infine volteggiano
a due a due
su quella spiaggia.
Trovano
l’abbraccio giusto,
di forza e grazia
che danno il coraggio
a percorrerla se oscura,
al confine del confine;
ma che sia liscia.
E si è sempre trattato di un naufragio
volontario o meno,
in un luogo impossibile,
sotto un cielo impossibile,
ma di un naufragio.
E quell’umanità,
sospinta, avversata, ostinata;
irretita dalla propria medesima meraviglia
emerge dall’abisso e balla un ballo,
scagliato in terra impacchettato col cartone e lo spago
da un Dio impomatato,
di origine italiana,
in cerca di pane e latte
e di una donna.
Un Dio ingenuo e sognante,
credulone macho affascinante
sorridente a tutti
per “farsi una posizione”,
abituato a sottovalutarsi
incline all’ottimismo
dilapidatore del suo immenso genio
mentre gli “amici” a casa
lo deridono e lo dimenticano;
ma tornerà un giorno
e qualcuno su quella spiaggia
avrà la gola inondata di lacrime,
acqua di quel naufragio:
a tempo.