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Morte di un eroe

della persecuzione della tortura e dell’omicidio di Aleksej Naval’nyj

Infine lo hanno fatto. Per l’ennesima volta il regime russo ha terminato un suo oppositore. Una lunga e collaudata tradizione quella russa o sovietica o zarista che dir si voglia.

Il dittatore con la faccia da alimentarista, che già Boris Nikolaevic El’cin in punto di morte aveva indicato come un gravissimo pericolo per la nazione, ha fatto crepare il prigioniero a ridosso delle elezioni. Lo ha fatto per incutere ancor più terrore ( come non bastasse quello che già circola ) nelle vene dei russi che hanno ancora un poco di sangue in corpo; dei russi che ancora non sono stati trasformati in zombie, che sono già una strenua minoranza.

La tradizione zarista-sovietica-russa è adamantina: la morte stessa è un mistero, camuffata, equivocata, sottilmente infusa o instillata poco alla volta tra le pareti gelide di una prigione siberiana. È la scenografia che funziona, da un’idea di onnipotenza, pone la struttura del regime in un’aura semi-divina che tutto può ed ovunque arriva. Il sistema perfetto per opprimere milioni di esseri umani e far loro accettare in silenzio settecentomila morti ammazzati in guerra; fino a far loro divenire ingranaggi stessi di quel sistema, istituzionalizzati buoi da tiro del regime.

Se da un lato abbiamo l’orrifica impenetrabilità balcanica, dall’altro qui da noi abbiamo il teatrale ridanciano cinismo che non è men crudele.

“Un nazista di meno!”; “Ben fatto!”; “guarda cosa aveva tatuato sul petto!”

Questo è il minimo compendio delle reazioni italiane border line alla notizia di questo assassinio. Il rutilante scolorito squallido mondo di chi crede di riferirsi a valori di progressismo di antifascismo mentre effettua il saluto nazista per solidarietà verso i terroristi arabi.

Il valore della vicenda è che un oppositore al regime è stato perseguitato e poi ucciso. Avanti alla situazione terrificante in cui versa il popolo russo, che non ha mai conosciuto la democrazia, era una delle poche reali possibilità che esso avesse per iniziare a comprendere il valore e la responsabilità della libera scelta.

Rallegrarsi perché quest’uomo, che ha affrontato la morte con tale coraggio, sia stato infine assassinato, pone chi lo fa al livello miserevole di chi disprezza i minimi principi morali che consentono una convivenza basica.

Da tempo la misura è colma delle cose ottuse che leggo nei social; ma pare che all’orrido non ci sia limite. Un sacco di gente che non ha la ragione, che non è capace di cogliere i valori elementari che ci fanno umani.

È morto un eroe, un uomo che ha dimostrato sconfinato amore per la propria gente, nonostante tutto, che ha affrontato un sicuro martirio perché, nell’impossibilità di avere un leale confronto, ha scelto di diventare un simbolo un esempio.

È stato assassinato un eroe; perché gli eroi sono sempre scomodi, perché non assecondano tutti i nostri modelli che abbiamo in testa di come dovrebbe essere un eroe. Per questo era un eroe. Si era contraddetto, era considerato un imperialista, aveva anche giustificato l’annessione della Crimea. Era controverso perché era un eroe.

Cosa sarebbe divenuto se avesse sostituito Putin al potere?

E chi lo sa?

Zelensky aveva impostato il suo premierato con l’idea di ragionare, negoziare, dialogare con la Russia e ne è diventato il più grande nemico in guerra. I grandi uomini, gli eroi, hanno questo in comune: non si fanno troppi problemi a cambiare idea, a cambiare progetto, a cambiare ma in ragione dei loro valori, dei loro ideali. I vili e ripugnanti invece non cambiano idea non cambiano i loro progetti perché non hanno ideali o valori ma solamente la loro insaziabile sanguinaria sete di potere.

Cosa ci sta insegnando questa invasione e questa guerra nel cuore slavo d’Europa?
Di certo non pretende di trasmetterci concetti difficili contorti che richiedano chissà quale sforzo intellettuale. I fatti sono limpidi e forse mai come nel 1939/1945 il bene ed il male sono stati così distinti, eppure anche a queste lapalissiane condizioni e dopo i trucidi passati trascorsi di cui ancora abbiamo memoria vivente, non riusciamo ad essere coesi, a condividere un minimo di veduta.

Se facessimo un sondaggio non ci troveremmo tutti concordi nemmeno sui valori più fondamentali che siano mai stati concepiti e questo è allarmante, è preoccupante. Questo è il segno che le basi su cui abbiamo fondato le democrazie post belliche sono indebolite, compromissibili. Si tratta di un fenomeno che ha agito negli ultimi trent’anni insinuandosi tra le buone intenzioni di gruppi di pensiero nelle università nelle segreterie dei partiti. 

Stiamo vivendo un periodo fondamentale della storia contemporanea che decreterà o la fine o il rinnovamento di molte istituzioni politiche ed economiche oltre ad alcuni imponenti balzi avanti tecnologici. Dobbiamo sperare che il miracolo del 1945 possa ripetersi o saremo travolti dalle tenebre.

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Alcune piccole radici del male

come il maligno s’insinua nella mente umana

Esistono le persone malvagie?
Si, esistono e fanno parte del grande insieme di coloro che hanno disturbi psichici ( vuol dire tutto e nulla visto che almeno il 75% della popolazione ha disturbi psichici ); ma la malvagità è un universo di sottilissime sfumature tra le quali ci si perde tanto da scambiare certe persone malvagie per semplici ignoranti o sempliciotti.

Qui vorrei accennare ad un insieme di soggetti che sono diventati molto noti negli ultimi 15 anni con l’avvento dei social network, con alcune conseguenze che reputo pericolose. I social ci consentono di uscire virtualmente di casa e di confrontarci praticamente con chiunque. Come se ci mettessimo a parlare in piazza con tutti quelli che passano.

Ecco che questa nuova e potente risorsa ci ha mostrato principalmente aspetti degeneri e negativi perché, come la stupidità, sono i più comuni nella generica popolazione umana.

I meschini

Tra questi mi colpiscono particolarmente quelli propri di coloro che insultano scienziati, ricercatori, esperti, professionisti; negano risultati di studi, sussistenza di scoperte. Svelano una forma psicopatologica antisociale piuttosto ripugnante perché del tutto lampante e stridente con il più semplice buon senso; qui, infatti, le sottigliezze non contano.

Da cosa ha origine questa degenerazione, questa perversione?
Mi arrischio, addentrandomi con la sola guida del mio intuito e di qualche lettura, con un parere. Questi individui sembrano divenuti adulti senza aver ricevuto un minimo d’educazione e di nozioni ( forse sono alla terza media ma non è detto ). Le loro famiglie li hanno trascurati, sono cresciuti in ambienti privi di stimoli, superficiali, incentrati esclusivamente sul materialismo, sui bisogni primari e sui tristi disvalori dei meschini.

Giunti alla forma fisicamente adulta, col vissuto che ovviamente si portano sul groppone, accedono al web e poi al social, dove vengono letteralmente bombardati da migliaia d’informazioni e notizie d’ogni tipo. Se poco poco escono dalla loro consuetudinaria realtà, che il web è dispostissimo a propinare per indispensabili interessi economici, si ritrovano altre migliaia di notizie ed informazioni che sconfinano tra letteratura filosofia economia scienza medicina politica. Si ritrovano disorientati, privi del caldo comfort che offriva loro il gossip, l’esito sportivo, il populismo becero, il porno-giornalismo, l’alluce valgo, la calvizie, il pronto moda, lo stupro, la carneficina domestica.

Precipitati quindi dal letto della loro squallida esistenza consumistica e cronachistica, si svela loro questo nuovo mondo che, se prima era appena percettibile e lasciato a luoghi alieni come università, scuole, centri di ricerca, laboratori, studi, o anche rubriche specialistiche di programmi tivvù ( facilmente trascurabili con lo zapping ), oggi, con l’euristico algoritmo dei social, può divenire assillante richiamo ad una coatta pseudo-riflessione sulla propria condizione d’inadeguata arretratezza.

Far fronte a tali pesanti aggressioni alle proprie certezze è dura. Credono di poterle ignorare ma infine il subconscio ( lo hanno tutti ) si ribella e fa soffrire. Reagiscono allora ricercando appigli che diano la tanto agognata conferma che, anche in quel mondo così immenso e disorientante del sapere, vi sia qualcosa di sbagliato e corrotto ( come loro ) che li faccia rasserenare.

I ciarlatani

Ecco che entrano in gioco i ciarlatani. Parlano la loro lingua e affrontano quel colosso facendo loro credere di poter avere la meglio. I ciarlatani divengono i loro eroi, quelli che possono riscattarli rassicurandoli di essere nella posizione giusta, infissi sempre più a fondo nella loro condizione miserevole e ottusa. La paura passa e grazie a pompate di endorfine, si sostituisce con una fiera e baldanzosa presunzione; con poco o nessuno sforzo ce l’hanno fatta!
Hanno sconfitto il colosso del sapere!!
Grazie al ciarlatano possono insultare l’astronauta, irridere l’ingegnere, denigrare l’architetto, snobbare lo scrittore, maledire il naturalista, ignorare il medico, avvilire l’artista e, soprattutto, negare passo passo ogni verità scientifica o fatto storico che abbia superato ormai da tempo la prova della confutazione. 

Il sollievo è integrale e rafforza il senso di sicurezza. È come come quando il pubblico ride avanti alla gag del comico. Quella risata ha una componente apotropaica, depura la coscienza illudendoci, ponendoci in una posizione d’alterità rispetto al comico. Ridiamo di ciò perché crediamo di non essere ciò di cui ridiamo. Ecco perché la comicità e la satira hanno una pericolosa potenzialità sul pubblico ( ne parlerò altrove ).

Questi individui sono invertiti e cercano autorevolezza e conferma in ciò che gli somiglia. Altrimenti dovrebbero ammettere di essere ciò che sono.

I moralistici

A questo punto, da profano, avrei anche esaurito l’argomento ( di per sé arido ), se non fosse per una reazione che negli ultimi tempi verifico sempre più spesso in quelli che vogliono opporsi alla massa putrescente di questi meschini. Si tratta di un altro gruppo di persone convinte di detenere le redini del giusto, del bene, del sano, del sapere e, soprattutto, di avere il diritto d’auspicare pubbliche forme di contrasto a quegli altri, sono i moralistici.

“respirano il nostro stesso ossigeno”

All’inizio le reazioni s’incentravano sul fatto che disgraziatamente quelli respirassero il nostro stesso ossigeno. Si trattava ovviamente di humor nero piuttosto esagerato in contrasto alle enormi bassezze dei primi ma quella considerazione veniva ripetuta ed implementata in pagine e gruppi, finché col tempo essa si è persa, forse per l’intervento dei moderatori che hanno sanzionato chi la diffondeva.

“essi votano”

Debuttò allora la meno violenta ma più subdola espressione “essi votano”, impossibile da censurare ma che invia un messaggio parimenti, se non più, preoccupante del primo. Un messaggio destabilizzante per la stessa strutturazione del nostro sistema democratico. Infine pare che il peggior danno non lo causino i meschini che ho descritto ma i moralistici, presunti sani ed autorevoli.

Questi ultimi infatti licenziano l’idea di negare diritti universali a porzioni di popolazione sulla base di giudizi morali e di merito socio-culturale, facendo il paio con chi centocinquanta anni fa riteneva che chi non avesse titoli di studio ( e magari non fosse maschio ), non dovesse accedere alle urne.

Temo che il placet a questa ondata d’elitaristica repressione avverso il dilagare dei meschini operata dai moralistici, che valuto del tutto simmetrica ed equidistante a ciò che sia bene e giusto e conforme a principi fondamentali di eguaglianza e civismo, l’abbia dato ( involontariamente ? ) il compianto Umberto Eco.

umberto eco citazione legioni imbecilli social network libertà parola premio nobel

Agli esordi del web come strumento di comunicazione di massa nella sua forma popolarizzata dei social network, forse in preda ad un momento di rilassamento conviviale e confidenziale, affermò che i social sono pieni d’imbecilli con lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel. L’affermazione, per quanto si possa ampiamente condividere, fu la miccia che accese l’irrazionale replica di altre legioni di imbecilli: i moralistici.

Questi, dotati probabilmente di un’istruzione superiore a quella dei meschini ma certo della medesima presunzione e protervia, oltre al non aver assimilato solidi valori morali positivi, si sono girati il film in cui assumono il diritto/dovere di poter negare libertà civili ai secondi. Magari sono le stesse persone che in altri contesti blaterano vacuamente sull’identità di genere o sulle minoranze etniche o sulle popolazioni perseguitate o su fantomatici domini d’apartheid, fino a discettare sui benefici della pace e del disarmo universale a tutto vantaggio delle popolazioni invase.

Conclusioni

È preoccupante tutto ciò?
Ebbene sì, lo è perché ciò che affermiamo con la parola o con lo scritto e che iniziamo a ripetere compulsivamente, seppur esecrabile, ipocrita, falso, fuorviante, crudele, violento, corrotto, sovversivo dell’ordine del diritto, lesivo delle libertà fondanti, originato da bias cognitivi e convinzioni errate, diviene col tempo realtà fondata e valore sul quale poi si basano le nostre scelte collettive. Sono i semi che gettano poi alcune piccole radici del male.

header carmelo bene vicende già note

Carmelo Bene, vicende già note

come al solito per gli artisti solo disprezzo

La misera cronaca che segue è la giusta scarna cronologica sequenza di ciò che merita quello che fu dell’artista e suo materiale ricordo. 

Carmelo Bene è deceduto il 16 marzo 2002. Alla morte di Carmelo rimasero Maria Luisa, sorella, attrice, co-sceneggiatrice, musa di Carmelo e suo figlio Stefano; costoro ereditarono la proprietà della Casa Turca che fu set di “Nostra Signora dei Turchi”.

La casa venne messa in vendita e Maria Luisa si trasferì in una casa più piccola in affitto lasciando praticamente arredata la Casa Turca che passò in gestione ad un architetto con la smania della poesia e degli affari che pensò di farne un Bed & Breakfast. 

carmelo bene casa turca patrimonio dell'artista santa cesarea terme

Il 15 ottobre 2013 purtroppo viene a mancare anche Maria Luisa ed erede universale restò Stefano che cercò di recuperare dalla Casa Turca tutto ciò che poteva, prima che venisse alienata e trasformata in un’attività ricettiva. 

Vi furono proteste, sit-in, raccolte firme, petizioni, per sensibilizzare il Comune di Santa Cesarea Terme in ordine all’acquisizione dell’immobile per farne il museo “Casa di Carmelo Bene” ma tutto fu inutile. 

Stefano De Mattia, figlio del primo marito di Maria Luisa ha ricevuto in dono le poesie giovanili e l’ultimo libro “Ho sognato di vivere” ed ha recuperato anche molto altro materiale, purtroppo non tutto perché vive in un mini appartamento a Roma. Con questo materiale egli ha anche organizzato una mostra sempre a Roma. La Bompiani ha ignorato le opere di Bene per 19 anni ma è normale. Tutti i poeti dovrebbero scrivere il medesimo epitaffio: “NE RIPARLIAMO TRA VENT’ANNI”. 

carmelo bene casa turca patrimonio dell'artista santa cesarea terme

Ciò che sciaguratamente è rimasto nella Casa Turca che Stefano non è riuscito a recuperare è di proprietà di capre e somari, incapaci di comprendere e dare il giusto valore a ciò che possiedono.