urania

Urania! Dove sei?

Mi riprometto, in un prossimo mio brano, di replicare ad un mio amico che segue con molta curiosità la valanga d’informazioni ( di ogni qualità ) che negli ultimi 3 mesi si sono affastellate sulla vicenda pandemica. Nel frattempo ho avuto notizia del servizio televisivo che “Le Iene Show” ha confezionato per il prof. Roberto Burioni.

Vi avviso che, in materia scientifica, non sono schierato con gruppi di sorta ( odiatori o amatori di chichessia o di qualsivoglia idea, struttura, organismo, associazione, partito ).
Sono invece sempre schierato dalla mia parte, nella difesa della mia dignità di persona libera e pensante, armata di molteplici letture oltreché di studi ed esperienze, consapevole quindi della propria ignoranza.

Il servizio è stato confezionato per porre le basi del o dei successivi, per creare il fatto, per gettare il sasso nello stagno. È una tecnica di marketing editoriale inaugurata coi feuilleton ( romanzi d’appendice ) che diede enorme successo di vendite ai quotidiani dei primi del novecento. Un grande successo ebbe la compianta Carolina Invernizio ( n.1851 m.1916 ).

feuilleton

È un servizio falso? È diffamatorio?
Non saprei ma esso gioca sulla suggestione, questo è certo.
Il tema è se Burioni sia o meno in conflitto d’interessi quando si espone nei mass-media e dice la sua nella materia in cui è professore ( microbiologia e virologia ).
Il servizio è creato con una tecnica di montaggio che ne aumenta il ritmo al fine di non annoiare lo spettatore. Le interviste sono tagliate e forse sono estrapolate ( fuori contesto ), le domande sono poste in maniera da ricevere una determinata risposta che non entra nel merito specifico.

Prima il giornalista manifesta al pubblico una domanda diretta:
“Burioni è in conflitto di interessi?”
Poi iniziano una sequenza d’interviste a due gruppi di persone, i colleghi, gli opinionisti.
I colleghi sono: dr. De Donno, dr. Vianello, dr.ssa De Silvestro, prof. Crisanti, dr. Bassetti. Servono a conferire al pezzo una sorta di autorevolezza.
Gli opinionisti sono: avv. Rienzi ( Codacons ), dr. Gomez ( ilfattoquotidiano ), dr. Mentana ( TG La7 ), prof. Cacciari ( ex pessimo sindaco ), dr. Tarro ( pare si sia autocandidato al Nobel ). Servono ad incarnare una sorta d’opinione pubblica o di sentimento popolare.

burioni de donno vianello de silvestri crisanti bassetti gomez cacciari rienzi mentana

L’argomento parte dal conflitto d’interessi e si snoda attraverso la questione delle cure col plasma dei pazienti guariti, dei preparati a base di plasma monoclonale e dei vaccini. Tutto ha lo scopo d’acuire sempre più i sospetti sull’attendibilità delle affermazioni del prof. Burioni e sulla sua estraneità ad interessi economici. La chiave sta nel modo in cui vengono poste le domande agli intervistati e, se ci fate caso, sono poche le domande che vengono incluse, si preferisce raccontare e cucire le risposte.

Le domande sono sempre in forma d’ipotesi. Ad esempio non domandano a nessuno se il prof. Burioni sia in conflitto d’interessi o meno ma fanno una domanda ipotetica: “se il dr. Burioni avesse, fosse, facesse, dicesse, prendesse, venisse… sarebbe in conflitto d’interessi?”
A tale domanda l’intervistato non può che rispondere affermativamente. Chiaro che chi si espone a questo genere di quesiti non conosce il funzionamento dei mass-media. Mi stupisco per Mentana e Gomez!!
Non mi stupisco per Cacciari che per un’apparizione forse darebbe un rene.

Circa le cure col plasma dei guariti, da quel che ho compreso, sono trattamenti per chi è già malato grave ma non gravissimo e pare che l’efficacia del plasma dei guariti si riduca col tempo, nel senso che il guarito ha un plasma efficace nella cura solo per un limitato periodo di tempo. Un grande riconoscimento va al dr. De Donno che ha contribuito ad implementare questa terapia.
Sui costi mi associo con la dr.ssa De Silvestro nel chiedere al prof. Burioni dei chiarimenti. Il plasma monoclonale invece non avrebbe problemi di durata nella sua efficacia ma non solo, sarebbe a detta del prof. Burioni, anche un rimedio preventivo, una specie di quasi-vaccino “sconfiggere il virus” ( cit.).

Circa la questione dei vaccini si sappia che tutti gli esposti dell’avv. Rienzi contro il prof. Burioni sono stati archiviati. Inconsistenti!
L’avv. Rienzi è francamente inascoltabile. Sprizza acrimonia da ogni poro, arriva ad ipotizzare un prestanome per gli interessi dell'”indagato”, mi chiedo se e cosa gli abbia fatto di personale il prof. Burioni…

Rienzi afferma testualmente:
“La verità non può essere verità se chi la enuncia è un soggetto che sotto può avere ( non dico che abbia ) un conflitto di interessi. Chi enuncia questa verità dev’essere indipendente a prescindere.”
Questa frase è un postulato che ha sapore di atto di fede perché presume che la verità, seppur sia tale, non vada accolta se proviene da chi abbia un conflitto d’interessi. Se ciò fosse assunto quale metro universale il mondo perderebbe l’enorme contributo al progresso che hanno fornito le imprese private di ogni tipo e natura ma non solo, anche le imprese volontaristiche o pubbliche in quanto, non essendo determinato il concetto di conflitto di interessi esso potrebbe individuarsi anche nella semplice ambizione.
Ciò è suffragato anche dal mero sospetto, che il Rienzi pone come pistola fumante del reo. Ci spieghi poi questo insigne presidente di Associazione di Consumatori ( già nota per posizioni antiscientifiche in difesa dei consumatori ), cosa significa “indipendente a prescindere”, visto che nemmeno lui potrà mai esserlo, essendo fondatore e presidente della sua Codacons.
Forse Rienzi immagina un suo mondo in cui una sorta di socialismo reale sia divenuto forma di religione morale. La Corea del Nord potrebbe dargli la cittadinanza onoraria, si mobiliti Kim Jong-un.

Da circo il parere del prof. Cacciari quando afferma che anche se si dichiarassero i propri conflitti d’interesse sarebbe in ogni caso sbagliato esporre le proprie scoperte o il frutto delle proprie ricerche scientifiche. Ascoltandolo mi par di capire che chiunque faccia delle proprie fatiche nello studio un mezzo di sostentamento, dovrebbe indossare la mordacchia e non parlare ai mass-media. Più spazio per gli opinionisti!!
Costoro infatti sono ovunque come il sale, competenti su tutto e quindi su niente e sempre ben pagati per ogni comparsata che ha il banale e degradante scopo di sobillare la pancia dello spettatore e mi riferisco proprio al filosofo ex pessimo sindaco di Venezia ( parere mio ).

In attesa della sicura seconda puntata del servizio de “Le Iene Show” rivolgo ora la mia parola allo stesso prof. Burioni.

Ringrazio il prof. Roberto Burioni per la pronta replica al servizio de “Le Iene” che ho visto. Il mio auspicio è che egli possa ancora, in futuro, insieme ad altri colleghi, intervenire presso i mass-media per informare la gente.

Ciò magari anche al di fuori di trasmissioni che sono palesemente di parte, come è purtroppo di parte la stragrande maggioranza dei mass-media nazionali.
I danni gravi in questa pandemia li hanno fatti giornalisti e altri cialtroni che, con l’uso dei mass-media e del web, hanno manipolato e travisato i progressi ed i fallimenti scientifici, o per scelta o per ignoranza, quest’ultima senza scuse, non essendo l’ignoranza del consapevole ma del presuntuoso.

La mia visione ( forse disgraziatamente minoritaria ) è quella di un mondo scientifico estraniato alle simpatie ed alle preferenze politiche.
Difficile in un paese in cui le nomine nei centri di ricerca pare siano tutte politiche. Difficile forse per il mondo universitario, del resto dopo Tangentopoli, la trattativa Stato-Mafia, lo scandalo recente nella Magistratura, c’è da temere anche per le università.

Estraniato grazie ad un sistema di diffusione e non d’informazione, delle notizie che sia neutro e trasparente e, soprattutto, capace di maneggiare il sapere.

Se così fosse, immagino che molti altri ricercatori come lei avrebbero piacere ad esporsi pubblicamente ( vedi il comunicato del dr. De Donno ), perché non temerebbero di essere messi, come capri espiatori, da una parte o dall’altra delle divisioni miserrime che molti, molti italiani manifestano su tutto.

Concludo con questo pensiero di Oriana Fallaci che mi sta molto a cuore:
“È un Paese così diviso, l’Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo. Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Non si preoccupano che per la propria carrieruccia, la propria gloriuccia, la propria popolarità di periferia e da periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono. Si accusano, si sputtanano…”

oriana fallaci

 

spot dolce e gabbana

Dissertazione #39 sullo spot Dolce & Gabbana

Facendo ammenda devo dichiarare che seguo con drammatica distrazione i fatti della cronaca. Ho saputo solo ieri della vicenda dello spot Dolce&Gabbana. Ho seguito sui social network le svariate contumelie e le esternazioni di molte persone.

Ho riflettuto ed ascoltato lo spot in lingua originale, poi ho ascoltato la traduzione dal canale youtube di Barbaroffa che alla fine dell’articolo allego come link.

Temo che qui si sia verificata un’inversione di tendenza; un fenomeno che forse pochi o nessun intellettuale ha compreso nelle sue svariate sfumature; che sicuramente potrebbero interessare un sociologo o un antropologo. Qui cercherò d’illustrarne i contorni che ho, con una certa difficoltà, cercato di delineare.

spot dolce e gabbana pizza

Barbaroffa espone una visione da esperto della cultura orientale, o, quanto meno, dal punto di vista di chi conosce in senso generale la mentalità del cinese; e dichiara, con sicurezza, che il messaggio dello spot sia stato mal costruito mal indirizzato e, quindi, malamente compreso o meglio, considerato apertamente come una derisione, un’umiliazione o uno svilimento della millenaria cultura cinese.

Io dico: “Eh la Madonna!”.

Non avrei mai pensato che un banale spot pubblicitario debba pesare le millenarie culture dei popoli e le sensibilità delicatissime di 3 o 4 miliardi di persone o dei loro solidissimi governanti; e qui, forse, sta il punto.

Visionando lo spot con leggerezza si ha l’impressione della solita semplice, banale, provocazione; realizzata con strumenti in apparenza grossolani: la solita bella ragazza, un contesto orientaleggiante, un testo banalissimo e volutamente “paternalistico”, le pietanze italiane che si susseguono. La solita vecchia storia del mangiare con le bacchette dei cibi non adatti a quegli strumenti.

Tuttavia, per un esperto d’arte contemporanea, lo spot merita maggiore attenzione. In particolare le pietanze: sono un evidente “fuori contesto” perché non hanno nulla a che fare con l’oggetto del messaggio che è l’alta moda; esse sono esagerate nelle dimensioni, con ovvio intento ironico-caricaturale. Qui è la cucina italiana che viene degradata ad una visione oleografica e stereotipata; una cucina di “roba grossa” “grezza”, che si pone in contrasto con la delicata eleganza della ragazza orientale la quale non è per nulla passiva ma tutt’altro, partecipa divertita al gioco che le viene proposto. Un gioco! Accidenti! È pubblicità!!

Il contrasto che si propone è sottile, il messaggio non è banale e tantomeno diretto: si pone la sfacciata moda italiana, col suo passato ed il suo presente di eccessi e di barocchismi, incarnata in pietanze tipiche, al cospetto della sottile, raffinata, elegante e decisamente positiva sensibilità degli orientali. Costoro infatti sono rappresentati da una ragazza giovane carina sorridente complice e simpatica; che non ha alcun comportamento passivo o sottomesso ma è solamente divertita dal gioco che le viene proposto e non imposto.

Qui nessuno ha capito nulla; in particolare coloro che hanno analizzato i fatti come sono accaduti e si sono precipitati in giudizi sommari.

Se fossimo ai tempi anteriori ai social network potremmo anche tranquillamente infischiarcene di chi non ha capito. Il messaggio sarebbe veicolato con mezzi unidirezionali verso il vasto pubblico ma con l’intento di raggiungere solamente una minima parte di esso; coloro che hanno il reddito adeguato ad acquistare Dolce&Gabbana. Quella parte di popolazione che vede nella moda italiana un modello di riferimento, magari che ha già introiettato quei concetti di globalità tanto cari alle classi dirigenti occidentali. Gli altri seguiranno. La massa acquisterà Dolce&Gabbana per emulazione. Acquisterà un pezzettino di quel mondo irraggiungibile per credere di farne parte. Rivedrà nella propria mente quelle immagini esagerate della reclame; quelle immagini volutamente sopra le righe, eccessive e prorompenti, parossisticamente provocatorie che faranno credere di essere al centro di una vita speciale.

spot dolce e gabbana il cannolo

I tempi però sono cambiati e la comunicazione deve tener sempre in conto la bidirezionalità, il feedback, quindi il consenso; che non è più limitato al potenziale cliente ma è “comunicazione globale” nella quale tutti i consumatori; ma più generalmente, tutti gli spettatori, possono interagire. Lo spot di Dolce&Gabbana è arrivato a chiunque e chiunque ha potuto scatenare contro di esso le proprie intime frustrazioni e misurarlo col proprio personale e ristretto punto di vista; e ciò che in una popolazione è globale non potrà mai essere in grado di cogliere le sfumature o i sottili riferimenti. Ciò che è globale tenderà a cogliere simboli e significati grezzi dozzinali superficiali e riferiti alla più cocente attualità, senza alcun tipo di elaborazione o di riflessione, senza alcuna differenziazione.

Tale processo inoltre avrà la caratteristica d’autoalimentarsi e di assumere l’effetto di una reazione a catena attirando a sé solamente una sempre maggiore reiterazione. Diventando una valanga ingovernabile che spazzerà via qualsiasi intento di dare le opportune valide e sensate spiegazioni. Questa valanga avrà quindi la potenza di coinvolgere persino i governanti i quali, seppur indifferenti al contesto pubblicitario, dovranno, per ovvie ragioni, dar conto al consenso della pubblica opinione.

Domenico Dolce e Stefano Gabbana non sono stati tratti in inganno e non hanno in nessun modo dimostrato di non essere consapevoli di questa realtà. Il loro non è assolutamente stato un errore di comunicazione. Hanno semplicemente ricevuto la definitiva e concreta risposta di un interlocutore sbagliato.

Sì, esatto, in questa vicenda lo sbaglio lo fa l’interlocutore. Perché non comprende che Dolce&Gabbana, col loro spot tanto desiderato e mandato in onda contro il parere dei manager, hanno inteso realizzare ciò che ha l’ambizione dell’opera d’arte. Ovvio, non possiamo pretendere, dopo quello che si è scritto sopra, che l’interlocutore sia consapevole di questo suo sbaglio.

spot dolce e gabbana gli spaghetti

Quando la comunicazione era unidirezionale la reclame poteva provocare e non produceva le conseguenze odierne; magari qualche articolo di giornale, un poco di brontolii ma tutto portava infine l’acqua al mulino della ditta: fama, gloria, attenzioni, vendite, profitti. Un circolo “virtuoso” che per decenni ha convinto sempre più le grandi firme, in particolare i colossi dell’alta moda, che il loro mestiere sia più attinente all’arte che all’artigianato. La moda è diventata una “forma artistica di comunicazione” solamente perché lancia strali ad un largo pubblico privo della benché minima possibilità di reazione strutturata ed efficace.

Insomma, finché il pubblico non esisteva tutto bene. Del resto è come per l’arte pura. L’arte si rivolge sempre ad un’élite, non dialoga con le masse. Sarebbe impossibile, altrimenti, alcuna innovazione e, soprattutto, alcuna drastica dissacrazione o blasfemia o rivoluzione; mentre sappiamo bene che l’arte si rinnova spesso grazie a queste qualità.

Questo perché le masse non sono propense al cambiamento per loro intrinseca natura; inoltre non sono in grado di cogliere aspetti di sintonia “fine” come la satira o il sarcasmo, soprattutto perché spesso sono fuori contesto; e l’arte ha, tra le sue grandi doti, proprio il pregio di rappresentare “fuori contesto”, al fine di riportare ogni cosa in un ambito astratto ed ideale. Lo spot, mettendo al centro della scena del cibo, attua un “fuori contesto” esemplare che, nella sua leggera banalità, cerca di strizzare l’occhio alla massa, divenendo indigesto pure all’élite.

Impossibile, quindi, poter ancora giocare la pedina dell’arte nella scacchiera del mondo contemporaneo, centrando un “fuori contesto” come l’alta moda con uno spot artisticamente perfetto ( in questo caso il fuori contesto sarebbe appunto l’arte utilizzata come mezzo di comunicazione per l’alta moda ). È praticamente un suicidio; ma è, finalmente, un modo per dei bravissimi artigiani e stilisti, di sperimentare quanto sia duro e spietato il reale mondo dell’arte; dove la cosa più comune è non venir capiti.

spot dolce e gabbana bacchette

Dolce&Gabbana hanno voluto aspirare all’essere artisti e lo hanno fatto con sincera onestà e rischiando parecchio. Producendo questo spot, secondo me, hanno fatto un omaggio all’arte contemporanea in un suo particolare aspetto di provocazione innocua e conformista, come va molto adesso nei musei e nelle gallerie, spesso sponsorizzate dalle stesse case di moda.

Quello che hanno profondamente sbagliato è stato l’aver voluto fare gli artisti senza tener conto delle possibili catastrofiche conseguenze in termini di affari. Perché dietro la loro firma vi sono migliaia di persone che lavorano, d’investitori, di fornitori. Un vero e proprio mondo, che con questa uscita artistica, ha rischiato d’incrinarsi o addirittura di crollare. Si perché i margini sono strettissimi per molti e basta veramente poco per perdere tutto.

L’artista invece rischia di suo e basta. Rischia perché si dedica alla sua arte invece di trovarsi un lavoro; rischia perché magari intraprende percorsi complessi e poco “commerciali”; ma rischia di suo, al più mette in difficoltà amici e parenti. In tal senso tuttavia l’artista ha la reale possibilità di essere più libero e, magari, più concretamente artista.

Questo, purtroppo, Dolce&Gabbana non possono permetterselo, per un semplice senso di responsabilità verso una moltitudine di persone che non hanno sposato una “causa artistica” ma, semplicemente hanno inteso mettere a frutto le loro sudate professionalità per construire una esistenza e, magari, conseguire la felicità o la realizzazione.

Queste sono le conseguenze della comunicazione globale e le sue pessime ricadute sulla possibilità di utilizzare i mass media per trasmettere un messaggio “artistico”. Meglio coltivare l’interesse per le arti nel proprio privato. Il rischio è solo personale.

Link al video di Barbaroffa:

cosa succede al tango

cosa succede al tango in Italia?

Credo che il fenomeno si stia chiudendo in sè stesso, assecondando un modo di pensare che vede il tango come un fenomeno folckloristico defunto dal 1950. Attenzione!

In in questo modo il tango perderà il suo vero significato di esperimento in evoluzione ma sarà solamente un argomento utile ai locali notturni, per riempire le sale da ballo…

Questo l’ho scritto nel 2010, quattro anni fa; ed oggi sono sempre più convinto che le cose vadano in quel senso.

tango compleanno
Ci accorgiamo di ballare su brani ormai antichi, nulla, sul lato della musica, viene più distribuito nelle sale. Ho detto “distribuito” perché son certo che musicisti che compongono e suonano tango ve ne sono in questo momento. Quindi la condizione “artistica” di chi pratica il tango è quella stantia, di ciò che è passato, del vecchiume.
E dove si va col vecchiume?
Verso la fine.

In tal senso sarebbe opportuno che chi organizza milonghe clandestine o illegal, insomma raduni dettati solamente dallo spirito di gruppo e dalla passione per il tango, inserisca con maggior coraggio brani di musica contemporanea che siano adatti o magari che siano veri e propri tanghi del nostro tempo. Senza alcuna supponenza o posa narcisistica.

È sicuramente chieder tanto, perché sappiamo benissimo che questa come tutte le forme d’arte, raccoglie quella gran parte dell’umana specie che è più torbida d’afflizioni.

Non arrivano giovani semplicemente perché si continua a non voler uscire dallo schema tango argentino anni 1940-1950 solo e solamente tango argentino; e quei giovani che vanno a lezione non vanno a ballare perché sono in soggezione rispetto all’ambiente difficile e chiuso.

Il problema sono anche le scuole che non insegnano ad ascoltare la musica e ad apprezzare l’usanza di invitare dame sempre nuove.

tango mantova
Festival del tango di Mantova 2009

Per attirare i giovani si deve aprire la mente alla musica e gli istruttori devono essere più giovani, inoltre si devono organizzare delle milonghe nei bar in cui accedono anche i non tangueri.

Se daremo massima espressione all’arte del tango accogliendolo in tutte le sue differenze ed in tutti i suoi aspetti e se organizzeremo FESTE e non più milonghe, avremo l’attenzione anche dei più giovani, dei più timidi e delle persone meno boriose del mondo!

Domandiamoci perché le scuole di tango sono sovraffolate di gente mentre invece nelle milonghe ci sono sempre gli stessi!

Noi veterani spesso abbiamo un atteggiamento poco accogliente e per nulla accomodante verso i principianti. Questo è stupido perché ci siamo passati tutti, nessuno è nato imparato!!

Non si è bravi tangueri o tanguere se non si ha comprensione per i principianti e se non si incoraggiano i principianti a scendere in pista.
Le milonghe devono diventare delle feste!

tango a san marco venezia
È assurdo voler importare dall’Argentina anche la tradizione; o che gli stessi argentini siano convinti di poter esportala “asetticamente”. La tradizione è nel sangue degli argentini non nel nostro.

Noi dobbiamo trasformare questa cultura, arricchirla e integrarla con la nostra, soprattutto con la musica più moderna con le armonie di Capossela, di Conte, di Caparezza e di tanti altri compositori. Anche i compositori di musica classica sono una risorsa importantissima, dobbiamo coinvolgerli.

Un esempio è il CD Reunion Cumbre realizzato da due eccellenti compositori e musicisti Veneziani grandi interpreti di Vivaldi.

Personalmente ritengo che il tango piaccia proprio ai giovani, diciamo a quelli che hanno un’età dai 25 anni in su. Tutto dipende da come viene loro presentato. Manca, secondo me, un linguaggio che sia compreso dai giovani.

Non credo che arricchendo la danza con qualche decoro e magari, acrobazia, essa non sia più un’emozione. Credo che sia vero che si balli con la mente, soprattutto con la mente. Credo che qualsiasi novità, qualsiasi nuovo passo, qualsiasi “acrobazia” siano sempre qualcosa in più che aumenta le possibilità di comunicazione durante la danza e quindi in grado di aumentare l’emozione l’entusiasmo il divertimento in quei pochi minuti.

Ricordiamoci che questo è un gioco e che quindi come tale deve divertire.

Nel divertimento potrai trovare l’emozione e anche l’amore; il tango è un’insostenibile leggerezza dell’essere; non zavorriamolo con inutili artifici accademici ed etichettature che spesso sono propri di chi ha dei limiti e vuole limitare tutto ai propri limiti, per essere, in quei limiti, il più grande.

Credo che i giovani si allontanino in quanto non vedono nel tango quei valori di DIVERTIMENTO che invece dovrebbero caratterizzarlo. Molti istruttori si prendono troppo seriamente e quindi trasmettono un’idea austera e limitante della danza. Non trasmettono il valore di intrattenimento e di divertimento che essa in realtà ha alla sua base.

tango a san marco venezia

Alcuni considerano il tango come una missione sociale o addirittura politica, l’idolatrano come forma d’arte. L’idolatria porta alla distruzione.

Le lezioni di tango in genere si basano su brani vecchi e sempre quelli. Facciamo, ad esempio, come fa qualcuno che insegna sulla base di brani di musica leggera contemporanea, vedete voi come cambia tutto!!!

Deconstestualizziamo la danza dalla musica e introduciamo il tango come motivo di ballo adatto a qualsiasi genere musicale; utilizziamolo come mezzo di divertimento per coppie occasionali e non!

Basta con le scelte di principio, i valori originarii. Noi non siamo originarii siamo europei, italiani, abbiamo portato noi il tango in argentina, possiamo a buon diritto riprendercelo e trasformarlo come meglio ci pare. Con tutto il dovuto rispetto per la storia!

Si continua a vendere roba vecchia perché la gente ignorante non riesce ad ascoltare la musica, non va a tempo e non conosce i passi. Quindi per vendere, per riempire le sale, si continua a mettere i soliti 90 brani sempre quelli e sempre li stessi; perché la gente ignorante è la maggioranza.

Quindi le cose stanno così: chi vuole innovare contaminare e produrre nel tango non può rivolgersi a tutti perché la gran massa è vecchia e non vuole nemmeno ascoltare la musica perché non la capisce.
La gran massa vuole sentire sempre li stessi brani, possibilmente marcette, vuole fare sempre li stessi passi, vuole piagnucolare in pista.

Coloro i quali hanno ancora una mente giovane e ricettiva e vogliono mettere alla prova i propri limiti saranno sempre pochi.

Io ballo con centinaia di donne tutte diverse e non disdegno le principianti, non faccio alcuna selezione, ballo per divertimento.
Perciò sono sicuro di quel che dico.

L’ambiente del tango italiano è ridicolo, pretestuoso e presuntuoso, pieno di gente boriosa e ignorante che si nasconde dietro pretese di tradizionalismo ma che in realtà non è in grado di distinguere Pugliese da Salgan e nemmeno di ballarlo facendo una distinzione.

Un rinnovamento si può sperare solamente auspicando che giovani compositori italiani si cimentino con il genere e producano nuovi brani e che trascinino nuove generazioni all’ascolto ed alla danza della nuova musica!

dana day nel polesine

Questo ambiente chiuso accademico e finto-tradizionalista, interessato solamente a riempire le sale di vecchi è sterile.
Ci vuole un rinnovamento!
Non possiamo tirare avanti dicendo che il tango è morto nel 1950!
Queste sono sciocchezze che certi istruttori berciano nelle cosìdette scuole di tango che invece sono dei luoghi dove il tango viene ucciso!
Volete insegnare ma non siete artisti!!
Per insegnare un’arte bisogna essere artisti: avete capito???
Se non siete artisti siete solo della povera gente che specula e guadagna uccidendo il tango!

Per essere artisti bisogna aver sofferto. Bisogna aver amato la musica, tutta la musica, e bisogna amare la danza, tutta la danza!!
Non bisogna avere pregiudizi, bisogna guardare avanti dare fiducia ai cambiamenti e non arroccarsi sul rassicurante vecchiume come avvoltoi sulla carcassa!!

Molti di quelli che si credono maestri non sanno un beneamato tubo dei compositori delle loro idee, di quello che esprimevano con la loro musica. Gli artisti hanno sempre guardato avanti e se ne sono infischiati delle tradizioni, hanno spezzato le catene dell’accademia per dare sfogo alla propria immaginazione!

tango san giacomo venezia

Il tango è la più alta espressione di libertà nella musica. Accoglie ogni genere ogni sfumatura. Si ciba di musica classica, pop, rock, punk, jazz. È un genere totalizzante universale e parla tutte le lingue.

Dobbiamo assecondare la volontà del tango e quindi aprirgli le porte!
Il tango può essere la musica di ogni paese, di ogni popolo, di ogni cultura e tradizione.

Il tango è la musica dell’umanità perché ha al suo interno tutta l’umanità possibile ed è aperto a tutte le forme di umanità.
Suoniamolo e balliamolo in italiano, francese, inglese, tedesco, australiano!!

Abbandoniamo i nostri pregiudizi e la nostra inutile ignoranza!

L’evidenza dei fatti è questa: si ha tutto l’interesse affinché la gente rimanga ignorante, non capisca più di tanto, non impari più di tanto, non chieda troppo e non pretenda di capire, in modo tale che quelli che si auto-incoronano maestri di tango rimangano tali, che gli incompetenti continuino a dar lezioni, che gli ignoranti continuino a protestare quando viene messo un brano che non sia tra i soliti 90.

In modo tale che il business rimanga nelle mani di questa gente che uccide il tango!!

Il rischio più grande è l’istituzionalizzazione. Bisogna evitare di istituzionalizzarsi e quindi di non vedere altro che se stessi ed immedesimarsi troppo. La cultura del tango è a disposizione di tutti, non è il regno di qualche persona che a torto o a ragione si ritiene competenze in base a qualsiasi curriculum abbia.

La cultura è a disposizione di chiunque voglia accedervi e la cultura concede a tutti la libertà d’espressione e di dire cose giuste e sbagliate. Io ritengo che ciò che dico sia giusto e ho il coraggio di dirlo.