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Pasolini e le prove che non aveva

io so

Tra novembre 1974 e giugno 1975 Pasolini scrive qualcosa che, a mio parere, è da considerarsi il fulcro sul quale poggerà per i decenni a venire tutta la comunicazione di massa ed alla quale poi seguirà la valanga d’infodemia e di propaganda bianca grigia e nera prima nella semplice rete internet e poi nei social media, fino al paradosso odierno in cui i mass media seguono letteralmente le tendenze dei social media.

Pasolini è il primo ad adoprare questi metodi?
No, certo; ma è tra i primi a democratizzarli. È il primo a stanare la propaganda dagli austeri mezzi di comunicazione, un tempo esclusivi testimoni del contemporaneo, per darla ad uso e consumo di ognuno. Ottiene questo esito nel momento in cui dichiara d’essere un intellettuale e distingue tra politici, frequentatori della politica e intellettuali; ma andiamo con ordine. Procuriamoci il brano pubblicato nel novembre 1974; quindi una seconda parte pubblicata nell’agosto 1975, entrambe sul Corriere della Sera; questi ed altri articoli fecero poi parte della raccolta “lettere luterane”. 

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Ecco qui sopra la prima parte del brano. Pasolini contestualizza un periodo storico tra il 1968 ed il 1974 quindi si occupa di attualità, indica alcuni fatti tragici e dichiara di conoscere i responsabili di quei fatti. Conosce responsabili, mandanti ed esecutori materiali; ma no solo. Egli dichiara anche di conoscere chi gestisce le fasi della tensione! 

gli ambienti clerico-fascisti e della DC

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Pasolini dichiara che tutto ha origine negli ambienti clerico-fascisti i quali avrebbero inizialmente creato una tensione anticomunista e quindi in seguito assoldato dei criminali comuni ( magari anche tra le file della mafia ) per instaurare una tensione antifascista. 

Sono dichiarazioni esplosive poste con lucido rigore tattico all’apertura del brano in modo da focalizzare l’attenzione e dare subito una chiave di lettura: il vero grande problema è la DC corrotta.

Tuttavia quello che poteva avere la valenza di uno scoop, in poche righe si sgonfia; l’autore con semplicità afferma di non avere né prove né indizi. Non sa nulla quindi. Tutto ciò che ha dichiarato è semplicemente cosa? Vediamo.

Io so perché sono un intellettuale

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Ecco che Pasolini ci rivela il suo ruolo. A leggere la descrizione che egli fa dell’intellettuale potremmo oggi paragonarla a quella di un mero complottista affetto da infodemia. Come sono labili i confini tra un grande letterato ed un mentecatto ( è sempre così sappiatelo! ), se consideriamo che oggi molti complottisti sono pure scrittori pubblicati da case editrici o che nel web diffondono le loro teorie con materiale audiovisivo e testi scritti.

L’autore tuttavia è profondamente limpido e dichiara che le sue sono produzioni romanzate frutto dell’immaginazione se non anche della pura e semplice finzione. Purtroppo questa parte del brano è stata rimossa dalla seguente narrazione popolare, è rimasta conservata nei documenti ma non ha fatto più parte della vulgata, come anche quella che seguirà dedicata al Partito Comunista, ciò perché i mentecatti prevalgono. 

I giornalisti ed i politici sanno ma non riferiscono

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Pier Paolo ancora procede su quella che oggi sarebbe derubricata a “lagna del complottista” che accusa il “sistema” di celare colpevolmente ciò che egli va scoprendo con l’aiuto del solo suo fiuto/istinto. Assume quindi, nel vuoto istituzional-mediatico, la responsabilità di “fare i nomi”, perché egli, essendo intellettuale, non avrebbe nulla da perdere e non sarebbe compromesso col potere. 

L’intellettuale non può abbassarsi al rango del potere

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Essendo ben consapevole del cinismo nostrano prevede l’ovvia obiezione di chi lo inviterebbe ad appressarsi al potere per carpirne quindi i segreti, magari a tradimento o con sottili espedienti. Ecco qui che il poeta pronuncia uno dei suoi più bei aforismi “IL CORAGGIO INTELLETTUALE DELLA VERITÀ E LA PRATICA POLITICA SONO DUE COSE INCONCILIABILI IN ITALIA.”

Si tratta di uno dei concetti chiave di questo brano che ha un ruolo duplice: associare subliminalmente la verità all’idea dell’intellettuale; esecrare la pratica politica come mera attività di falsificazione. Questa però è un’azione politica, è una presa di posizione ideologica drastica che ha i tratti del postulato e che quindi, in questo ambito ( che non è la geometria ), assume il profilo del dogma. Ricordiamo sempre che Pasolini non ha alcun dato sufficiente ad esprimere una valutazione razionale intesa esclusivamente a riportare lo stato dei fatti. Gli aforismi sono sempre armi a doppio taglio e devono essere frutto di profonda riflessione prima di divenire pubblici e Pier Paolo lo sa benissimo. Infatti questo aforisma è ancora attuale e potrebbe essere universale; tuttavia è il rapporto tra politica e consenso che pone pesantemente la questione della trasparenza e non tanto l’appartenenza a questo o quel partito ed è qui che Pasolini inizia a camminare sul filo del rasoio. 

Ruolo dell’intellettuale nell’immaginario borghese italiano

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Dal principio di verità quindi segue, nella ferrea logica della retorica raffinata dell’autore, un excursus sulla condizione dell’intellettuale che sembra un excursus ma che, invece è un altro dei capisaldi del brano. Cos’è infine “intellettuale”?
Per il borghese medio trattasi di un parolone che richiama una figura idealistica proiettata verso discussioni sui massimi sistemi, magari un pedante isolato nei suoi pignoli ragionamenti accademici; un titolo onorifico, una croce estetica, una figura goffa e quindi facile all’asservimento. Tale coacervo di presunzioni sgorga dal retaggio dell’antica cultura ecclesiastica innestata con cura alle ataviche tradizioni rurali, che effettivamente sussistono ancor oggi. Questo si è un passaggio di assoluta verità, di confidenza fraterna che Pasolini ci riserva e che ha probabilmente motivato la nascita dell’intero brano. 

Opposizione al potere, il Partito Comunista

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Nel 1947 il poeta venticinquenne si iscrisse al PCI di San Giovanni di Casarsa e ne divenne segretario ( nell’ultima intervista prima della morte nega simpaticamente di aver aderito ad un qualsiasi partito politico ). Mai egli ha ritrattato la sua fede comunista. Qui espone con ampi particolari ciò che per lui è il Partito Comunista Italiano e lo pone nel contesto politico nazionale come un’isola d’eccellenza in un mare d’abiezione. L’apice della propaganda grigia è stato raggiunto, ormai agli sgoccioli del brano, per coloro che sono giunti fin qui si svela la luce, il possibile rimedio. Pasolini è talmente abile colla sua retorica da pensarlo come Partito-Ambasciatore in un paese ostile ma non solo, vedremo poi. Giunge quindi in soccorso dell’intellettuale un grimaldello che ha il genoma compatibile al potere per estrarne le informazioni desiderate. 

Il compromesso

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Rimarcando quella che indiscutibilmente è la lungimiranza del Segretario Nazionale del PCI Enrico Berlinguer, il poeta inserisce nel brano la parola chiave “compromesso” per ben due volte in due righe evidenziandola tra virgolette ed indicandola con l’aggettivo “quel” per trasmetterne la non paternità e quindi per darne anche maggior autorevolezza. Alla parola alleanza è riservato si lo stesso inquadramento nelle virgolette ma per esaltarne un significato lato, assolutamente strumentale, affinché le distanze tra le fazioni siano mantenute ben distinte. Pasolini, dopo la bella entrata sul palcoscenico del suo partito di riferimento, ne traccia velocemente il più importante dei suoi punti programmatici, che sarà in seguito la causa di uno dei momenti più tetri della storia della Repubblica ma per allora, purtroppo, il poeta sarà già assassinato. 

L’opposizione è contro-potere

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Ecco qui il successivo sottile esempio di retorica. È controproducente che nella soluzione prospettata non vi sia alcun tentennamento, alcuna criticità. Questo potrebbe smascherare il propagandista ed affossare lo scopo del suo impegno perciò: il Partito Comunista come opposizione al potere è anch’esso un potere e come tale si comporta sia in ordine alla verità che in ordine al suo rapporto con la funzione dell’intellettuale. Piomba quindi, ancora drastico, il giudizio aprioristico e dogmatico già visto in precedenza che ci riporta all’aforisma, chiave di volta dell’intero brano. 

verità politica e pratica politica

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Pasolini s’addentra in una deduzione che ha come premessa un pregiudizio, giungendo ad un corollario all’aforisma: si deve distinguere “verità politica da pratica politica”. È non dissimile dal luogo comune de “tutti i politici sono ladri!”, è uno slogan; certo uno slogan di elevata raffinatezza ma pur sempre uno slogan che gioca nella struttura articolata di questo brano di propaganda grigia. Insomma, resta inutile l’impegno dell’intellettuale che ha in ripugnanza la politica, per addivenire alle responsabilità nominali peraltro già individuate a livello di area politica. Inutile perché vige una regola aurea che fa omertoso colui che pratica la politica.

Sfiduciare o non sfiduciare?

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L’accidentato percorso di questo brano, insidioso e seducente, ripropone alle battute finali la vexata quaestio su ciò che dovrebbe deve dovrà compiere l’intellettuale. Quali responsabilità sono poggiate sulle sue spalle indipendenti?
Ebbene, dopo essersi sollevato dalla responsabilità di assurgere al sapere avendo in disprezzo il potere, dopo aver professato la sua aderenza al potere nella sua forma transeunte di contro-potere ( perché lo scopo di ogni partito politico è prendere il potere ), dopo aver insinuato, in forza della sua autorevolezza d’intellettuale estraneo alla definizione borghese, di sapere la verità; ecco che rinuncia al rischio che tale attività comporta perché aderisce ai principi “formali” della democrazia ed al suo credo nel Parlamento e nei partiti. Perché io si che qui ci vedo una rinuncia al rischio, calcolata con due potenti variabili: quella del credo politico, quella della fiducia nella figura di Berlinguer.

Mozione di sfiducia

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Infatti ecco qui il finale, nel quale Pasolini lancia un chiaro appello a Berlinguer affinché ponga le basi per il cambiamento della società italiana nella direzione che lui suppone essere quella corretta, senza scontentare la nazione che ha consegnato l’Italia alla democrazia che a quei tempi esercitava un immenso potere d’influenza sulle decisioni di politica interna. 

Pasolini entra ed esce dai suoi personaggi: è complottista, poi intellettuale, poi militante politico, poi nuovamente intellettuale, poi fedele difensore dei principi repubblicani. 

Pasolini è abile manipolatore di un genere di propaganda parecchio raffinata, la “propaganda grigia”. Quella che mescola fonti attendibili a mere illazioni affinché le prime diano valore alle seconde ed una delle fonti attendibili è propriamente egli stesso grazie alla sua monumentale autorevolezza di pensatore e la sua popolarità dovuta a eccelsi meriti, oltre che ad un’estetica accattivante.

Colpo di Stato

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Ad agosto del 1975 tuttavia il poeta decide di dar seguito alla sua intenzione di fare i nomi, chissà per quali motivi decide di cambiare drasticamente linea; forse aveva iniziato a sospettare di essere nel mirino anche perché incombevano gli anni di piombo e quelli come lui le cose le sentono, hanno il fiuto.

Il brano ( qui un estratto ), a differenza dell’altro, è una cascata di furia e sano rancore. È uno spietato elenco di responsabilità che vanno ben oltre le terribili stragi, delineando il quadro impietoso dell’Italia del boom economico. Chissà, tra il novembre 1974 e l’agosto 1975 il poeta attese un riscontro che non ricevette.  

Amare conclusioni

Pasolini lascia questa preziosa documentazione che più che essere una testimonianza è una sintesi metodologica di come dovrebbe funzionare un’azione di propaganda leale ed efficace.

Purtroppo l’uso che si fa delle sue parole, sforbiciate rimediate se non manipolate ai fini dello spettacolo, contribuiscono a licenziare “autorizzazioni morali” a milioni di persone che danno sfogo alle più assurde e strumentali menzogne utili a campagne di destabilizzazione del regime democratico ( per quanto discutibile ed imperfetto ) e lo scivolamento verso l’ansiosa ricerca di nuove forme di potere o verso un sordido anarchismo se non una più semplice e crudele cleptocrazia.

Il video che qui segue sembra un innocuo omaggio alle parole di Pasolini ma, per il fatto di essere stato estratto e ridotto ad alcuni dei passaggi più emotivi, quelli che l’autore mise giustamente all’inizio ma che erano funzionali al seguito, concede appunto quelle “autorizzazioni morali”.