Si sa che la gioventù è sciocca, sbruffona, teppista, spesso male informata dalla poca esperienza e dalle scarse letture. Si sa che anche sul termine “gioventù” ormai circolano ombre e presagi di “primavere di bellezza” e quindi esser dei giovani potrebbe aver poco d’auspicabile. Meglio sempre sperare nel rassicurante “phisique du role” del giovine anziano, avverso alle palestre, già condotto al pettinato lana grigio ed alla discriminatura. La gioventù però è fresca e può ( vuol ) sbagliare. Invece i vecchi, loro, non sbagliano mai, dall’alto della loro supposta esperienza.

Il “vaffanculo” è parola d’alto tenore culturale, così come quei “ponti di ferro” del Marinetti o quelle illusioni di guerre purificatrici degli espressionisti tedeschi, poi divenuti incubi pittorici e psicologici, o il “fascismo” di Carmelo Bene.

medaglioni all'attacco

I vecchi sono sterili e pretenderebbero di sterilizzare ogni cosa, d’emendare ogni stortura, di disinfettare il mondo.
E lo pensano nei social network, di cui sentono un gran parlare dal TG ma che, per ovvia ritualità d’appartenenza di classe, non frequentano, non capiscono, non conoscono!
La cosa peggiore che possa capitare è un moralista che fa la morale su ciò che non sa, è un esercizio d’ipocrisia supponenza e presunzione ripugnante se non fosse penosamente ridicolo.

La cosa più aberrante è riscontrare l’adesione a queste vampate post-tramonto ( o pre-morte ) da parte di giovani e medio-giovani che non sanno a chi dar la colpa di un fallimento ideologico.

È sapere d’inchieste e di commissioni che nascono per pretendere di “qualificare” un fenomeno esplosivo penetrante proteiforme e volatile, quale l’affermazione di un’impressione, la codificazione di un’emozione, un’umore, di cui gli stessi indagatori e studiosi sono parte integrante e sono fatalmente vittime e complici.

Gli esiti di tali condotte, presso il pensatore attento, sono solamente prove generali del ridicolo e la conferma che in un paese del tutto privo di serietà, ciò che non è per nulla serio è fondamentale mentre ciò che è serio è del tutto superfluo.

coraggio libertà ideali

Coraggio, libertà, ideali

In Italia è fortissima la faziosità politica. Tuttavia qualsiasi movimento o partito politico o gruppo associato per degli ideali positivi dovrebbe essere fieramente schierato contro: la corruzione, la rapina, la truffa, la mafia, la camorra, la n’drangheta… In una parola: la malavita.

Questi dovrebbero essere valori assolutamente condivisi da quei gruppi che intendono realizzare un programma politico. I rischi del mondo contemporaneo infatti, sono tutti innescati nelle organizzazioni criminali. Esse possono pervadere le istituzioni e i centri di potere, determinando danni incalcolabili ai beni della collettività, alla salute, all’amministrazione della giustizia, alla sicurezza, fino a distruggere le basi fondanti il sistema democratico causando quindi la morte del diritto.

coraggio libertà ideali

Mi riferisco ai gruppi appartenenti a vari schieramenti di ciò che ancora oggi definiamo destra e sinistra, che intendono interpretarne gli aspetti più estremi. Entrambi questi macrogruppi si organizzano nei cosidetti “centri sociali”, in locali al coperto ottenuti per vie lecite o illecite. Tuttavia le modalità sono spesso illecite e prendono la forma della “occupazione”. Occupazione: termine gergale ereditato dai tempi della contestazione, ancora caro ai nostalgici di quel momento breve ma significativo, che intende giustificare la necessità dell’atto illecito per il fine più alto della realizzazione dell’ideologia fondante.

coraggio libertà ideali

Il ruolo che hanno questi “centri sociali” è quello di riunire in un contesto d’omogeneità ideologica gli abitanti d’una zona del territorio e, quindi, di diffondere appunto quelle ideologie fondanti affinché si radichino in esso. In particolare le modalità assumono la forma della creazione di momenti d’aggregazione condivisione e strutturazione d’idee valori intenzioni obiettivi; tale modalità d’azione arriva ad essere molto pervasiva fino alla fornitura di servizi d’assistenza alle persone più deboli.

In particolare questi gruppi riscontrano successo nella parte più giovane e fragile della popolazione, che cerca in essi la possibilità di dare forma alla propria identità e scala di valori con la forza dell’appartenenza e della polemica. O addirittura cerca in essi un’opportunità per crescere in qualità di leader ideologico-politico.

coraggio libertà ideali

Tuttavia quali responsabilità s’assumono questi centri d’aggregazione e di diffusione d’idee ed ideologie?
Su quali basi sono creati e sostenuti questi luoghi in cui una parte della popolazione ed in particolare la più giovane, trovano riparo?

Pare che nella polarizzazione delle due parti, oggi ancora basata su un’improbabile lotta di classe, non vi sia spazio per alcun valore comune. Questo è fortemente sospetto, perché ormai quasi due secoli di progresso socio-politico dovrebbero aver smussato certe spigolature.

Ecco che qui si pone il problema della malavita, intesa come l’insieme delle molteplici e fantasiose vie che gli uomini hanno scelto per rendersi la vita un inferno. Come ben dice anche l’etimo della parola “mala-vita”.

Nella complessità contemporanea l’esistenza di luoghi d’aggregazione pubblica con fini politico-sociali in cui si stabilisca che, per il fine ideologico, sia necessario violare le leggi, è devastante. 

coraggio libertà ideali

I risultati sono facilmente verificabili nei fatti. Queste realtà non agiscono per mettere al margine i comportamenti illeciti e la violazione delle leggi scritte e non scritte della civile convivenza e dei principi fondamentali che regolano i rapporti tra le persone.

Essi pongono alla base del loro operato la faziosità, la violenza ostentata e praticata, tra loro e, ancor peggio, contro le istituzioni e chi è chiamato a mantenere l’ordine.

Alcuni potranno affermare che, essendo le istituzioni le prime a non rispettare leggi o principi, questi gruppi siano moralmente autorizzati ad opporre a tali violazioni altre violazioni.

coraggio libertà ideali

Niente di più sbagliato e qui non si tratta di teorizzare un principio pacifista o non-violento. Si tratta di logica e coerenza cognitiva. Un concetto che dovrebbe essere alla base delle società civili.

La mia personale esperienza con appartenenti a questi gruppi è sempre stata negativa e fonte di preoccupata riflessione. Costoro non prediligono il dialogo ma l’azione violenta. I loro spazi di ritrovo sono nettamente caratterizzati da simbologie esclusive, loghi di potere antico e moderno, schiaccianti simbologie che referenziano logiche d’appartenenza incondizionata. Le similitudini si possono fare solamente con le affiliazioni ai clan delle organizzazioni criminali.

In questi contesti non crescono le idee ma si costituiscono consensi attorno ad uno o più capi. L’obiettivo non è più ideale ma è quello di conservare l’equilibrio di potere. Divengono comitati d’opportunità.

coraggio libertà ideali

Un grave esempio pratico di ciò è osservabile oggi nella realtà della periferia di Roma. Come mai questi gruppi non si sono universalmente e trasversalmente coalizzati contro la dilagante oppressione mafiosa?

Come mai anche in altre realtà nazionali ( Campania, Sicilia, Calabria ) non è stata intrapresa questa concreta azione per contrastare sul nascere i fenomeni di criminalità organizzata?

Eppure questi gruppi sono radicati nei territori, ne respirano intimamente i drammi. Avrebbero tutti gli strumenti per scardinare, non le azioni criminali in sé ma la subcultura criminale e quella maglia fitta di paura omertà connivenza opportunità indifferenza che irretisce e sottomette, rendendo consapevolmente o meno complici e trasformando quartieri, sobborghi, frazioni, comuni, in cittadelle della malversazione.

Il servizio che i “centri sociali” potrebbero offrire sarebbe molto prezioso e formativo; oltre che imporre ad essi di scendere dal piedistallo delle ideologie astratte e d’emanciparsi da facili strumentalizzazioni, riuscendo a trovare un terreno comune d’azione per rendere migliore la vita quotidiana.

Ora io non sono a conoscenza di ogni realtà dei “centri sociali” e presumo che qualcuno si sia posta la mia stessa domanda e magari agisca proprio in quella direzione.

Quello che verifico è questa generale mancanza d’unitarietà di principio. Non comprendo questa faziosità che sostanzialmente mi pare volta più a distrarre e a dividere che a concentrare positivamente le forze del nostro paese.

democrazia mercificata

La democrazia mercificata

La democrazia non è solo la possibilità di votare un rappresentante politico che promuova istanze di un certo gruppo di persone, accomunate da alcune idee. La democrazia è un complesso insieme d’istituti e organismi che esercitano precise funzioni atte a consentire alla più larga fascia di popolazione l’accesso ai diritti e l’assolvimento dei doveri.

I diritti e i doveri sono quindi regolati da usi regolamenti e leggi che devono rispecchiare i principi fondanti le democrazie moderne.

Se usi regolamenti e leggi sono alla mercé di scambi economici o di interessi finanziari, abbiamo soggiogato dei principi fondamentali ed indisponibili al capriccio degli obiettivi di minoranze e questi obiettivi è fatale che non possano corrispondere al bene comune.

trattativa stato mafia

La trattativa Stato-mafia ne è un esempio; o la pretesa cessione di sovranità che qualche tempo fa auspicava un Primo Ministro accarezzatore di barboncini. Oppure quella che, sempre più, si presenta come la trasformazione del territorio nazionale in un centro d’accoglienza per ondate migratorie illegali in cambio di presunta benevolenza europea; mentre almeno 250mila italiani emigrano.

Ci sono troppe contraddizioni in questo modo d’interpretare la democrazia. Troppe forzature del diritto, oltre che di quel buonsenso del buon padre di famiglia che pretende responsabilità da tutti e premia e tutela chi dimostra impegno nel lavoro e nei sacrifici.

Stalin deportava gruppi etnici nella sua Unione Sovietica, al fine di sedare culture locali non troppo avvezze alla sottomissione. Perché quando si spostano gruppi etnici non si spostano solo persone ma anche idee ideologie convinzioni etiche e religiose.

In quanti modi dobbiamo e possiamo interpretare questa migrazione contemporanea?

Una superpotenza mondiale come l’Europa che resta inerme salvo consegnare tutto a qualche ong?

Difficile che sia una mera fuga dalla miseria considerando che non si tratta di viaggi organizzati dai governi ma di odissee a pagamento sotto l’egida di criminali sanguinari e spietati.

Potrebbe essere un’intenzione voluta e programmata come dicono alcuni.

Penso che ciò che importi invece sia la pretesa che in ogni aspetto di questa oscura vicenda la parola sia solo del diritto nazionale ed internazionale; perché quello è la base che i popoli europei si sono guadagnati in secoli di guerre soprusi dittature sterminii.

Una deriva da ciò sarà segno del fatto che la democrazia, così come l’abbiamo voluta e sofferta, da troppo tempo è messa sulla piazza del mercato a disposizione del miglior offerente.

giambattista tiepolo angelo con corona di gigli

Il significato della vittoria

Molti nella storia hanno considerato in modo diverso il significato della vittoria. Nella mia mentalità, ad esempio, cerco di tenere alla larga il verbo “credere”. Credere è un atto che non consente alcuna riflessione. C’è chi crede nella vittoria.

Questa espressione semantica: “credere nella vittoria”; può indurre appunto a caricare di significati irrazionali ed istintivi un concetto quale quello della vittoria. In questo modo la vittoria si traduce in competizione supremazia sopraffazione.

La vittoria invece dovrebbe essere parte di un senso elevato del nostro intelletto e quindi muovere quelle parti della nostra mente che si trovano nella corteccia cerebrale e non nel cervelletto.

Allora che significato ha la vittoria?

In un mondo dominato finalmente dalla nostra mente e non dalle nostre mandibole la vittoria è il conseguimento di un vantaggio. Niente più. Il significato non comprende il “conseguimento di un vantaggio” a discapito di un beneficio. Esso comprende solamente il “conseguimento di un vantaggio”.

Se utilizziamo la nostra mente in maniera adeguata possiamo comprendere che la sconfitta può non esistere se il significato della vittoria sia quello più completo e puro.
Esempio: una famiglia è vittoriosa quando consente a tutti i suoi componenti di condurre una vita felice;
esempio: una nazione è vittoriosa se non consente che vi sia miseria e discriminazione;
esempio: l’intera società umana è vittoriosa se consegue un vantaggio per sé. Tale conseguimento necessariamente non può comportare uno svantaggio per qualcun’altro altrimenti non sarebbe più una vittoria.

La vittoria ha senso solamente nel momento in cui non sottrae. La vittoria è un concetto additivo e non esclusivo. Fare gli interessi di qualcuno a discapito di qualcun’altro è un comportamento anti-etico e perdente.

L’economia è un’anfora di cristallo. Essa assume il colore di ciò che ci mettiamo dentro. È questo il bello dell’economia. A differenza della supremazia, l’economia è universale e relativa. L’economia quindi non è una scienza ma è una modalità d’interpretazione della realtà che cambia a seconda delle idee di chi ne fa uso.

Cito: “Intelletto v’è dato: a bene od a malizia.”
Ebbene l’economia è come il nostro intelletto. Essa cambia in funzione delle valenze semantiche del nostro linguaggio e della nostra scala di valori. L’economia è come la vittoria. Il più grande equivoco del nostro tempo è quello di aver inteso l’economia come una scienza capace essa sola di risolvere i nostri problemi, di donarci la felicità. Che alibi!

Così come la vittoria, che abbiamo scambiato per il desiderio di primeggiare e di sopraffare il prossimo. Se all’economia applichiamo il puro significato della vittoria comprenderemo in un istante come sia possibile superare qualsiasi attuale senso di sconfitta e di crisi. L’economia, nel senso della vittoria, è tale solamente nel momento in cui essa crea un vantaggio; in senso assoluto! Un vantaggio per tutti. Siamo stati noi, dando il destro al “credere” e facendo prevalere il cervelletto alla corteccia, che abbiamo dato un certo significato alla vittoria ed all’economia.

Scegliamo allora! Scegliamo una differente scala di valori e cambiamo in un istante tutto il nostro mondo.

Con queste parole voglio compatire tutti coloro che hanno associato ai risultati di una partita di calcio un presunto riscatto di un’intera popolazione nei confronti di altre. Voglio compatirli detestandoli. Voglio compatire anche coloro che intendono i rapporti economici alla stregua dei rapporti di forza imperialisti e che lodano i paesi che avviliscono il lavoro del proprio popolo sottopagandolo. Voglio compatire anche chi non ha il coraggio di chiedere ed ottenere che tutti questi falsi fuorvianti e pericolosissimi disvalori continuino ad inquinare le menti dei nostri figli.

È giunta l’ora di modificare i nostri parametri interpretativi del significato dell’economia. Quell’anfora di cristallo è piena di liquami putridi. È giunta l’ora di modificare il nostro senso di vittoria altrimenti saremo tutti perduti.