La misera cronaca che segue è la giusta scarna cronologica sequenza di ciò che merita quello che fu dell’artista e suo materiale ricordo.
Carmelo Bene è deceduto il 16 marzo 2002. Alla morte di Carmelo rimasero Maria Luisa, sorella, attrice, co-sceneggiatrice, musa di Carmelo e suo figlio Stefano; costoro ereditarono la proprietà della Casa Turca che fu set di “Nostra Signora dei Turchi”.
La casa venne messa in vendita e Maria Luisa si trasferì in una casa più piccola in affitto lasciando praticamente arredata la Casa Turca che passò in gestione ad un architetto con la smania della poesia e degli affari che pensò di farne un Bed & Breakfast.
Il 15 ottobre 2013 purtroppo viene a mancare anche Maria Luisa ed erede universale restò Stefano che cercò di recuperare dalla Casa Turca tutto ciò che poteva, prima che venisse alienata e trasformata in un’attività ricettiva.
Vi furono proteste, sit-in, raccolte firme, petizioni, per sensibilizzare il Comune di Santa Cesarea Terme in ordine all’acquisizione dell’immobile per farne il museo “Casa di Carmelo Bene” ma tutto fu inutile.
Stefano De Mattia, figlio del primo marito di Maria Luisa ha ricevuto in dono le poesie giovanili e l’ultimo libro “Ho sognato di vivere” ed ha recuperato anche molto altro materiale, purtroppo non tutto perché vive in un mini appartamento a Roma. Con questo materiale egli ha anche organizzato una mostra sempre a Roma. La Bompiani ha ignorato le opere di Bene per 19 anni ma è normale. Tutti i poeti dovrebbero scrivere il medesimo epitaffio: “NE RIPARLIAMO TRA VENT’ANNI”.
Ciò che sciaguratamente è rimasto nella Casa Turca che Stefano non è riuscito a recuperare è di proprietà di capre e somari, incapaci di comprendere e dare il giusto valore a ciò che possiedono.
Ode a Giuseppe Fortunino Francesco Verdi. Le Roncole, 10 ottobre 1813 Milano, 27 gennaio 1901
I 1 — 4 Nel mondo, da filatrice ed oste, eietto, in Roncole, contrada di Busseto, Verdi Bepi compiva il primo atto, a musicar suo talento col spinetto.
II 5 — 8 Manifesto fé di sé al Cavalletti, meccanico nei melodici istrumenti, ed ei, raffermo ai suoni tal siffatti nolle nasconder dei godimenti.
III 9 — 12 Ei, intriso di solerzia e senza posa, poscia aver sanato il vil strumento riavviò con mano e fé la chiosa con detto italico, al gentil portento.
IV 13 — 16 In Marzo dell’ottocento anno ventuno l’artigian modesto e luminoso dell’ottenne capace ed opportuno seppe avvenir fulgido e armonioso.
V 17 — 20 Alle note avezzo e mai avulso od ebbro Bepi principiò coltivar sonora mente all’ordine di cui fu lustroso membro Cartesio, che viver volle dubbiosamente.
VI 21 — 24 È costì che Sant’Ignazio di Loyola, che a Gesuiti diede il seme, fu pel Bepi infante, prima scola lì, di scienza grave e di speme.
VII 25 — 28 Principiò la musical composta rima et, colla mano, l’istrumental pratica dal Provesi Mastro di certa stima di paesana banda Filarmonica.
VIII 29 — 32 In Busseto, intento in giochi bimbi, ei trascorrea lieti giorni di bimbo; ma quei potean essere i suoi piombi, se avesse sé lasciato in quel limbo.
IX 33 — 36 Dhé, mossesi pigliosamente lesto in quel Milano centro della musica ma al Conservatorio repente fu molesto avendo ei già vissuto l’età fisica.
X 37 — 40 Senza lasciar frustrato il luogo vivo al Lavigna, Bepi giusto venne e fu attento al cembalico divo, della Scala Mastro senza strenne.
XI 41 — 44 Devossi indi a liete frequenze de teatri dell’ambrosiane mura onde fondar le personal istanze che faran del genio sua premura.
XII 45 — 48 Il giovin messer Verdi, vide costì senza intermedia stirpe alcuna opere fresche, sceneggiate ognidì che dell’arte copria ogne lacuna.
XIII 49 — 52 Quel che di Sforza fu baluardo, divenne d’Austria ciambellano, Bepi il fé di suo bel riguardo a non esser di tal musica profano.
XIV 53 — 56 La giovine promessa non tediava il tempo suo, all’uopo concesso; mentre giusto nome e fama creava spendea in teatro e corti lo stesso.
XV 57 — 60 Ed è così che non ebbe i sacri voti per divenir mastro di cappella ma grazie al ciel ebbe le doti sol pel melodramma farsi ancella.
XVI 61 — 64 Venner quindi gli anni illustri cui al lavoro egli dette fiamma e da quei giorni, non vi frustri, egli dette voce a vasta gamma.
XVII 65 — 68 D’opere tante fu lume e fattore Rocester lunga e Stanislao bislacco ma una certo l’incoronò creatore quella che ognun conosce: il Nabucco!
XVIII 69 — 72 In essa appare il gran splendor del genio del solo tutta la vasta immensità nel suono e nella scena proemio all’epica vicenda dell’umanità.
XIX 73 — 76 Ernani fu quindi il dramma più teso cui Venezia fu chiesa in Fenice dove genti passioni e conteso divengon di mondo audace vernice.
XX 77 — 80 Venner quindi i Foscari e l’Alzira, dei drammi verdiani la schiera, in ognun egli tiene la mira: per mostrar la passione più fiera.
XXI 81 — 84 Macbeth opera grande Bepi crea ed è come il cugino Guglielmo; parole gemelle certo non potea fé della musica, sicuro, il suo elmo.
XXII 85 — 88 Nel mezzo del cammin di sua vita, Verdi giunse alla fama del mondo; ma pel suo zelo non crede sia finita ed è la Francia del fine lo sfondo.
XXIII 89 — 92 Sorge inatteso il patriottico moto in intime rime ascoso e non bruto. Quindi è Schiller, scrivano ben noto ch’egli non vuol che in sé resti muto.
XXIV 93 — 96 Splende ancor baldo nella Fenice perfetto, d’equilibrio composto, Rigoletto, che presto all’olimpo lo dice, il brano che in Hugo fiducia ha riposto.
XXV 97 — 100 Sul Rigoletto incauto s’abbatte la furia simil natural infausta tempesta, che, nel musical tono che da goduria, imita Venezia nel dondolar di questa.
XXVI 101 — 104 Poi venner drammi altri e forti d’intenso ritmo e sostenuto notizia alcuna è dato che vi porti giacché il tempo è contenuto.
XXVII 105 — 108 Preme rimembrar che ei certo c’era per Deputato nel primo Parlamento. E con il creator della prima nazion vera vide di Patria mancar giusto sentimento.
XXVIII 109 — 112 Cavour Conte Benso e Camillo pingue, fece vergar sua fiera richiesta per l’inno che nazion in forma giunge, dell’Universal Esposizion di festa.
XXIX 113 — 116 Finché di vita ebbe Bepi il puro spirto mai cessò segnar con serio impegno quei modelli che avea in seno il rito di comun schiatta e colta valori e segno.
XXX 117 — 120 Per finir, come al genio si conviene ei morì; e vaste lodi furon ammesse; e sempre crescenti più il tempo viene ché dai mediocri ai morti sono tesse.
Si affaccia sul pittoresco Campo di San Giacomo dell’Orio, questo palazzo dalla forma particolare. Esso fu Teatro Anatomico, luogo in cui i medici studiavano appunto il corpo umano dissezionando cadaveri e le levatrici imparavano la pratica ostetricia. Fu distrutto da un incendio nel 1800 e ricostruito.
Quindi ebbe altre destinazioni abitative fino ad essere sede Arci Gay, una trattoria e un archivio della Regione Veneto in tempi più recenti. La proprietà era della Regione Veneto fino a pochi mesi fa, quando l’imprenditore Alberto Bastianello lo ha acquistato con l’intenzione di farne un locale pubblico.
Mal gliene incolse!
La sua iniziativa privata a scopo di lucro s’è infranta nelle granitiche opposizioni di un gruppo agguerrito, tutto teso nell’impedire che un tale mercimonio possa aver luogo.
Si sono mosse anche Associazioni note, che forse cercano visibilità in ogni tipo di contumelia, nella pretesa di difendere una residenzialità veneziana decadente, sempre più vilipesa da masse feroci di turisti pronti a tutto.
I media locali si sono subito avvicendati nel dare testimonianza diuturna, anche per arredare opportunamente di notizie le pagine locali e, di conseguenza, avere i riscontri necessari in conto economico. Tuttavia pare che la cosa abbia sfumature differenti agli occhi del cittadino vivace e di puntuale senso civico.
Infatti in pochi giorni dalla notizia dell’alienazione, l’immobile è stato okkupato. Insomma, alcuni abitanti dei dintorni e forse anche d’altre zone colà richiamati, hanno preso possesso del palazzo, ovviamente senza alcun permesso della proprietà e con l’intento di manifestare il loro disappunto per le intenzioni della stessa.
È, con piena evidenza, azione contraria alle norme che tutelano la proprietà privata e la libera iniziativa d’impresa. Ora, viene da domandarsi chi siano costoro. Trattasi di semplici abitanti che spontaneamente s’organizzano per opporsi all’arrogante usurpatore del loro quieto vivere?
Chi lo pensa, a mio parere è ingenuo. Chi qui scrive invece, considera quest’azione un’arrogante ed organizzato grimaldello per assumere il controllo di spazi pubblici e privati da parte di fazioni che hanno una determinata e circoscritta appartenenza politica. Non vi è, in questo strumento di forza e prevaricazione, alcun presupposto di condivisione in quanto essa avrebbe le connotazioni della neutralità; mentre ha denotato fin da subito il carattere i simboli gli slogan i suoni ed i comportamenti di un’appartenenza politica.
La mia sensazione è che chi non fosse parte di questa fazione e condividesse anche solo l’idea che l’azione sottende, si troverebbe nelle condizioni d’astenersi o, quanto meno, di rimanere ai margini e quindi si sentirebbe conseguentemente “emarginato”.
Se ciò ha senso si dimostra facilmente che l’attore dell’impossessamento non è un’ipotetica “cittadinanza” bensì, una parte ristretta che fa riferimento ad un determinato consenso.
Che fare?
Osserviamo i passati trascorsi. In Venezia insulare insiste il Centro Sociale “Morion”; quindi, il Centro Sociale “Zona Bandita”. Quest’ultimo, prima di avere la sua sede in Santa Croce Fondamenta dei Tabacchi, aveva preso possesso di un Palazzo lungo il Canal de Cannaregio. Un palazzo di pregio, forse del ‘500, trasformato in un luogo fatiscente e degradato. Con lo sgombero del Centro Sociale “Zona Bandita” è subentrato un ristorante bar teatro gestito da Smart Venice srl.
Quindi l’okkupazione del Palazzo in Fondamenta De Cannaregio è stata sostituita da un’iniziativa a fine di lucro basata sulla ristorazione e l’intrattenimento. Quest’ultima pare essere organica per estetica intenti e branding alla precedente okkupazione, epurata di tutti gli aspetti poco commerciali quali pavimenti sfondati muri devastati bagni distrutti e pieni di feci, abbandono e degrado.
Esistono oggi a Venezia ben due Centri Sociali operativi che accolgono coloro che condividono questo modo di vivere e pensare. Mi chiedo se non siano più che sufficienti in un centro abitato di 55 mila anime.
L’azione presso il Teatro Anatomico ha tutti i crismi di un’ulteriore appropriazione da parte di gruppi faziosi che, in quanto tali, avranno intenzione di trasformare questo patrimonio in uno strumento d’aggregazione e propaganda di un modello ideologico e quindi con nessun intento universalistico e sociale. La solita pretesa, di una notoria appartenenza politica, di mettere il cappello su ogni pretestuosa azione a cui si da la cornice di “culturale”.
Ciò perché una struttura che si voglia utile alla totalità degli abitanti e per tutti accogliente ed usufruibile per scopi culturali, deve necessariamente essere neutra rispetto a segni, simboli od ideologie. Non solo; a voler pensar male si potrebbe anche congetturare che l’okkupazione ha il semplice scopo d’impedire l’insediamento di un imprenditore sgradito al fine poi di condurre, col tempo, l’immobile al medesimo uso che ne avrebbe fatto il primo ma sotto la gestione di altri più consoni alle convinzioni ideologiche di chi ha gestito l’atto illecito e forzoso. Perché quando il locale pubblico ha l’estetica conforme alle loro ideologie non è più speculazione, non è più turismo, non è più profitto o lucro, è cultura; mentre si crea l’emarginazione per chi non si conforma.
Ecco quindi che la prima impressione, magari piena di lodi per l’azione spontanea del cittadino, si riempie di sfumature e mezzi toni che celano ben altre possibilità. Rendiamoci conto che la città di Venezia ed i veneziani stessi, hanno una naturale e comprensibile propensione al commercio e ciò è un fatto buono.
Rendiamoci pure conto che, per impedire una determinata iniziativa, è necessario avere già pronta un’alternativa e che i patrimoni immobiliari hanno un reddito e devono essere mantenuti. Qualsiasi intervento di restauro o di modifica del palazzo si deve confrontare con costi adeguati alla città.
Si rischia di realizzare un centro di costo, una realtà che andrà sussidiata. In tal caso, non avendo alcuna obiezione seppur nella considerazione dell’equilibrio di bilancio, pretenderei con fermezza che la gestione di uno spazio pubblico aperto a tutti, debba avere scopi universali e che non debba essere gestito da alcun privato ma dall’amministrazione stessa; sempre a patto di risarcire il malcapitato acquirente che ha osato immaginare un locale pubblico ( anch’esso dotato di caratteristiche sociali ) come quello che fu la Vida.
Caffé e ristoranti sono stati e sono tutt’ora, eminenti luoghi di aggregazione di pensatori, intellettuali, artisti ed ogni altro genere di persona, in completa autonomia e libertà.
In un contesto di tipo culturale non defunto ma in evoluzione;
in un ambiente che ambisce ad essere portatore di valori e contenuti di tipo “creativo”;
se è dato essere creatori di un qualche cosa;
non è possibile escludere il dibattito;
e quindi anche le polemiche che il dibattito stesso può e, in un certo senso, deve suscitare;
altrimenti vige il conformismo il consensualismo il dogmatismo;
aspetti questi della sociologia umana, acerrimi nemici della ricchezza culturale, della giustizia, dell’eguaglianza, del rinnovamento del pensiero.