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Luke il cannolicchio

A nord del piccolo mare dai bassi e fangosi fondali, s’allunga la striscia di terra, ereditiera di dune ammonticchiate da correnti e venti del sud e dell’est, trattenute poi da canne e piccole psammofile eroiche. Ella, coi millenni razziò i flutti d’una laguna tiepida dolciastra rilucente.

Fin da piccola attirò innumeri esserini, desiderosi di non far solo i locatari del basso mare ma d’osare periodici capolini all’aria, magari quando le stagioni cambiano il turno e tutto è pieno di promesse o di venti severi ancora fragranti, appena usciti dal forno estivo.

Tutti lor quanti erano, migliaia di migliaia, rotolati fuori dai frangenti o spinti delicatamente da deboli increspature della bonaccia, davano alle dune qualcosa in cambio. Microorganismi utili alla costruzione: batteri e alghe così da formare lo sterminato campo di viscida tenuta alla corrente, trattenendo sali minerali, silici, carbonati, resti organici.

Quando l’opera d’equilibrio stocastico e destino fu imperiosa avanti le coste della piana regione nordica, infilata come un tovagliolo sotto il pentolame ribaltato della pedemontana a ridosso delle vette zigzagate sul fondo del cielo, giunsero esseri senzienti insofferenti all’abbandono del fato. Bipedi di media altezza e glabri, coperti di materiali non loro, elaborati coll’auspicio d’articolazioni prensili.

Presero, con quelle stesse, possesso del luogo ormai maturo, prima che abdicasse ai limi. Lo colonizzarono non solo ponendovi i loro nidi ma piegandolo nella sua mutazione ai propri desideri, imponendo persistenza e facendone tutto rifugio e dispensa.

Nei secoli costruirono e ricostruirono, costringendo gli accidenti a coincidere accrescendo quella che era una debole linea di sabbia ed incerta, sorta a confinamento delle acque lagunari che torrenti e fiumi andavano addolcendo.

In mille anni e più, fu compiuta la civiltà senziente e tecnologica, capace di normare il diritto del singolo e la tanto perseguita dai loro pensatori “civile convivenza” che tramutò l’animale inumano nell’animale umano, a suo dir, levato sopra i capricci istintuali da fondata ragione.

Ora, una notte d’agosto; quando quella civiltà ha impilato tomi e tomi di storia, costruito templi e palazzi e ville e nobili cimiteri per generazioni di nonni, sparso nel mondo i suoi simili ed instancabile, corso alla ventura per premure d’ogni negozio, dai flutti d’acquatico inchiostro, appena agitati da brezze d’oriente, enorme oggetto emerge.

Pare un tronco, dei tanti, divelti e raminghi dalle terre selvagge, che poi si lascian decomporre sulle sabbie. Poi è proprio tutt’altro, non tondo ma piatto, verticale sull’onda in gran parte sommerso ed oscilla e mostra una fessura: ora più, ora men stretta.

È leggero? È pesante? Galleggia? Più che altro ondeggia dritto e fa supporre che gran parte del suo sia sotto, immerso nell’acqua d’inchiostro della notte d’agosto.

Tra i milioni e milioni di piccoli e men piccoli esseri che vivono in quel mondo ondulatorio e bagnato, nulla è cambiato ma ora tra loro, in quell’anarchia della battigia, ritiratosi di poco il mare, è giunto un colosso bruno di sali di calcio dell’acido carbonico. Svetta in aria per venti metri, largo due e chissà quanto ancora è conficcato nella sabbia pesante d’acque. Istoriato da sottili strisce parallele e trasversali all’altezza, segnanti la crescita, è quindi vivo, o lo fu.

Ora che il sole sporge dallo sfondo blu, piatto, tagliato di netto ed arranca in quell’altro blu che si fa azzurro, in tutta la sua possanza s’ammira il guscio dell’immane mollusco.

Ai timidi silenzi notturni era ben più aperto. Alla velata alba, calma ma costellata di freschi richiami di gabbiani voraci, il guscio è più chiuso ma il colonnare impianto del tutto indifferente al rischio, che per altri simili infinitamente più piccoli è assoluto; infatti tutti lor son pronti al vertical risucchio che simula tumulata pompa d’inusitata potenza, sepolta da qualche antico ingegner buontempone. Così quella sfilza sparisce avanti la foga alare dei pennuti; ma quello no. Resta immobile, indifferente, a godersi il clima.

L’ultimo colono s’imbatte nella creatura fuori scala, fuori dal mare, in buona parte ( forse ) fuori dalla sabbia.

È quello che al mattino passa per primo di là?

Forse; ma è colui che s’accorge che qualcosa è cambiato. È un signore che, retto da instancabile orgoglio salutista, si produce con comoda costanza nel podismo mattutino in quei bordi fragorosi, intrisi e cedevoli.

La sicumera abitudinaria, comprensiva della duplice realtà: instabile ai piedi e monotona al viso, induce lo sguardo a volger presso il basso rimirando il passo, più o men forte, più o men leggero; tale usanza, ormai rappresa nei tempi ripetitivi dell’esercizio, espone lo sportivo al brutal cozzo con rugosa e dura scorza del gigante costiero.

È più impatto o spavento che produce grido e schianto?

L’altro nemmen vibrò mentre chiavi cappellino smartphone ed il primo eseguivano, con distinte parabole, cadute libere al terreno.

Silenzio! Per poco sol piccole onde e brezza. Un lamento, un’imprecazione irriferibile e quella domanda: “ma che casso xeo?”

Stupore si fa largo tra dolore e sorpresa. Sbattendo via la sabbia con la mano e con l’altra al naso sanguinante, ricerca l’insostituibile strumento che immediato testimoni quel vero. Eccolo, tra i granelli in parte infisso, acceso, poco inumidito. Eccolo, colla ridda di funzioni a protendere e replicare memorie. Eccolo scuro piatto sottile, più ampio dei telefonini, ridicoli walkie-talkie a tariffa.

Scorre il dito tremante pel recente shock, avvia l’app, induce col click, imposta il frame, produce il file, passa al social, stabilisce il topic, inserisce il text, avvia il thread.

Non s’è alzato e già s’è gettato in quel mondo promiscuo di strafinzione ed iperrealtà.

S’allontana quanto basta per unirsi ad altri suoi che già spuntano da dune, scogli, cespugli, come ogni mattino d’estate. Biascicano, improvvisano goffe lezioni di scienze naturali, pregano, imprecano, richiamano miti, vaticinano. Innumeri stregoni e dotti, quasi avesser già pria ordito adunanza.

La rete incalza e s’impregna dei piccoli atti da nulla che, come spluvie, espandono l’incendio. Il passaparola è titolone di giornali assetati, notizia di telegiornali asfittici, dibattito e lite di triti talk show.

Creatura gigantesca appare sulla spiaggia del Lido! Enorme mollusco spiaggia al Lido! Bivalve mostruoso scoperto nelle acque di Venezia! È l’inquinamento! È il riscaldamento! È la radioattività! La globalizzazione! È la grande nave! Ecco comitati pro-mollusco e no-mollusco! Raduni ambientalisti coi fuocherelli canne e chitarre! Chi vorrebbe cucinarlo per un’immensa abbuffata! Bagnini protestano! Disordini alle spiagge! Troppi escursionisti! Forte calo dei noleggi di pedalò! Non si consumano gli spritz! Non bastava la pandemia, adesso ci si mettono anche i molluschi! Il Sindaco convoca la sala operativa! Le Frecce Tricolori fanno veloci passaggi sopra bestione immoto che con inesorabile periodicità sale e scende nella battigia, per affermarne inconfutabile essenza patria! Intendono prelevarlo per la scienza; impossibile! Pare capisca e, con la potenza vitale dei suoi simili ma milioni di volte in proporzione, rapido scompare nei meandri sabbiosi tra quei tanti suoi fratellini, antichi creatori. Con la calma deve rispuntar fuori, magari a notte fonda, con la luna piena. E chi ha tempo di aspettare? E quanto costa?

Un bimbo, nessuno ricorda il nome o da dove sia giunto, lo chiama Luke. Luke il cannolicchio!

Egli rimane in quel luogo: per tutta l’estate accanto a Luke. Ci parla, avvicinando la sua testina alla fessura. Allora la mastodontica cappalunga tra granelli di sabbia annacquata, lascia piccole bolle mittenti lieto sussurro. Col tempo ognuno ritorna al proprio vagare, alle proprie faccende. C’è chi ha contato le sottili strisce parallele, sono milioni ma non son tutte.

esser eremita o romito

Sull’esser Eremita o Romito

De pura accidental vicenda scovo, in lo social cassone, antico bran de Aretino, dedito a tal romito in pratiche de venere assai guarnito.

esser eremita o romito

Col mio nome credomi evocato ma trovo altrui che l’ha pur troncato como l’original attore. Ne nasce ardito negozio de favelle buone ed ecco il sunto.

essere eremita o romito

essere eremita o romito

Caro Romito, fummo tiroti in lo ballo por causa de fornicatione nonistante a cuelli de nostra ispecie, si nomen est omen, l’agir colli lombi sirebbe atto de pauco asceticazione et cagion de corrupta spiritual portanza. Ma se sa che lo trattiner per longa pezza le carnal pressure adduce de libido incontinenza et le verghe assai più dure.

nicolaeremita ode verdi

Ah, qual forza tuo destin!

Ode a Giuseppe Fortunino Francesco Verdi.
Le Roncole, 10 ottobre 1813
Milano, 27 gennaio 1901

 

I 1 — 4
Nel mondo, da filatrice ed oste, eietto,
in Roncole, contrada di Busseto,
Verdi Bepi compiva il primo atto,
a musicar suo talento col spinetto.

II 5 — 8
Manifesto fé di sé al Cavalletti,
meccanico nei melodici istrumenti,
ed ei, raffermo ai suoni tal siffatti
nolle nasconder dei godimenti.

III 9 — 12
Ei, intriso di solerzia e senza posa,
poscia aver sanato il vil strumento
riavviò con mano e fé la chiosa
con detto italico, al gentil portento.

IV 13 — 16
In Marzo dell’ottocento anno ventuno
l’artigian modesto e luminoso
dell’ottenne capace ed opportuno
seppe avvenir fulgido e armonioso.

V 17 — 20
Alle note avezzo e mai avulso od ebbro
Bepi principiò coltivar sonora mente
all’ordine di cui fu lustroso membro
Cartesio, che viver volle dubbiosamente.

VI 21 — 24
È costì che Sant’Ignazio di Loyola,
che a Gesuiti diede il seme,
fu pel Bepi infante, prima scola
lì, di scienza grave e di speme.

VII 25 — 28
Principiò la musical composta rima
et, colla mano, l’istrumental pratica
dal Provesi Mastro di certa stima
di paesana banda Filarmonica.

VIII 29 — 32
In Busseto, intento in giochi bimbi,
ei trascorrea lieti giorni di bimbo;
ma quei potean essere i suoi piombi,
se avesse sé lasciato in quel limbo.

IX 33 — 36
Dhé, mossesi pigliosamente lesto
in quel Milano centro della musica
ma al Conservatorio repente fu molesto
avendo ei già vissuto l’età fisica.

X 37 — 40
Senza lasciar frustrato il luogo vivo
al Lavigna, Bepi giusto venne
e fu attento al cembalico divo,
della Scala Mastro senza strenne.

XI 41 — 44
Devossi indi a liete frequenze
de teatri dell’ambrosiane mura
onde fondar le personal istanze
che faran del genio sua premura.

XII 45 — 48
Il giovin messer Verdi, vide costì
senza intermedia stirpe alcuna
opere fresche, sceneggiate ognidì
che dell’arte copria ogne lacuna.

XIII 49 — 52
Quel che di Sforza fu baluardo,
divenne d’Austria ciambellano,
Bepi il fé di suo bel riguardo
a non esser di tal musica profano.

XIV 53 — 56
La giovine promessa non tediava
il tempo suo, all’uopo concesso;
mentre giusto nome e fama creava
spendea in teatro e corti lo stesso.

XV 57 — 60
Ed è così che non ebbe i sacri voti
per divenir mastro di cappella
ma grazie al ciel ebbe le doti
sol pel melodramma farsi ancella.

XVI 61 — 64
Venner quindi gli anni illustri
cui al lavoro egli dette fiamma
e da quei giorni, non vi frustri,
egli dette voce a vasta gamma.

XVII 65 — 68
D’opere tante fu lume e fattore
Rocester lunga e Stanislao bislacco
ma una certo l’incoronò creatore
quella che ognun conosce: il Nabucco!

XVIII 69 — 72
In essa appare il gran splendor del genio
del solo tutta la vasta immensità
nel suono e nella scena proemio
all’epica vicenda dell’umanità.

XIX 73 — 76
Ernani fu quindi il dramma più teso
cui Venezia fu chiesa in Fenice
dove genti passioni e conteso
divengon di mondo audace vernice.

XX 77 — 80
Venner quindi i Foscari e l’Alzira,
dei drammi verdiani la schiera,
in ognun egli tiene la mira:
per mostrar la passione più fiera.

XXI 81 — 84
Macbeth opera grande Bepi crea
ed è come il cugino Guglielmo;
parole gemelle certo non potea
fé della musica, sicuro, il suo elmo.

XXII 85 — 88
Nel mezzo del cammin di sua vita,
Verdi giunse alla fama del mondo;
ma pel suo zelo non crede sia finita
ed è la Francia del fine lo sfondo.

XXIII 89 — 92
Sorge inatteso il patriottico moto
in intime rime ascoso e non bruto.
Quindi è Schiller, scrivano ben noto
ch’egli non vuol che in sé resti muto.

XXIV 93 — 96
Splende ancor baldo nella Fenice
perfetto, d’equilibrio composto,
Rigoletto, che presto all’olimpo lo dice,
il brano che in Hugo fiducia ha riposto.

XXV 97 — 100
Sul Rigoletto incauto s’abbatte la furia
simil natural infausta tempesta,
che, nel musical tono che da goduria,
imita Venezia nel dondolar di questa.

XXVI 101 — 104
Poi venner drammi altri e forti
d’intenso ritmo e sostenuto
notizia alcuna è dato che vi porti
giacché il tempo è contenuto.

XXVII 105 — 108
Preme rimembrar che ei certo c’era
per Deputato nel primo Parlamento.
E con il creator della prima nazion vera
vide di Patria mancar giusto sentimento.

XXVIII 109 — 112
Cavour Conte Benso e Camillo pingue,
fece vergar sua fiera richiesta
per l’inno che nazion in forma giunge,
dell’Universal Esposizion di festa.

XXIX 113 — 116
Finché di vita ebbe Bepi il puro spirto
mai cessò segnar con serio impegno
quei modelli che avea in seno il rito
di comun schiatta e colta valori e segno.

XXX 117 — 120
Per finir, come al genio si conviene
ei morì; e vaste lodi furon ammesse;
e sempre crescenti più il tempo viene
ché dai mediocri ai morti sono tesse.

Nicola Eremita 14 agosto 2014

Dissertazione#2 la vis immaginativa di Mario Eremita

Dissertazione #2 – la vis creativa di Mario Eremita.

In tanti anni di attività dedicata alla divulgazione dell’arte figurativa ho conosciuto il variegato e contraddittorio mondo dell’arte contemporanea italiana.

Sono rimasto a volte deluso dalla volubile attenzione delle istituzioni pubbliche e private nei riguardi degli artisti, volubilità giustificata ma non sempre, dall’ormai diffusa abitudine alla mediocrità di questi.

Arduo per chi segue il mondo delle arti è possedere il terzo occhio che, come diceva qualcuno, consente la pratica più difficile: “saper vedere”.

La mostra alla National Art Gallery – Museo Nazionale dell’Arte Figurativa Bulgara di Sofia, dedicata a Mario Eremita, si pone all’attenzione dell’interesse del pubblico e provoca, come sempre, intensa riflessione ed il piacere dei più colti nel voler sondare colla propria mente allenata, le misteriose vie dell’immaginazione.
L’attenzione dei mass-media bulgari è stata significativa e le interviste all’artista sono state trasmesse dalle radio e dalle televisioni nazionali ed internazionali. Personalmente, ho potuto apprezzare un perfetto equilibrio tra il risalto dell’evento, fornito anche dalla collocazione nella sede della Galleria Nazionale e dalla mobilitazione di autorevoli personalità della politica bulgara ed italiana e l’intrinseca validità e pregnanza delle opere esposte, cosa eminentemente rara, quando si tratta di “arte contemporanea”; e questo è presto verificato.

L’opera di Eremita infatti ha un’origine del tutto nuova; la pittura di questo grande artista non è facilmente inquadrabile e mette in difficoltà anche il più esperto critico e studioso.
Soprattutto in questi tempi in cui la specializzazione e la parcellizzazione delle mansioni è dilagata anche nel mondo dell’arte, selezionando autori che si cimentano ( per ovvi e disgraziati ostacoli attitudinali ) in limitatissimi ambiti e che si qualificano con asfittica od insulsa immaginazione.

Le tavole di Eremita stabiliscono una nuova forma di fare pittura, sono una pietra miliare: esse sono valori estetici elaborati per una nuova forma d’arte cui, per maggioranza degli artisti e dei critici occidentali è estremamente difficile accostarsi per imperizia; solamente autorevoli nomi della critica ne hanno toccato alcuni nodi fondamentali.

Ogni dipinto, ogni scultura di Eremita meriterebbe un saggio per spiegare di quanto talento bisogna essere dotati per trasformare il colore in sinfonia di luci ed ombre, per rendere una mano, un braccio, un corpo, leggero ed evanescente come il fumo ma più vivo della stessa carne per riprodurre un corpo con un segno e, con un segno, un intero corpo e, con la posa di un corpo un significato universale, per infondere in un gesto non solo la forzaquella posa non solo la forza vitale ma anche la tensione drammatica data dalla ragione, dalla psiche, dall’esperienza sociale.

L’artista è in grado di dirigere il complesso tonale dei colori con la stessa dolorosa grazia di Beethoven e, nella secca articolazione grafica della china, apporta i medesimi fragorosi e ironici climax degni di Rossini piegandola ed ammorbidendola al suo volere; ecco vedete, più che con altra pittura il paragone risulta più semplice con la musica.

Questi linguaggi, d’imbarazzante semplicità per il genio, spesso, come la storia insegna, restano incompresi per lungo tempo e ciò è di conforto all’artista.

Ebbene, per ritrovare in Italia artisti paragonabili al talento tecnico di Mario Eremita bisogna andare indietro nel tempo.

Molti esperti, osservando i dipinti, credono che essi vogliano rilanciare una sorta di nuovo rinascimento; costoro s’ingannano: semplicemente perché non possono riscontrare una pittura così competente, autorevole, elaborata, complessa e raffinata se non facendo riferimento alla pittura antica.

In realtà la pittura di Eremita dal punto di vista storico è estremamente attuale e, dal punto di vista estetico, estremamente contemporanea, esattamente come la migliore pittura rinascimentale o meglio come la migliore pittura d’ogni epoca.

Entra quindi in gioco anche l’aspetto contenutistico. L’arte di Eremita è quindi cosa seria, non vi sono rilassamenti o abbandoni a fantasie vacue. Essa non è avvilita dalla quotidianità ma persegue uno scopo: lasciare un segno, una sensazione alla posterità con linguaggio universale; e mantenere il dono della grazia creativa fermo nei binari di questa, quasi ascetica, missione.

Nella poetica e nella Weltanschauung di Eremita è centrale la condizione umana. L’umanità è riflessa come ad uno specchio che ne svela implacabile luci ed ombre, vette e baratri orrendi. Eremita intrattiene un delicato e sottile dialogo con Goya e trasmuta il suo messaggio de “il sonno della ragione genera mostri”.

allegoria

Quella testimonianza introduce tematiche articolate, basate sull’ancestrale corruzione dell’umana specie che pare naturalmente predisposta al male, alla distruzione, alla fobia. Mario Eremita rappresenta l’umano genere sempre dinamicamente teso e sospinto, evidentemente graziato dal dono delle grandiose potenzialità benefiche della capacità del pensiero astratto, dono tale da renderlo quasi trasparente ma al contempo lo rappresenta che, infante, inizia se medesimo alla violenza.

Lo rappresenta quindi cavo decerebrato mutilato accecato frustrato, annichilito nelle sue potenzialità, fino a trasformarne il corpo in essere mostruoso, orrido, strabordante di grasso corrotto o essiccato da brezza salsa e acida, densa d’odio e rancore.

La pittura si fa quindi simbolica ma il simbolismo è astratto e diviene messaggio di una potenza universale totalizzante. Simbolo dell’umana specie è la donna; il cavallo espressione della macchina del progresso diabolico della guerra del potere arrogante dell’apocalisse cui l’uomo va certo incontro se non s’oppone.

La natura è presente: è il vacuo, l’atmosfera plumbea o siderale. È la natura matrigna che getta l’uomo nel mondo e lo abbandona alla sua folle corsa verso il baratro, è la maternità lacerata che presenta il proprio figlio, è il “memento mori” il monito che opprime ed esalta: “ricordati che sei qui provvisoriamente”.

Questi sono solo alcuni aspetti simbolici, una rapida carrellata. Da questa sconcertante raccolta di significati emerge ad una prima lettura una visione se non pessimistica addirittura disperata della condizione umana ma questa lettura non è esaustiva.

Osservate meglio: le figure che galleggiano o volano o precipitano o ristanno sono a volte orrende, paurose, inquietanti ma mai brutte; in loro l’artista infonde, grazie alla sua divina tecnica, una profonda carica sensuale od un potente istinto erotico; questo, fondendosi alla plasticità dinamica già descritta, crea nello spettatore un senso di sgomento e di grande suggestione emotiva che spesso da luogo a manifestazioni di grave commozione, fino al pianto.

Consapevolmente o meno, si resta colpiti da questi dipinti; ma se siamo onesti con noi stessi il nostro non è un senso di paura, di rifiuto: ciò che fa vibrare la nostra sensibilità è il fatto che queste figure entrano in contatto empatico con noi e ci trasmettono un messaggio di speranza.

Tale messaggio penetra profondo proprio perché proviene dalle insondabili profondità ancestrali, osservando queste figure noi ci affacciamo su queste profondità e ne siamo attratti, affascinati. Esse ci chiamano, ci invitano, vorrebbero che noi comprendessimo; esse indicano che è possibile per tutti noi il riscatto; che è possibile che la ragione prevalga.

Questa ragione può sopraffarre il proprio sonno solamente se si abbandona alle più genuine peculiarità umane: l’arte, la musica, la danza, l’eros, la sensualità, il piacere sensuale, l’immaginazione.

Solamente se siamo convinti della necessità di questo messaggio possiamo accogliere senza dissidio le figure di Mario Eremita come compagni di un’esistenza vissuta con gli occhi aperti della consapevolezza.

Infine, essendo le opere dell’artista più confacenti ad un approccio multidisciplinare è importante fornire dei riferimenti letterari. La poesia contemporanea del nostro paese: Tonino Guerra, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti sono, per Mario Eremita, i principali riferimenti culturali.

montanari docet

Dissertazione#45 Montanari docet

tomaso montanari mostre

Cito il testo dell’immagine qui sopra:
“Un sistema di società commerciali, curatori seriali, assessori senza bussola e direttori di musei asserviti alla politica sforna a getto continuo mostre di cassetta, culturalmente irrilevanti e pericolose per le opere.
È ora di sviluppare anticopri intellettuali, ricominciare a fare mostre serie, riscoprire il territorio italiano.”
Mi sembra uno sproloquio.

Rispondo:
le società commerciali sono quelle che per decenni hanno sponsorizzato la diffusione della cultura in questo paese. Gli imprenditori sono quelli che hanno comprato le opere degli artisti. Qui pare si vogliano demonizzare.

La locuzione “curatori seriali” è priva di significato, come anche la locuzione “assessori senza bussola” che altrimenti potrebbe essere un indizio della non appartenenza politica; ma subito si vuole demonizzare pure quella con la locuzione “direttori di musei asserviti alla politica”.

Sfornare a getto continuo mostre di cassetta significa avere enorme successo di pubblico e di contenuti; quindi anche qui è incomprensibile l’atto di demonizzazione.

L’irrilevanza culturale è un giudizio parziale assolutamente privo di fondamento e contraddittorio con la seguente locuzione: “pericolose per le opere”. Infatti se si tratta di mostre culturalmente irrilevanti significa che si tratta di opere culturalmente irrilevanti, in tal senso quale pericolo correrebbero?

La locuzione “sviluppare anticorpi” è un chiaro occhiolino al linguaggio pseudo-politico dei centri sociali, la parola “serie” invece pare strizzare l’occhio alla democrazia cristiana o ai ciellini. Riscoprire il territorio italiano invece è un ossequio al populismo.

Bravo Montanari che cerca supporto!!
Ti sei perso la Boldrini eh?

isolani senza humor

isolani senza humor

Eh, niente… A certi veneziani non piace la satira ( la chiamano goliardia… ). O meglio: piace quando sono gli altri oggetto del loro dileggio.
Un gruppo di presunta satira veneziana ( non faccio il nome per evitare di far pubblicità ) mi banna perché faccio vignette sui veneziani che corrono coi motoscafi ( causando disgrazie ). Eh, non si fa!!

Ecco il post che ho pubblicato nel gruppo:

isolani senza humor

Il gruppo è dedicato a chi fa il goldon a Venezia, pubblico il mio post che segnala quei goldoni che in laguna sfrecciano con i barchini, arrivando a planare e mettono a rischio la propria vita e quell’altrui. In veneziano “goldon” è sinonimo di coglione, stupido, scemo, eccetera.

Poco dopo ecco che Alessandro reagisce elogiando chi va sul barchino e fa la “planada” ( planata ). Faccio aperto riferimento al fatto che anche tra i veneziani ci sono parecchi goldon e ci vorrebbe una categoria speciale per loro.

isolani senza humor

Quindi mi chiedo se non abbiano timore a far satira anche con questo genere di veneziani e ricordo come funziona a Trieste.

isolani senza humor

Il giorno seguente sabato 19 gennaio 2019 un post del gruppo lamenta che facebook cancelli dal gruppo le persone che non vi partecipano. In realtà sono gli amministratori che cacciano la gente in massa perché non tollerano che altri facciano humor o satira o goliardia, chiamatela come vi pare.

isolani senza humor

Intervengo ribadendo quanto accaduto tempo addietro circa la censura dei miei interventi nel gruppo e vengo quindi bannato. Che assurdità!!!
Si lamentano di facebook e poi bannano chi contribuisce con la satira ad un gruppo di satira!!!
In realtà facebook non cancella nessuno dai gruppi, sono sempre e solo gli amministratori a farlo e qui lo fanno per impedire ad altri di partecipare.

isolani senza humor

Ma non solo, cancellano tutti i miei commenti al post… Incredibile!
Si sono spaventati??
Credevano che avessi intenzioni malevoli nei loro confronti?
Che mettessi in crisi il loro orticello?

La satira a Venezia è ammessa solo contro chi ci viene come turista. I veneziani sono intoccabili e se protesti scatta il ban. Bea gente!! Scoasse, altro che Goldon.

isolani senza humor

La storia inizia un paio di mesi fa quando, per puro spirito di satira, pubblico una foto di motoscafi che in laguna sfrecciano in planata mettendo a rischio la vita delle persone. Scrivo anche un articolo ( non di satira ) sull’argomento eccolo qui:
https://www.nicolaeremita.it/padroni-della-laguna-di-venezia/

isolani senza humor

Pubblico la vignetta in alcuni gruppi veneziani tra i quali quelli di satira di goldoni o roba simile. La vignetta viene cancellata. Mi chiedo per quale motivo?

isolani senza humor

Ecco le risposte: come vedete questi signori che farebbero satira, l’ammettono solamente nei confronti dei turisti e degli stranieri. Non è ammissibile far satira verso gli stessi veneziani che spesso assumono comportamenti molto stupidi e pericolosi causando anche la morte del prossimo.

isolani senza humor

isolani senza humor

isolani senza humor

isolani senza humor

isolani senza humor

ai lav laura boldrini

ai lav Laura Boldrini

Dopo i recenti facts che hanno visto Laura Boldrini victim di ferocious attacks da parte di potentati di casalinghe poco istruite ed artigiani evasori dalle mani sporche, la dignità ed il respect che ispira la figura di codesta rappresentante del Governo Italiano mi impone questa riflessione e questo auspicio.

Il Centro Destra; ma che dico!
anche il Centro Sinistra; ma che dico!
L’intero arco parlamentare dovrebbe adottare Laura Boldrini, darle dei prize, invitarla a meeting, farla parlare liberamente il più possibile. Senza alcun contraddittorio, darle possibilità di dirla tutta; offrirle le più ampie possibilità di ascolto da parte del più large pubblico.

laura boldrini guarda cose

Il Centro Destra; ma che dico! Anche il Centro Sinistra; ma che dico! L’intero arco parlamentare dovrebbe consentire che si eserciti quest’operazione trasparenza e libertà. Date spazio a Laura Boldrini!

Si dovrebbe offrirle un TV broadcast dedicato, una rubrica su tutte le reti nazionali agli orari best; anche le radio dovrebbero contribuire. Darle l’opportunità di dire la propria su tutto: dalla politica estera ai pannolini, dalla spesa militare alla sanità fino alle licenze di caccia/pesca a quando sia il momento migliore per concepire un figlio.

Si dovrebbe farle condurre show e quiz; farle condurre programmi d’opinione. Si dovrebbero coprire con la sua immagine e i suoi consigli, tutti gli orari dei palinsesti televisivi nazionali e, se possibile anche con rai sat.

Ovviamente dovrebbe essere ospite fisso di tutte le rubriche televisive quali: “la vita in diretta”; “domenica in”; “porta a porta”; “ballarò”; “matrix”; “che tempo che fa”; “in onda”; “di martedì”; “quinta colonna”; “pomeriggio cinque”; “annozero”; “uomini e donne”; “bontà loro”; “David Letterman”; “omnibus”; “l’infedele”; “Larry King live” eccetera. A “Forum” dovrebbe essere giudice e giuria.

laura boldrini dice cose

In caso di sovrapposizione di orari Laura Boldrini avrà diritto ad inviare una sosia certificata per sopperire alla propria assenza.

Laura Boldrini dovrebbe essere di diritto, member di tutte le commissioni per assegnazione di premi letterari, artistici, scientifici nazionali ed internazionali. L’Italy intera dovrebbe proporla come membro onorario di tutti i comitati nazionali ed international per l’assegnazione di borse di studio e di ricerca oltre che del comitato per il Nobel. Scontata dovrebbe essere la candidatura per il premio Nobel per la Pace 2018 e anni a seguire.

Non si dovrebbero trascurare anche i manifesti; dovrebbero esserci manifesti con i suoi migliori aforismi sparsi per tutto il territorio nazionale; non si dovrebbe trascurare nemmeno la Svizzera italiana e ancor meno i nostri connazionali all’estero, loro dovrebbero ricevere un bollettino quotidiano con tutti gli aggiornamenti sugli orari delle trasmissioni e gli estratti degli articoli apparsi sui newspaper.

Il mio sincero desiderio sarebbe quello che, per i prossimi vent’anni, non si parli di altro che di Laura Boldrini e delle sue idee, delle sue esternazioni, dei suoi consigli delle sue convinzioni e ideali.

Vorrei che le scuole dell’obbligo pubbliche e private avessero un’ora alla settimana di lezione dedicata allo studio della figura e delle opere di Laura Boldrini, anche senza tralasciare la sua biografia e la storia della sua famiglia le sue origini i suoi studi.

laura boldrini riflette sulle cose

Lo Stato Italiano dovrebbe assumere una cinquantina di esperti agiografi per tramandare nel tempo la parola di Laura Boldrini affinché non sia dimenticata per almeno 1000 anni e più.

Gli artisti “politically-correct” dovrebbero ricevere commesse per la realizzazione di mezzi busti e corpi interi di Laura Boldrini ( antifa ) da recapitare a tutti gli office di tutte le aziende pubbliche e private ed una statua di Laura Boldrini dovrebbe essere installata avanti a tutti i caselli autostradali d’Italia oltre che nelle stazioni ferroviarie metropolitane e negli aeroporti.

Una targa di bronzo con il volto di Laura Boldrini dovrebbe essere installata in ogni fermata di autobus. Ovviamente questi lavori artistici dovrebbero essere realizzati gratis o a spese degli artisti stessi i quali dovrebbero gioire nella pubblica piazza per aver avuto l’onore di celebrare cotanto prestigio
( north korean way of life ).

Le università ed i centri di ricerca internazionali dovrebbero istituire dei seminari per l’analisi e la divulgazione delle opere e delle parole di Laura Boldrini, corsi di laurea dovrebbero essere creati specificamente per Laura Boldrini, ci si dovrebbe poter laureare in “Laura Boldrini”.

Credo sia tutto… ai lav Boldrini!

fai contro palais lumiere

il FAI si scaglia contro Palais Lumiere

Qui sotto potete visionare la lettera che il FAI ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere la censura del Palais Lumière.

intellettuali contro palais lumiere

Si parla di minaccia all’integrità ambientale, al paesaggio, alla natura ed alla storia di Venezia.

Trovo sostanzialmente manipolatorie le affermazioni citate; e non rispondente alla veridicità dei fatti quanto sommariamente esposto all’attezione del Presidente.

Credo che ciò abbia uno scopo: procurare una reazione immediata e irrazionale di repulsa nei confronti del progetto di Cardin.

Analizziamo insieme questa lettera:
parto dall’affermazione che vuole Palais Lumière “costruito a margine delle acque lagunari prospicienti il centro storico veneziano”.
Un’affermazione del tutto infondata.

  • Venezia è quella costruita nella laguna e quindi non è il “centro storico” ma la città fatta e compiuta. Quindi è improprio delimitare un “centro storico”. La città è nella Laguna ed è costituita da centinaia di isole PUNTO E BASTA.
  • Il punto esatto nel quale sarà costruito Palais Lumière è ad oltre 8 chilometri dal confine nord della Città di Venezia, quello più vicino alla gronda lagunare che delimita la terraferma dalle acque. Quindi il termine “prospicienti” è inteso solamente per amplificare una questione assolutamente irrilevante in quanto ad esempio l’Aeroporto di Tessera è a meno di tre chilometri dall’Isola di Murano che è parte integrante della Città di Venezia. Inoltre, tra la sede del Palais Lumière e le prime costruzioni originali della Città di Venezia è già stata collocata la Stazione Ferroviaria, struttura completamente rifatta in epoca moderna. In tal senso la presenza di Palais Lumière non interferisce con alcuna delle costruzioni più antiche della Città di Venezia; non più di tante altre già presenti nel tessuto urbano più limitrofo.

palais lumiere vista marghera da venezia

  • La collocazione del Palais Lumière coincide con insediamenti industriali abbandonati ma anche con insediamenti di strutture moderne attualmente operanti le quali non hanno alcunché in comune con la Città di Venezia e tantomeno sono state costruite secondo presunti principi di compatibilità ambientale con quella Città. Mi riferisco al “Vega” ed alle strutture viarie che incombono sulla gronda lagunare. Se vogliamo la costruzione di Palais Lumière si distinguerà proprio per la volontà di riqualificare urbanisticamente quella zona.
  • Chi respinge l’idea di Palais Lumière dovrebbe anche opporsi al Ponte della Libertà, a Piazzale Roma, ai parcheggi multipiano ivi esistenti, alle strutture portuali per merci e passeggeri, all’edilizia dell’Isola del Tronchetto, al Ponte di Calatrava ed all’intera Stazione Ferroviaria di Santa Lucia.

Quindi si parla di integrità ambientale.
Assurdo, supporre che Palais Lumière metta a rischio l’integrità ambientale di un luogo che è stato martoriato per decenni da un’attività industriale senza scrupoli che ha inquinato gravemente il suolo e degradato violentemente la vita degli abitanti.
Assurdo pensare che una struttura che si realizza per la residenzialità possa essere peggiore di costruzioni adibite alla speculazione industriale.

Si parla di paesaggio!!
L’esistente è un luogo squallido e avvilito da fanghi tossici, sostanze velenose, piante che non attecchiscono e muoiono in pochi mesi, acque torbide e oleose, resti corrosi di strutture edilizie fatiscenti che un tempo erano depositi di concimi chimici e derivati del petrolio.

Si parla di natura!!
In un contesto completamente dimenticato dai “pensatori alti” che abitano palazzi signorili e si dimenticano delle condizioni terribili alle quali il popolo ha dovuto vivere e lavorare a Marghera.
Oggi costoro si accorgono e parlano di natura!!
Oggi! Quando qualcuno intende dare valore a quei luoghi di fatica di rischi di malattie di morte.

Si parla di storia!!
Ma di quale storia?
Quella di Venezia?
Cosa centra con Marghera?
La storia passata di Marghera era il bosco, la palude, il luogo di caccia dei veneziani della Serenissima. Quella storia è cancellata e distrutta, irrecuperabilmente affondata nell’oblio.
L’unica storia di quei luoghi è il Forte Marghera che giace abbandonato coperto di arbusti. Quel Forte magari, con la costruzione del Palais Lumiére, potrebbe riacquistare un senso ed essere recuperato alla fruibilità pubblica.

Mi chiedo infine come possano, persone che godono di tale reputazione e prestigio, ergersi con tale supponenza contro Palais Lumière, senza aver approfondito minimamente le questioni reali che incidono su quei luoghi, quell’ambiente, quel paesaggio, quella storia e quel patrimonio; così come credo di aver modestamente contribuito con questo mio scritto.

eremita confuta settis

il dr. Eremita confuta il sermone del prof. Settis

Giovedì 29 Novembre 2012 alle ore 20.00 presso l’Aula Magna dell’Ateneo Veneto, con la collaborazione del Centro Tedesco di Studi Veneziani, si tiene un incontro pubblico del prof. Salvatore Settis avente titolo “Se Venezia muore.”; nell’ambito di un convegno organizzato in occasione del centenario dell’opera di Thomas Mann “La Morte a Venezia”.

eremita vs settis ateneo veneto venezia

Per mera curiosità personale mi reco all’incontro. L’aula è completamente piena di gente. Proprio nel momento in cui il prof. Salvatore Settis è in procinto di prendere la parola scattano le sirene che avvisano dell’imminenza di un’alluvione. Il pubblico accoglie subito con brontolii e disapprovazione l’intimidatorio segnale sonoro. Settis prende quindi la parola e fa una battuta proprio sulla questione delle alluvioni per inquadrarle in un contesto di decadenza ed abbandono della città; ma poco dopo, con la medesima asprezza, egli si scaglierà contro le opere del M.O.S.E..

Il professore, quindi, inizia a leggere un suo manoscritto. Comprendo subito che si tratta di un sermone.
Un sermone all’antica basato sulla forma retorica dell’invettiva. Un sermone di quelli dei vecchi che sempre l’hanno a morte con i giovani ai quali vorrebbero negare ogni diritto, negare ogni possibilità, anche quella di sbagliare.

Cosa dice allora il prof. Settis?
Tante cose condivisibili. L’Italia è troppo cementificata: vero. Si costruiscono metropoli sempre più grandi e verticali: vero. Questi enormi complessi urbani non sono a misura d’uomo: vero. Si consumano sempre più risorse e s’inquina l’ambiente: vero.

Quindi egli entra più nello specifico e parla di Venezia.
Attacca la questione delle Grandi Navi reprimendo l’ignobile usanza di farle “inchinare” davanti a Piazza San Marco, luogo sacro ai Veneziani e alla storia.
Attacca il M.O.S.E., giudicandolo un’opera inutile e foriera di enormi spese pubbliche e dello stravolgimento della Laguna di Venezia.
Attacca il Ponte di Calatrava e quell’alberghetto insulso che si ergerà presto al suo fianco.
Attacca le scale mobili arancioni dell’Archistar di turno che metterà le mani sul Fondaco dei Tedeschi.
Attacca quella spaventosa idea della Sublagunare.
Attacca Veneto City.
Infine attacca Palais Lumière.

eremita confuta settis ateneo veneto venezia

Molte cose sono condivisibili ma; c’è un ma, signori. Pare infatti che tutta la manfrina sia innescata per il semplice scopo d’impedire la costruzione di Palais Lumière. Pare infatti che tutte le altre “opere” siano ormai decadute in una realtà fatalista alla quale nulla può essere opposto. Pare infine che tutto il male si concentri attorno al Palazzo di Cardin.
E perché?
Forse perché Cardin non è dotato della protezione politica dei Benetton o dei Coin o dei De Marchi o dei Mossetto?

Il prof. Settis si rivolge alla pancia della gente; evita ragionamenti troppo complicati e si fa forza con la storia e con immagini apparentemente antitetiche, per esacerbare gli animi del pubblico meno preparato e più disposto ad un’irrazionale indignazione. Esaminiamo meglio le sue tesi.

Prima tesi: egli, prima si scaglia contro la nostra civiltà moderna che costruisce metropoli sempre più grandi e disumane poi egli idealizza e cristallizza un passato in cui ogni cosa era a misura d’uomo, un passato idilliaco nel quale l’uomo era in armonia con la natura…
Credo che questa lettura sia antistorica. Ritengo infatti che l’umanità non sia assolutamente cambiata dai tempi della Serenissima ad oggi. I cambiamenti sono stati altri. Sono cambiate le risorse energetiche e i mezzi tecnologici. Settis porta ad esempio un confronto di una città Cinese con Venezia per voler dimostrare che la città orientale è un pessimo esempio di civiltà fondata sulla sopraffazione e l’alienazione delle masse, mentre Venezia è un esempio positivo di città a misura d’uomo. Le cose semplicemente non stanno così.

eremita confuta settis venezia e shangai

La differenza tra Venezia e una metropoli moderna è solamente nelle fonti energetiche e nella tecnologia. Qui riporto la città di Shangai e di seguito la città di Venezia. Ebbene, ai tempi della Serenissima esisteva la trazione animale, quella a braccia e a vento. Il legno e il carbone erano i combustibili a disposizione.

Gli elementi costruttivi erano il legno, la calce, i mattoni, la pietra, un poco di ferro e il piombo. Tutto era sorretto dalle braccia umane. Venezia, per l’epoca, era la Shangai di oggi: una metropoli popolatissima con tutti i problemi che questo comporta. Gli scarichi erano incontrollati. Reflui maleodoranti scorrevano nelle calli e nei canali. Accattoni, malati e infermi di mente popolavano la pubblica via; quotidiane erano le manifestazioni di violenza e malversazione. Ovunque pullulava la prostituzione e girare per le calli di notte significava rischiare la vita. Poca o nessuna era l’assistenza sanitaria, per i limiti insuperabili della scienza medica del tempo.

Inoltre, per costruire Venezia furono usati un’innumerevole quantità di alberi che furono sottratti ai boschi Veneti e Slavi; mentre milioni di tonnellate di pietra d’istria giunsero dalle coste Croate.

Settis vive da Professore e non comprende il senso reale della storia ma solamente quella asettica e purificata delle storiografie agiografiche che cedono alla seducente idea di ignorare le sofferenze quotidiane dei popoli per concentrarsi sui cosidetti “grandi fatti”.

Ebbene Shangai oggi offre all’uomo la medesima prospettiva che offriva Venezia, solamente in scala esponenziale; ma in proporzione alle risorse energetiche e tecnologiche in gioco. Certo, essa schiaccia l’uomo ben più di quello che fece Venezia; ma la città lagunare, con la sua magnificenza aveva allora il medesimo scopo che oggi hanno i grattacieli: dopo la praticità e l’efficienza; intimidire e mettere in soggezione il visitatore; rappresentare la forza ed il potere della classe dirigente, inorgoglire il popolo e tenerlo stretto sotto l’ala protettrice della classe dominante.

Shangai è costruita con risorse più efficienti: il petrolio, l’elettricità, con le tecnologie moderne dell’acciaio del cemento del lavoro industrializzato e seriale. Venezia è un frattale di Shangai o di qualsiasi altra metropoli del nostro tempo. Le visioni di Settis sono sensibili ad un’immaginazione new age ma hanno poco a che fare con la realtà.

Tant’è che il nostro Professore si avventura anche nella citazione dei Futuristi, strumentalizzando le loro provocazioni a favore della sua tesi.
Egli infatti cita gli artisti del progresso come fossero stati uomini d’affari o speculatori pronti ad asfaltare il Canal Grande e a costruire ponti di ferro su Venezia… Ridicolo!!

I Futuristi lanciavano le loro provocazioni per smuovere l’ambiente dell’arte e della cultura accademica italiana, incartapecorito e ancora legato all’estetica neoclassica. Non fa certo cultura chi strumentalizza addirittura l’arte in questo modo!

Seconda tesi: Salvatore Settis fa appello alla legalità ed alla residenzialità di Venezia.

A chi sono rivolti questi messaggi?

È incomprensibile… posso solamente pensare che siano lo sfogo di un vecchio veneziano. Sono tematiche ormai quotidiane nella città di Venezia che vengono appiccicate quà e là nelle esternazioni pubbliche sempre col medesimo scopo: avere il consenso della folla e dire alla folla quello che essa vuole ascoltare.

Nulla, nelle parole del Professore, ha il benché minimo riferimento ad una soluzione ad una proposta positiva ad una visione che vada oltre l’orizzonte astioso di un anziano.

Come si pone il Professore sulla questione che tutte le “opere” che egli critica con severità, richiamando grandi principi e grandi concetti astratti, sono state realizzate da una Giunta retta da un altro Professore, il Cacciari, con il quale magari il nostro intrattiene ottime disquisizioni nei salotti locali?

Siamo difronte a persone che contraddicono sé medesime?

Terza Tesi: ecco infine il fulcro di tutto questo lungo sermone, Palais Lumière.

eremita confuta settis palais lumiere

Interessante come tutto il grande giro di parole e di concetti, tanto alti quanto poco concreti e per nulla basati su un’analisi reale del territorio e sulle sue potenzialità economiche e di sviluppo, si voglia infine far convogliare in un attacco focalizzato sul Palais Lumière. C’è da pensare che solamente quest’ultimo sia in effetti lo scopo di questo monito: “Se Venezia muore.”

Infatti è proprio così. Passan due giorni dalla sera dell’incontro pubblico ed ecco una plateale raccolta di firme di presunti uomini di cultura, di quella che un tempo si definiva “intelligenjia”, per l’oscuramento e la censura del progetto lanciato da Pierre Cardin.

E prima??
Dove erano questi furibondi acculturati quando si vendeva il Fontego dei Tedeschi; Cà Vendramin; Cà Corner della Regina?
Eran forse seduti nei salotti buoni a discorrer di cultura?

Se vogliamo far cultura, se vogliamo rivolgerci alla cittadinanza avendone rispetto; non possiamo presentarci con l’autoreferenzialità boriosa del Professore; ma con l’empatia e l’umiltà che son l’unica vera essenza dell’uomo colto. Presentarci esponendo alla cittadinanza quale sia la realtà dei fatti che accadono ogni giorno.

Epilogo. Ebbene si sappia che la famiglia Coin acquista immobili del Comune di Venezia a prezzi oggettivamente contenuti ottenendo anche uno sconto di dieci milioni di euro su quello che sarebbe dovuto al Comune in standard pubblici.

Si sappia che i Benetton si portano via il Fontego dei Tedeschi per una cifra esigua e ci fanno dentro un centro commerciale, ottenendo anche loro simili sconti milionari sugli standard pubblici.

Si sappia che al Lido sono in atto speculazioni per la costruzione di una darsena da oltre mille posti per navi di cento metri, dopo le decine di milioni gettati in un buco pieno d’amianto.

Si sappia che il PAT pianifica l’edificazione del Quadrante di Tessera su una zona umida soggetta ad alluvioni ed anch’esso travalica quanto sarebbe sensato in termini di cubature, oltre che essere di fatto un colabrodo che consente tutto ed il contrario di tutto.

In un contesto urbano che da anni soggiace a dinamiche del genere.

In una realtà quotidiana che nulla concede al singolo privato cittadino, che nemmeno può aprire un lucernario e tutto concede al grosso investitore che è pronto a sventrare palazzi storici.

In un contesto tale, ci ritroviamo difronte a un gruppo d’intellettuali, che si scagliano contro quest’opera…
Perché?

eremita confuta settis palais lumiere

Cardin finanzia la costruzione del Palais Lumière con 500 milioni di euro. La Torre sorgerà a Marghera, per chi lo sapesse si tratta di una zona post-industriale fortemente contaminata ed economicamente depressa. È una zona sulla quale le Giunte Comunali di Venezia avrebbero dovuto investire per sviluppare il contesto urbano valorizzandolo; ma non lo fecero.

Le Giunte Cacciari, Costa e poi ancora Cacciari e quindi Orsoni hanno abdicato alle loro funzioni in quel territorio del Comune di Mestre, abbandonando la popolazione a sé stessa.

L’intervento di Cardin si pone non in contrasto ma in supporto alle mancanze ed alle deficienze di quelle Giunte.

Forse è per questo che il Palais Lumière è tanto temuto?

Forse perché esso mette alla berlina gli interessi speculativi di queste Giunte che hanno preferito il Quadrante di Tessera alla rinascita ed allo sviluppo di Marghera?

Questa coraggiosa scelta di Cardin, questa eredità che un grande imprenditore partito dal nulla vuol lasciare a Venezia, va accolta con entusiasmo!

Sarà il punto di partenza per un’opportunità di rinascita della città anche dalla via di terra e per la rivalutazione della gronda lagunare devastata da mezzo secolo di speculazione industriale.

Personalmente non accetto il modo di esprimersi che piace ai veneziani che amano indignarsi per sport e per invidia, lontano un milione di km dalle visioni degli antichi Dogi della Serenissima che son stati grandi costruttori e pianificatori.

Fermiamoci ad analizzare i fatti ed a calcolare bene costi e benefici delle nostre imprese, prima di scagliarci come pazzi contro le questioni senza arrivare ad alcuna soluzione e quindi a dover subire le decisioni di altri limitandoci poi ad un penoso piagnucolio o ad un brontolio da vecchi universitari che non han mai fatto un lavoro manuale.

Settis si è scagliato contro il grande dono di Cardin con riottosa miopia e ristrettezza di vedute…
Altro che cultura.

Addirittura Settis ha lamentato che la Torre Cardin avrebbe rovinato lo sky-line di Venezia!!
Ma siamo seri!

Attualmente dalla Riva delle Zattere possiamo ammirare il deprimente scenario della zona industriale di Marghera con torri per esaurire i gas della raffinazione del petrolio, silos abbandonati e strutture metalliche per il trattamento del metano.

eremita confuta settis marghera

Questo sarebbe lo sky-line da proteggere?

Senza il Palais Lumière Marghera è spacciata; nessuno ci metterebbe le mani per decenni, tutto sarebbe spostato verso est alla volta dell’aeroporto e del Quadrante di Tessera. Marghera rimarrebbe un sobborgo povero e degradato, un futuro Bronx.

Palais Lumière sancisce una svolta e finalmente riporta l’attenzione dell’opinione pubblica e dell’elettorato verso Marghera che ha buon titolo per essere la città giardino adiacente a Venezia e sempre più legata al Serenissimo Giglio Lagunare.

Consideriamo anche che tale costruzione non toglie nulla al territorio essendo l’area già edificata e dedicata ad attività umane, anzi, essa sarà la spinta per una ampia bonifica e rivalutazione di tutta la zona.

Accogliamo il mecenate Pierre Cardin mettendo da parte afflizioni personali ed invidie; questo personaggio andrebbe accolto con gli onori di un Principe. W Venezia!! W San Marco!!