a la biondina in gondoleta componimento libero di nicola eremita

A la biondina in gondoleta

Libero componimento di dedica ai sentimenti verso Venezia e il suo ethos

Premabolo

E fu così che i primi di gennaio 2024, ricevuta la notizia, mi iscrissi per la seconda volta al fortunato Festival della Poesia Erotica Baffo-Zancopè, l’altra volta fun nell’ormai lontano 2015.

Per gli uomini stupendi e le donne meravigliose de La Compagnia de Calza I Antichi, giunti già alla trentaduesima edizione del Festival, ho riservato questo libero componimento non in metrica e con rima zoppicante. La graziosissima Giuria ha voluto quindi lodare il componimento con il Premio Mario Stefani.

premio mario stefani compagnia de la calza i antichi venezia

Esso nasce dai seguenti fondamentali:

  • il brano di Beethoven;
  • le parole di Lamberti;
  • gli acquerelli di Giovanni Testa eseguiti al Lido tra il 1985 e il 1990.

Beethoven si divertì a scrivere canzoni di stile popolare, tra le tante che compose vi fu anche quella dedicata a Venezia, Lamberti vi dipinse sopra un brano poetico di profonda dolcezza e delicatezza eccola:

A la biondina in gondoleta

Cara la mia biondina, putea par sempre!
Senza il fio d’un Dorian Gray. 
Vai nua nuando par canaletti canalini e canalassi, sfiorando insulsi tesori, grevi sui fondali, in acque salse, infette, luride, di sentimenti popolari. 

Cara la mia biondina, con te in gondoleta vogo i miei trent’anni. 
Sonnecchi, t’accoccoli, come i tuoi innumeri gatti. Sotto, mille più mille pescetti in plumbei banchi. Sopra, il ciel bruno, istoriato di tetti, poi prussiano, celeste, ridanciano agli occhi stanchi. 

Cara la mia biondina: 
“Ti geri Regina dei mar!”, “Mi so rivà tardi! Tardi a fare arte e amor co’ ti!”
Sei bimba da ciavar, di quelle che va anca coi veci. Di quelle che va anca col balon da vento e la so pantegana. 
Che va co tuti, basta che i paga!

Cara la mia biondina, nazion che volevasi impero, maliarda d’ambascerie. 
Oh me ignorante! Casati Stampa te credevo; sei persa in una sagra di fumose fesserie. 
Sensual domine de scritte licenziose, sacco de camarille ideologiche et faziose. 

Cara la mia biondina, fai l’amor dondolante e t’indormenti? 
Trope fritoe!
Altro son l’erotici zavagi!
Resto svegio; vardarte da malinconie struggenti!
Altro son i sessuali ardimenti!

Cara la mia biondina, vacuo l’universal nido di scienze ed arti, vacuo il talamo di sudori degli amanti.
Carnaval è lo spettro di quei tempi; Piazza è palco per goliardi e mestieranti. 

Cara la mia biondina, chiuse cassapanche colme d’erotiche vittorie, lasciati teneri silenzi all’oblio di crudo frastuono; un acquerello al Lido, intonato a modo e dedizione, giunge inatteso e tagliente dal lontano-vicino effervescente, sistema di comunicazione. 
Casuale incombente messia del ricordo; e tutto il tuo corpo emerge dal mare colle braccia di sabbia a fargli da bordo. 
Dispero e piango senza controllo, cara la mia biondina, sorgi ancora nel lampo di un giorno! 

header carmelo bene vicende già note

Carmelo Bene, vicende già note

come al solito per gli artisti solo disprezzo

La misera cronaca che segue è la giusta scarna cronologica sequenza di ciò che merita quello che fu dell’artista e suo materiale ricordo. 

Carmelo Bene è deceduto il 16 marzo 2002. Alla morte di Carmelo rimasero Maria Luisa, sorella, attrice, co-sceneggiatrice, musa di Carmelo e suo figlio Stefano; costoro ereditarono la proprietà della Casa Turca che fu set di “Nostra Signora dei Turchi”.

La casa venne messa in vendita e Maria Luisa si trasferì in una casa più piccola in affitto lasciando praticamente arredata la Casa Turca che passò in gestione ad un architetto con la smania della poesia e degli affari che pensò di farne un Bed & Breakfast. 

carmelo bene casa turca patrimonio dell'artista santa cesarea terme

Il 15 ottobre 2013 purtroppo viene a mancare anche Maria Luisa ed erede universale restò Stefano che cercò di recuperare dalla Casa Turca tutto ciò che poteva, prima che venisse alienata e trasformata in un’attività ricettiva. 

Vi furono proteste, sit-in, raccolte firme, petizioni, per sensibilizzare il Comune di Santa Cesarea Terme in ordine all’acquisizione dell’immobile per farne il museo “Casa di Carmelo Bene” ma tutto fu inutile. 

Stefano De Mattia, figlio del primo marito di Maria Luisa ha ricevuto in dono le poesie giovanili e l’ultimo libro “Ho sognato di vivere” ed ha recuperato anche molto altro materiale, purtroppo non tutto perché vive in un mini appartamento a Roma. Con questo materiale egli ha anche organizzato una mostra sempre a Roma. La Bompiani ha ignorato le opere di Bene per 19 anni ma è normale. Tutti i poeti dovrebbero scrivere il medesimo epitaffio: “NE RIPARLIAMO TRA VENT’ANNI”. 

carmelo bene casa turca patrimonio dell'artista santa cesarea terme

Ciò che sciaguratamente è rimasto nella Casa Turca che Stefano non è riuscito a recuperare è di proprietà di capre e somari, incapaci di comprendere e dare il giusto valore a ciò che possiedono. 

per chi ama venezia

Anche gli imbecilli amano.

“Grazie di averci liberato dall’Eremita.”
La prima, di chissà quali altre frasette.
Così accade quando prendi parte a qualche discussione in un gruppo social ed hai una tua posizione che difendi con convinzione.

I gruppi, sono i territori più curiosi e ricchi che i social-network abbiano mai prodotto da quando esistono. Sono vivaci, c’è dentro la gente e poi ci sono gli amministratori, quasi sempre capaci di ricreare tutte le più brutali storture del potere assoluto ( in rari casi veri moderatori, quasi sempre improvvisati e goffi demiurghi ). I gruppi social sono l’umanità denudata e senza alcuna remora.
La meraviglia della natura più oscura dell’umanità, così virtualmente vicina agli eccessi biblici di persecuzioni, stragi, campi di sterminio, tribunali sommari e/o del popolo ( sempre il popolo presente/assente ). 

Tutto nasce per caso, curiosando, come fan tutti, nella sezione notizie del noto Facebook, m’imbatto in un post pubblicato nel gruppo “per chi ama Venezia” da tal K. ( amministratore ) che condivide un post che l’utente Caenazzo ha pubblicato nella propria bacheca: 
( https://www.facebook.com/caterina.caenazzo.1/posts/3527743067261613 ). A mio parere ciò che Caenazzo ha scritto è abominevole ma, finché fosse rimasto nell’ambito della sua bacheca, avrebbe anche avuto un certo diritto di vita, se volessimo interpretare la bacheca dell’utente Facebook come il luogo privato in cui può sfogare ogni suo istinto od irrazionale sentimento anche poco pensato. 

Tuttavia la cosa acquisisce altro tenore quando quell’abominio viene da altri condiviso e palesato in un gruppo pubblico che intrattiene oltre 47 mila utenti ( poi di questi sono attivamente partecipi alcune centinaia ma si tratta di tecnicismi del comportamento di massa ). Si badi bene che qui non so se K. lo abbia pubblicato perché condivide gli ideali del contenuto o solamente per dovere di cronaca verso coloro che amano Venezia ( ognuno a modo suo ovviamente ). Eccolo:

per chi ama venezia

Orbene, dopo il 5 dicembre 2020 questo post è stato cancellato dal gruppo e quindi non è più visibile. Molto discutibile questa modalità d’azione visto anche il vasto numero di persone che vi partecipano. Si è trattato con evidenza di una censura postuma per i commenti ( molti di chi qui scrive ) che seguirono la pubblicazione.
È invece rimasto ben visibile il post( icino ) che poco dopo ha seguito la cancellazione che un tal G. ha voluto rapidamente pubblicare e nel quale ringrazia per il ban eseguito nei miei confronti: 

per chi ama veneziaBah, si tratta di futili sconcezze tipiche dei social.

Tuttavia nella bacheca della Caenazzo il post frettolosamente cancellato è rimasto orgogliosamente pubblicato e visibile a tutto il mondo ( anche ai non amici ). Le reazioni, salvo alcune rare, ovviamente non sono state di partecipato entusiasmo.
Ma perché?
Lo so che, per qualsiasi persona normale, essa sia una domanda retorica, cercherò allora d’immaginare che il quesito me l’abbia posto un imbecille che ama Venezia.

Questo orrendo periodo di deflagrante epidemia ha colpito tutti gli aspetti più umani: lo scambio, il dialogo, la curiosità, la cultura, l’esperienza dell’arte, il confronto, la scoperta. Quegli aspetti che ci fanno realmente differenti dal resto del mondo animale. Le uniche cose che ci ha risparmiato sono le sciagure della guerra; favore riservato tuttavia solo a noi del primo mondo. Ebbene le città più aperte a quei caratteristici traffici umani sono state le più lacerate e, tra queste, le dilaniate sono state quelle che offrono momenti di felicità: le città turistiche.

Venezia in Italia è esemplare. In qualità di suo abitante e professionista dell’arte e del turismo ne posso sapere qualcosa. La città Serenissima è piombata in una spirale di tenebroso silenzio. Non quel malinconico languore novembrino ( che si estende fino a fine gennaio ) che è sempre stato il suo tipico volto della stagione “debole” riservata a solitari romantici ed intimistici poeti ed artisti d’ogni luogo che qui ritrovano il tempo perduto, o addolciscono le loro pene d’amore o d’ideali.
Questo silenzio è piuttosto quello della morte infettiva cruda clinica subdola. Come fu ai tempi della peste, quando strisciava, falciando, sui muri e lungo le calli.

Difronte alla morte ogni essere vivente ha l’istinto alla fuga, alla difesa sua e dei suoi simili.
L’uomo anche in questo è capace di fare eccezione. Ed infatti ecco che si scopre a Venezia, in particolare a Venezia, dove è più evidente e crudo l’effetto delle quarantene e della paura, un’originale popolazione umana che, tutto sommato, non vede in questo bastimento di morte che attracca ai moli lagunari, solamente il male.
Si tratta, per naturale osservazione, di una popolazione non dedita a lavori autonomi e non più tipici e caratteristici della città, bensì di quella parte che riceve un regolare stipendio.  

Ecco, questa bizzarra popolazione non ha alcuna remora nel chiamare il morbo come un cordiale affettuoso e sollecito addetto alle pulizie che rimuove da calli campielli e campi della città quelle presenze ingombranti rumorose e sudate denominate dal franco-anglofono: “turisti”. Questa popolazione non ha alcuna remora a manifestarlo pubblicamente. 

L’ideale terapeutico di ordine, pulizia, decoro che questa popolazione è convinta sia una manna per Venezia mi ricorda quello dell’eutanasia auspicato dagli ideologi nazisti o quello dei piani quinquennali stalinisti o maoisti ma non solo. Esso è talmente esente dal minimo sentimento d’empatia che induce a considerarlo sintomo di una degenerazione psicotica. È quindi beffardamente celebrato nei social che, come insegna l’esperimento di Milgram, ci rendono refrattari al prossimo e quindi del tutto sociopatici.  

Se invece volessimo semplicemente restare nell’alveo della storia e dell’antropologia urbana scopriremmo che Venezia nacque, si sviluppò e prosperò grazie ai traffici commerciali tra i quali, fin dalle antiche origini, era anche il turismo.

Quindi questa popolazione che vede il bene nella morte, nella morbosità, nella paura, nell’annichilimento delle abitudini più pacifiche e positive dell’umanità e rende note pubblicamente tali insulse convinzioni può considerarsi ottimisticamente imbecille; mentre pessimisticamente? 

Se volessimo essere pessimisti andremmo a vedere a quali reazioni di massa conduce la suddetta divulgazione per rimanere stupiti del fatto che essa non causa corali espressioni di ripugnanza, anzi, ottiene molteplici attestazioni di stima e solidarietà. 
Ciò perché il concetto di fondo, che è di una disumanità inaudita, è espresso in una forma positiva. Chi lo espone infatti vuole simboleggiare d’essere motivato dal suo grande amore ideale per la città ( che quindi è personificata come Bambi ) e distrae l’audience dai presupposti e dalle conseguenze che sono sottese nel pensiero così espresso. 

Ecco quindi spiegato il movente di questa mia dissertazione: anche gli imbecilli amano. 
Amano gli imbecilli che non sanno comprendere i significati sottesi da certi ingannevoli pensieri, amano gli imbecilli che non hanno consapevolezza della crudezza delle loro considerazioni, amano gli imbecilli che festeggiano, quando coloro che ostinatamente si ribellano contro la degenerazione del linguaggio, che è presupposto della degenerazione del pensiero, sono perseguiti od allontanati od esiliati e proprio a loro, che difendono il valore del saper riflettere, è negata la parola. 

erinni a perdere

Erinni a perdere.

Le cronache narrano del grande albergo-colonia per italiani freschi di boom, con la lavatrice il frigo e il moplen.
Esso fu edificato con gusto e nelle intenzioni che s’attagliano alle strutture del vicino blocco orientale ex-titino, per offrire economie di scala turistiche alle famigliole. Un lodevole intento di condurre all’esclusive spiagge lidensi anche i meno abbienti.

Un fabbricato in muratura la cui facciata sarebbe stata del tutto simile a quella dei casermoni popolari se non avesse accolto ameni balconi tutti ben orientati a occidente, al calar del sole ed uno scalone esterno degno di Wanda Osiris.
Un’opera godibile e ben collocata. Certo non all’altezza dell’architettura lidense tra fine ottocento e primi novecento. Accontentiamoci.

colonia inpdap lido venezia

Finiti i tempi delle presunte economie di scala, svelato invece il pesante pegno economico che richiede la sovvenzione di certe strutture, cambiate le abitudini delle famigliole, ora non più così indigenti e sempre meno numerose, il complesso cade in disgrazia.

Seguono anni d’incuria, indifferenza, abbandono che hanno favorito la germinazione d’installazioni pseudo-biennalistiche di barboni, sbandati, clandestini e tossicomani anche da fuori del paese, essendo il Lido e la Biennale, mete internazionali.
Nessun lamento si solleva dalle integerrime associazioni lidensi, tutte sull’attenti ad esclamar ‘gnorsì all’amministrazioni loro amiche.
“Tuto ben Sior Paron!” – mentre crescevano le discariche.

colonia inpdap lido venezia oggi

Ora, a rompere le uova del paniere elettorale giunge il dr. Luigi Brugnaro, una piccola folata d’aria nuova. Ecco che sei famiglie d’imprenditori costituiscono la ditta Aquarius srl con la quale finanziano edilizia innovativa. Individuano l’area e propongono un progetto di rilancio del turismo ambientalista.

aquarius lido di venezia

Propongono il recupero dello stabile ex-colonia inpdap e, verso il mare, la rimozione di strutture fatiscenti per sostituirle con altre in armonia con l’ambiente e con l’idea di far sperimentare al visitatore la realtà naturalistica delle dune del Lido.

La procedura amministrativa d’autorizzazione si svolge secondo quanto previsto da leggi e regolamenti. Quando i lavori sono sul punto di cominciare ecco che anzianotti ( non solo fisicamente ) presidenti di alcune associazioni veneziane si levano contro e alzano gli scudi.

alberoni lido venezia

Italia Nostra di Venezia e altre associazioni del Lido che si definiscono ambientaliste si oppongono all’inizio lavori. Picchetti, riunioni, striscioni, un bel video del professore che spiega i perché ed i percome… Tutto condivisibile!

ambientalisti alberoni lido

Siamo perfettamente d’accordo con il prof. Leonardo Filesi dell’Università IUAV di Venezia che la zona è interessata da una flora che va protetta; ma gli sfegatati ambientalisti sanno che il progetto nasce proprio per consentire al visitatore di apprezzare queste particolarità ambientali?

alberoni lido dune colonia inpdap

Sanno che, come si evince dalla foto di decenni fa, nell’area quella flora non era presente e che si è quindi formata in tempi recenti?
Sanno che quando i lavori saranno ultimati il lieve danneggiamento della flora insistente sarà presto compensato da nuova crescita perché nulla sarà rimosso?

alberoni dune lido venezia

Il grave ed irreparabile danno ai principi del buon ambientalismo all’idea di conservazione e tutela degli equilibri naturali e dei manufatti storici lo fanno tutti coloro che adoperano questi valori di grande importanza in azioni senza alcuna rilevanza se non addirittura del tutto insensate immotivate e deleterie per il territorio stesso e le popolazioni che lo abitano.

aquarius lido alberoni venezia

Il Lido di Venezia è estremamente antropizzato, fin troppo popolato di automobili rispetto al numero di abitanti. Bene sta facendo l’amministrazione a riportare in isola il servizio di trasporto pubblico con motricità elettrica. Decenni fa esisteva una linea di tram su rotaie.
La sensibilità verso l’ambiente è un equilibrio tra progresso e sviluppo in contesti urbanizzati e turistici come quelli del Lido di Venezia. Ecco di seguito quale sarà l’area dedicata agli impianti balneari di Aquarius sull’intera area delle dune.

aquarius lido alberoni

Potete apprezzare la collocazione di gazebo e di stand dei servizi balneari nel triangolo con i grafici arancioni, la casetta rettangolare di cemento sarà smantellata, è quella nel cerchio rosso.

In conclusione questa vicenda lascia perplessi sulle motivazioni di chi solleva queste proteste.
In generale s’evince una particolare degenerazione del compito di tutela che alcune associazioni stanno svolgendo in tutta Italia.
Le amministrazioni stanno progressivamente attuando riforme rivolte alla sensibilità ambientale indipendentemente dalle raccomandazioni ( lodevoli ) del terzo settore. Ciò priva di fatto queste ultime di buona parte del loro ruolo istituzionale.
Le conseguenze sono che alcune di queste associazioni, invece di ricercare nuovi e più ambiziosi scopi, si avvitano attorno a polemiche vacue, strumentali, se non proprio del tutto fuorvianti e diametralmente opposte ai loro stessi principi fondanti.

Per fare un esempio estremo mi riferisco alla vergognosa campagna antivaccinista di CODACONS, alla virulenza della polemica personalistica del suo Presidente nei confronti di specchiati scienziati. Mi riferisco alla più vicina e recente campagna di discredito ( condita d’abbondanti fake news ) attuata contro il progetto del Palais Lumière attuata da gruppi d’interesse ed associazioni veneziane.

Putroppo è ormai diffusa l’insulsa abitudine d’assumere posizioni oltranziste sulla base di slogan, semplici parole o argomenti del tutto infondati ma che hanno presa nell’immaginario collettivo, soprattutto quello degli sprovveduti o di chi agisce solo in base alla convenienza personale, coll’unico scopo d’ottenere attenzione mediatica e consenso verso gruppi od organizzazioni.
Dietro tutto ciò, purtroppo, c’è vuoto assoluto o peggio, desolante ignoranza e malafede che potrebbero portarci verso lidi tutt’altro che piacevoli.

orazione funebre per eros

Orazione funebre per Eros

Venezia, 15 febbraio 2015

Tocco ancora questi reperti della civiltà più che serena.
Ella, che nutriva generosa l’Arte Sua, d’innumeri Efesti.
Ella, Vagina odorante per lignei bastimenti, gremita di genii e reali prostitute.
Ella, sincretismo d’anime sante e perdute.
Ella, di pali conci e remenati, salubre ad Eros.
Culla! Talamo! Ricovero! Giovamento!
Ella, dominante il divino equilibrio tra il principe della solitudine e Thanatos, oltre il Franco Nano, il tramonto dell’ultimo sole repubblicano, i languori ottocenteschi, gli amabili deliri futuristi, il secolo crudele.
Ella, oggi, non può più…

Ella rimane reperto, testimonio afono, intraducibile, indefinibile.
Sola, nell’inutile, generico non silenzio, di precoci masse inconsapevoli, informate, ottuse.
Perisce, nel suo grembo, Eros:
sconcio alla globale stupidità;
lacero al maniaco svelamento;
tristo al compulsivo, febbricitante, logorio delle repliche;
vano al pubblico gratuitamente plaudente e ridanciano;
largo all’ignobile democraticità.

Eros giace senz’armi né croci.
Straziato da immensi, rigidi, frigoriferi galleggianti,
da cui non giunge voce ma pallidi lampeggianti.
Trascinato da marine correnti e invadenti, che inducono ossigeno al suo vital torpore, bruciando ogni cellula ch’era grata alla nausea d’amplesso ed al dolor inguinale post priapesco.

Eros giace sfinito dal political corretto;
affetto da una prostatite corrotta e clientelare;
sfigurato da cretinissime spacconate, d’ideologiche disavventure;
annichilito nell’invidia iconoclasta del mediocre erede, rincoglionito impotente defunto.

Eros:
inafferrabile eiaculatoria liberazione;
apotropaico sputo in faccia all’oblio;
semplice ed astratto;

Eros soccombe al disumano sforzo di vincere l’inevitabile esistenza, opponendo alla quotidianità spregevole e possibile l’eroicità nobile e impossibile.

mose umano venezia acqua alta marea

M.O.S.E. e l’umano

vivendo e lavorando a Venezia, nella zona di San Marco, sono in contatto reale e quotidiano con la secolare ( in ragione umana, plurimillenaria in ragione del tempo geologico ) questione delle inondazioni o alluvioni mareali della laguna veneta.

Nel vocabolario i termini “inondazione” e “alluvione” non sono riferiti all’azione delle maree. Quindi nemmeno la lingua italiana è in grado di definire quello che accade a Venezia. Ci aggiungo io l’aggettivo “mareale” onde precisare che si tratta di un fenomeno non del tutto eccezionale ma ricorrente nell’eterna periodicità di venti, correnti, pressione barimetrica, gravità lunare.

Sono quindi secoli che il mare ha il sopravvento nella laguna dell’uomo e si alza al di sopra delle zone che costui ha sottratto alle paludi ed alle barene per erigere la città. Se vi recate presso la Chiesa dei Frari troverete una tacca nel muro della chiesa con la data dell’agosto 1909. Una tacca che si trova ben oltre i fianchi di un uomo di altezza media. Quello non è stato il primo umido battesimo della città. Tra l’altro una marea eccezionale ad agosto è un fatto più singolare che raro.

mose umano venezia laguna acqua alta

L’eccezionalità dei livelli di marea in laguna risiede nella convergenza di quattro fattori: vento, pressione barometrica, gravità lunare. Il più importante tuttavia è il tempo. La permanenza nel tempo dei primi tre fattori è cruciale. Mentre la gravità lunare è una variabile costante con periodicità fissa, le altre due sono estremamente mutevoli nel tempo e fanno quindi la concreta differenza.

Venezia nel contemporaneo piagnisteo.

In un contesto “contemporaneo” potremmo sollevare aspre critiche contro gli amministratori che vollero erigere la città in un luogo tanto instabile ed insicuro, mettendo in pericolo la salubrità e la sicurezza della vita degli abitanti. Potremmo chiedere l’azione della magistratura contro quegli avidi che preferirono piantar milioni di pali ( a detrimento irrimediabile di aree boschive di territori colonizzati ) nella mota, piuttosto che ricercare un sedime più consono alle loro pietre.

Tuttavia tra quegli antichi e questi moderni ha giocato la storia e, forse, una differente mentalità che oggi ci rende degni della tagliente satira di Fruttero&Lucentini più che dell’acuta passione di John Ruskin. Eh si, perché quegli antichi osavano e di brutto.

Hanno osato piegare un equilibrio spontaneo alle loro esigenze residenziali, militari, economiche, cultuali, fino a farne luogo d’esibizione di prestigio ricchezza sfarzo potere, centro di riferimento d’una civiltà ed esempio per altre civiltà future, contesto per la nascita di nuove idee, per la coltivazione di nuove intelligenze e sapienze. Hanno trasformato una laguna semi paludosa in un parco artificiale, in una fantasmagorica scenografia.

Quando feci queste osservazioni a certi soloni veneziani, causai ad uno di questi un quasi-attacco-cardiaco. Restrizioni mentali? Visioni limitate? Forse, oppure incapacità di leggere la storia con semplicità e senza alcun filtro ideologico, ricercando il modo di mettersi “nei panni”, ponendo attenzione all’analisi del senso pratico e pragmatico dei fatti.

Allora, di quegli antichi veneti: nobili costruttori idraulici architetti capimastri tagliapietra falegnami manovali, pensate fossero dei santi? Avete quindi una visione disneyana della storia. Come dire: alla Bambi. Idealizzate il passato? Non capirete il presente.

Mi chiedo spesso cosa avrebbero fatto costoro se avessero conosciuto il cemento portland… altro che pietra d’Istria, altro che mattoni. Certo, avrebbero dato a quel cemento delle forme a noi impossibili da concepire.

Venezia piantata come una bricola.

Dalla caduta della Repubblica Serenissima nella laguna di Venezia non si è più costruita alcuna grande opera. A parte gli edifici delle case popolari e di culto sull’isola della Giudecca e di Sacca Fisola, o il palazzetto dello sport di Castello, esempi di pessima edilizia. Nulla di significativo escludendo le ville art nouveau e liberty del Lido.

Dopo la ripulsa del progetto di Le Corbousier, che negli anni sessanta aveva in mente un ospedale per la città, giunge la prima inondazione dell’era della luce elettrica ( per l’Italia ) e dei massmedia. La priorità è quindi quella di dare riscontro alla visibilità che quei fatti destavano.

Ottima occasione per dare energia alle italiche menti ingegnose. Si mobilitano le forze del paese in un appalto che sfocia nel “progettone”, lo Stato incarica gli esperti per trovare la quadra.

Il dopoguerra è un periodo che ancora oggi viviamo in questa penisola. Allora, nei settanta e negli ottanta, esso era ancor più pregnante. Nell’infanzia repubblicana, negli equilibri di potere di un paese in perenne crisi “border line”, nella già consueta mentalità individualista e poco civica dell’italiano ( si confondeva addirittura l’idea di patria ed il tricolore col fascismo, o la parola “democrazia” con la Democrazia Cristiana ), si consolida l’idea di finanziare la partitocrazia e non solo, col denaro delle imprese. Si persevera quindi nella logica corruttiva delle Pubbliche Amministrazioni come già era stato fin dai tempi della Prima Guerra Mondiale.

Il PROGETTONE!

Il “Progettone” diviene la mangiatoia per uno tra i peggiori esempi di malgoverno di questo paese. Si smuovono prima miliardi di lire e poi miliardi di euro. La logica commissariale, per una pretesa intenzione di rendere rapida la realizzazione dell’opera, favorisce l’arbitrio il nepotismo e la corruzione a fini personali ma anche a fini elettorali.

mose umano progettone venezia

Eh già, perché i voti del popolo si comprano. Poi il popolo s’indigna ma la coscienza sporca parte da lì. Nel 2014 scoppia il caso e scatta l’operazione delle forze dell’ordine. Ma non intendo scrivere di quest’immondizia.

Quel che m’interessa è l’evoluzione dell’idea del M.O.S.E. nell’immaginario popolare anche come alimentato dai mass media che con questo argomento contano di camparci almeno fin dopo l’Epifania 2022.

Il M.O.S.E. non funzionerà!!

Ormai da anni leggo questa litania. Certo, ci sarebbe da pensarci, essendo l’opera costruita in un contesto corruttivo gravissimo. La cosa infatti sarà cagione di problematiche tecniche perché, come dice il Marchese del Grillo: “Se me freghi qui me freghi su tutto…”

Tuttavia dobbiamo anche presumere che tra le mele marce vi siano anche mele sane e capaci ingegneri che, finita l’orgia, sappiano porre rimedio.
Si aggiunga poi che l’opera è unica al mondo e, per stessa definizione, sperimentale, quindi passibile di modifiche e perfezionamenti anche in corso d’opera o dopo l’ultimazione della stessa.
Queste riflessioni sono rigettate dalla gran massa che, maliziosa e maldisposta, è incapace di cogliere la complessità dei fatti, semplifica e riporta tutto alla propria meschina dimensione di portafoglio.

Il M.O.S.E. serve solo a chi lo fa!!

mose umano venezia nomose

L’opera è stata commissionata dallo Stato Italiano a numerose ditte appaltatrici e subappaltatrici. Se intendiamo che “chi lo fa” sia lo Stato l’affermazione è corretta, infatti l’opera serve alla salvaguardia di un patrimonio dello Stato Italiano ( quindi degli italiani ).
Se intendiamo invece, maliziosamente, che “chi lo fa” siano le imprese appaltatrici e subappaltatrici, dobbiamo armarci di prove sostanziali da produrre anche in Tribunale perché, io penso, ogni sano imprenditore difende la propria reputazione in ogni sede. Senza considerare che si ritorna alla litania precedente che “il M.O.S.E. non funzionerà”.

In verità si tratta di slogan propagandistici di alcune minoranze che adottano delle “lotte” al solo scopo di conseguire una visibilità per giustificare la propria esistenza. Guai se avessero costoro responsabilità operative, sarebbero sciagure.

Il M.O.S.E. costa troppo!!

Una delle affermazioni più stupide che si possano sentire. Il costo eccessivo sarebbe in ragione di cosa? In rapporto a cosa?
È un’affermazione categorica ed assoluta che non ha alcun senso. Il costo ed il valore di ogni cosa va sempre stabilito in rapporto ad altre.

Quale sarebbe il costo per NON aver realizzato quest’opera? Come si potrebbe quantificare questo costo nel tempo?
Venezia è esposta alle maree eccezionali fin dalla sua nascita ed in passato gli abitanti hanno cercato di porre rimedio in molti modi tra i quali spesso vi era quello di alzare le rive, abbattere i palazzi e le case e ricostruirle più sollevate rispetto al livello della marea.

Non è concepibile l’idea di abdicare, di non contrastare queste alluvioni mareali e di rassegnarsi allo stivale di gomma. Non lo è, perché non lo è per la storia e la cultura della città di Venezia, propensa alla lotta per la risoluzione di problemi impossibili tipo: come costruire una cattedrale sul fango?
Venezia infatti è città consona a mercanti, condottieri, artigiani, artisti; non ad insulsi pedanti e paraculi professoroni.

Se non è così pare proprio che i tempi che viviamo sono quelli delle pecore, non certo dei leoni. Pecore belanti lagnose menagrame fataliste ma anche zeppe di malignità.

Il M.O.S.E. fino’ra ha assorbito 5,5 miliardi di euro, costerà circa 100 milioni di euro all’anno di manutenzione e sarà operativo per almeno 100 anni.
La spesa totale a fine vita dovrà quindi essere di 11 miliardi di euro.

11 miliardi di euro diviso 100 anni e diviso 60 milioni di persone ( popolazione italiana ), significa che il M.O.S.E. incide per 1,8 euro a persona all’anno per i prossimi cento anni. Un caffé all’anno per ogni cittadino italiano.

Gli italiani possono permettersi di pagare un caffé all’anno per 100 anni per avere la certezza che Venezia non sia inondata dalle maree eccezionali? Per dare finalmente questa dignità a questi luoghi che tutti dichiarano di amare incondizionatamente?

Complottismo e stampa sul M.O.S.E.

Oggi su quest’opera insistono i pregiudizi e le teorie complottiste più comuni, tipiche della nostra epoca dei social. Pochi o nessuno che abbia intenzione d’avvicinarsi alla questione senza filtri ideologici o con il desiderio d’apprendere qualcosa delle questioni tecniche ed ambientali che essa ha dovuto affrontare.

Il M.O.S.E è criminalizzato perché associato ai deprecati fatti corruttivi ma è come se dicessimo “cattivo” al tavolo perché ci abbiamo sbattuto contro col ginocchio.

La stampa poi sta seguendo la pancia della gente nel modo più scandaloso, alimentando sospetto e sfiducia fomentando e giocando sugli equivoci e le mezze verità. Perché? Perché vende!! Fa ascolto! La carta stampata vive una crisi infelice e drastica, per quadrare i conti deve sfruttare ogni opportunità e queste giungono numerose quando si punta sulla massa, la moltidudine da colosseo, quella del panem et circenses. Che poi qual è il problema? Il M.O.S.E. non è nemmeno una persona, non può certo ritenersi calunniata. Un bersaglio perfetto.

Qui la parola all’esperto ing. Giovanni Cecconi, per 30 anni al lavoro nella sala operativa del M.O.S.E.

Un confronto universale.

Immaginiamo che questa gran massa di lagnosi che oggi pare ci stiano accerchiando da ogni parte, sempre pronti ad indignarsi e ad avere sentenze e soluzioni nelle loro piccole tasche, fosse stata l’opinione pubblica attiva negli Stati Uniti alla fine degli anni sessanta del secolo scorso.

Allora John Fitzgerald Kennedy parlava di traguardi difficili che dovevano essere perseguiti proprio perché difficili e la gente si eccitava. La NASA, fondata nel 1958, esisteva per portare l’uomo nello spazio, miliardi vennero stanziati. Altri miliardi di dollari di allora vennero stanziati per la conquista della Luna. Nel 1967 tre uomini morirono bruciati nella capsula Apollo, seguirono altri incidenti altre vittime.

mose umano venezia apollo 1 1967

Se la gente di allora fosse stata quella di oggi di Venezia? Dove saremmo andati? Forse a Marcon, altro che Luna.

mose umano challenger 1986

Non posso provare che disprezzo per coloro che rinunciano che si lagnano che pensano solamente al loro piccolo orticello e pretendono che tutto il mondo debba adeguarsi alla loro ristrettezza.

Il M.O.S.E. non lo dobbiamo a quei veneziani, lo dobbiamo agli antichi veneziani ed a quelli, in tutto il mondo ed a Venezia, che hanno ancora la capacità di avere una visione di considerare il nostro progresso come la continuazione della storia dell’uomo e non la sua annichilazione.

Per approfondire: https://www.mosevenezia.eu/


Dissertazione#2 la vis immaginativa di Mario Eremita

Dissertazione #2 – la vis creativa di Mario Eremita.

In tanti anni di attività dedicata alla divulgazione dell’arte figurativa ho conosciuto il variegato e contraddittorio mondo dell’arte contemporanea italiana.

Sono rimasto a volte deluso dalla volubile attenzione delle istituzioni pubbliche e private nei riguardi degli artisti, volubilità giustificata ma non sempre, dall’ormai diffusa abitudine alla mediocrità di questi.

Arduo per chi segue il mondo delle arti è possedere il terzo occhio che, come diceva qualcuno, consente la pratica più difficile: “saper vedere”.

La mostra alla National Art Gallery – Museo Nazionale dell’Arte Figurativa Bulgara di Sofia, dedicata a Mario Eremita, si pone all’attenzione dell’interesse del pubblico e provoca, come sempre, intensa riflessione ed il piacere dei più colti nel voler sondare colla propria mente allenata, le misteriose vie dell’immaginazione.
L’attenzione dei mass-media bulgari è stata significativa e le interviste all’artista sono state trasmesse dalle radio e dalle televisioni nazionali ed internazionali. Personalmente, ho potuto apprezzare un perfetto equilibrio tra il risalto dell’evento, fornito anche dalla collocazione nella sede della Galleria Nazionale e dalla mobilitazione di autorevoli personalità della politica bulgara ed italiana e l’intrinseca validità e pregnanza delle opere esposte, cosa eminentemente rara, quando si tratta di “arte contemporanea”; e questo è presto verificato.

L’opera di Eremita infatti ha un’origine del tutto nuova; la pittura di questo grande artista non è facilmente inquadrabile e mette in difficoltà anche il più esperto critico e studioso.
Soprattutto in questi tempi in cui la specializzazione e la parcellizzazione delle mansioni è dilagata anche nel mondo dell’arte, selezionando autori che si cimentano ( per ovvi e disgraziati ostacoli attitudinali ) in limitatissimi ambiti e che si qualificano con asfittica od insulsa immaginazione.

Le tavole di Eremita stabiliscono una nuova forma di fare pittura, sono una pietra miliare: esse sono valori estetici elaborati per una nuova forma d’arte cui, per maggioranza degli artisti e dei critici occidentali è estremamente difficile accostarsi per imperizia; solamente autorevoli nomi della critica ne hanno toccato alcuni nodi fondamentali.

Ogni dipinto, ogni scultura di Eremita meriterebbe un saggio per spiegare di quanto talento bisogna essere dotati per trasformare il colore in sinfonia di luci ed ombre, per rendere una mano, un braccio, un corpo, leggero ed evanescente come il fumo ma più vivo della stessa carne per riprodurre un corpo con un segno e, con un segno, un intero corpo e, con la posa di un corpo un significato universale, per infondere in un gesto non solo la forzaquella posa non solo la forza vitale ma anche la tensione drammatica data dalla ragione, dalla psiche, dall’esperienza sociale.

L’artista è in grado di dirigere il complesso tonale dei colori con la stessa dolorosa grazia di Beethoven e, nella secca articolazione grafica della china, apporta i medesimi fragorosi e ironici climax degni di Rossini piegandola ed ammorbidendola al suo volere; ecco vedete, più che con altra pittura il paragone risulta più semplice con la musica.

Questi linguaggi, d’imbarazzante semplicità per il genio, spesso, come la storia insegna, restano incompresi per lungo tempo e ciò è di conforto all’artista.

Ebbene, per ritrovare in Italia artisti paragonabili al talento tecnico di Mario Eremita bisogna andare indietro nel tempo.

Molti esperti, osservando i dipinti, credono che essi vogliano rilanciare una sorta di nuovo rinascimento; costoro s’ingannano: semplicemente perché non possono riscontrare una pittura così competente, autorevole, elaborata, complessa e raffinata se non facendo riferimento alla pittura antica.

In realtà la pittura di Eremita dal punto di vista storico è estremamente attuale e, dal punto di vista estetico, estremamente contemporanea, esattamente come la migliore pittura rinascimentale o meglio come la migliore pittura d’ogni epoca.

Entra quindi in gioco anche l’aspetto contenutistico. L’arte di Eremita è quindi cosa seria, non vi sono rilassamenti o abbandoni a fantasie vacue. Essa non è avvilita dalla quotidianità ma persegue uno scopo: lasciare un segno, una sensazione alla posterità con linguaggio universale; e mantenere il dono della grazia creativa fermo nei binari di questa, quasi ascetica, missione.

Nella poetica e nella Weltanschauung di Eremita è centrale la condizione umana. L’umanità è riflessa come ad uno specchio che ne svela implacabile luci ed ombre, vette e baratri orrendi. Eremita intrattiene un delicato e sottile dialogo con Goya e trasmuta il suo messaggio de “il sonno della ragione genera mostri”.

allegoria

Quella testimonianza introduce tematiche articolate, basate sull’ancestrale corruzione dell’umana specie che pare naturalmente predisposta al male, alla distruzione, alla fobia. Mario Eremita rappresenta l’umano genere sempre dinamicamente teso e sospinto, evidentemente graziato dal dono delle grandiose potenzialità benefiche della capacità del pensiero astratto, dono tale da renderlo quasi trasparente ma al contempo lo rappresenta che, infante, inizia se medesimo alla violenza.

Lo rappresenta quindi cavo decerebrato mutilato accecato frustrato, annichilito nelle sue potenzialità, fino a trasformarne il corpo in essere mostruoso, orrido, strabordante di grasso corrotto o essiccato da brezza salsa e acida, densa d’odio e rancore.

La pittura si fa quindi simbolica ma il simbolismo è astratto e diviene messaggio di una potenza universale totalizzante. Simbolo dell’umana specie è la donna; il cavallo espressione della macchina del progresso diabolico della guerra del potere arrogante dell’apocalisse cui l’uomo va certo incontro se non s’oppone.

La natura è presente: è il vacuo, l’atmosfera plumbea o siderale. È la natura matrigna che getta l’uomo nel mondo e lo abbandona alla sua folle corsa verso il baratro, è la maternità lacerata che presenta il proprio figlio, è il “memento mori” il monito che opprime ed esalta: “ricordati che sei qui provvisoriamente”.

Questi sono solo alcuni aspetti simbolici, una rapida carrellata. Da questa sconcertante raccolta di significati emerge ad una prima lettura una visione se non pessimistica addirittura disperata della condizione umana ma questa lettura non è esaustiva.

Osservate meglio: le figure che galleggiano o volano o precipitano o ristanno sono a volte orrende, paurose, inquietanti ma mai brutte; in loro l’artista infonde, grazie alla sua divina tecnica, una profonda carica sensuale od un potente istinto erotico; questo, fondendosi alla plasticità dinamica già descritta, crea nello spettatore un senso di sgomento e di grande suggestione emotiva che spesso da luogo a manifestazioni di grave commozione, fino al pianto.

Consapevolmente o meno, si resta colpiti da questi dipinti; ma se siamo onesti con noi stessi il nostro non è un senso di paura, di rifiuto: ciò che fa vibrare la nostra sensibilità è il fatto che queste figure entrano in contatto empatico con noi e ci trasmettono un messaggio di speranza.

Tale messaggio penetra profondo proprio perché proviene dalle insondabili profondità ancestrali, osservando queste figure noi ci affacciamo su queste profondità e ne siamo attratti, affascinati. Esse ci chiamano, ci invitano, vorrebbero che noi comprendessimo; esse indicano che è possibile per tutti noi il riscatto; che è possibile che la ragione prevalga.

Questa ragione può sopraffarre il proprio sonno solamente se si abbandona alle più genuine peculiarità umane: l’arte, la musica, la danza, l’eros, la sensualità, il piacere sensuale, l’immaginazione.

Solamente se siamo convinti della necessità di questo messaggio possiamo accogliere senza dissidio le figure di Mario Eremita come compagni di un’esistenza vissuta con gli occhi aperti della consapevolezza.

Infine, essendo le opere dell’artista più confacenti ad un approccio multidisciplinare è importante fornire dei riferimenti letterari. La poesia contemporanea del nostro paese: Tonino Guerra, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti sono, per Mario Eremita, i principali riferimenti culturali.

artisti sciacalli intellettuali venezia biennale arte

Dissertazione#41 artisti… sciacalli… intellettuali…

artisti sciacalli intellettuali

Nella foto qui sopra potete ammirare l’imbarcazione posta alla Biennale di Venezia, in memoria di 800 migranti, profughi e clandestini, in balia dei loro scafisti ( dai gazzettieri militanti definiti “comandanti” ), i quali, dopo aver intascato ingenti somme per il servizio li fanno affogare atrocemente, chiusi nella pancia della nave come topi in trappola, il 18 aprile 2015.

Potrei confrontare questa “installazione” con i vari teschi e scheletri che, nelle città antiche e nelle logge delle chiese avvisavano i passanti: “Ricordati che devi morire!”
Più recentemente un bravo attore partenopeo rispose a tali moniti con: “eh si, mo me lo segno…”

Purtroppo molti nel “settore” sono rimasti ancora attaccati al cesso di Duchamp e da quello hanno iniziato a sparlare di ( artecontemporanea ), oggi in buona parte ( ma non del tutto ) megadiscarica per giovanotti ben foraggiati.

L’arte è il suo tempo e questo è un tempo ostile all’artista che fa di sua vita l’opera d’arte.

Questo è il tempo delle trovate, come fu per il Barocco o il Rococò ma quelli lo fecero in modo infinitamente eccelso.
Oggi s’affabula l’audience delle masse ( non il piacere della Corte ).

Degli artisti, tutto sommato, non frega nulla a nessuno. Quindi servono trovate che siano afferenti a questioni molto dibattute sui media, che abbiano una forte presa emotiva, soprattutto nei “casi pubblici” come la Biennale, di forte rinomanza ed attrattiva.

Nulla di troppo diverso, sul piano formale, da quello che furono le questioni religiose che gli artisti dovettero trattare in passato, per mangiare un piatto di fagioli. Anche se siamo, sul piano sostanziale, lontani milioni di anni luce.

Il grande bias cognitivo in cui cadono le persone “normali”, distanti dall’universo di colui che è condannato artista, è di credere quel professionista investito di ruolo etico-moralistico e che questo sia il compito che fonda l’agire nelle arti.

Invece l’artista non ha alcuna priorità morale o etica, al più un obbligo estetico performativo, altrimenti ogni sua deiezione ( oggetto o prodotto artistico ) dovrebbe sottostare a questo galeotto contratto.

Per correre ai ripari dalla funesta attitudine dell’arte d’esser scevra d’etica o morale, le egemonie economico-culturali fanno ricorso all’intellettuale organico. Sì facendo castrano la definizione del temine “artista”, inteso come sopra e lo accomodano per prassi ed eleganza modaiola, nei limiti del senso diminuitivo-vezzeggiativo.

Egli quindi non è artista ma intellettuale organico che, in base ad accordi politico-amministrativi, assume un contegno moralistico, fantasticando sul “tema” proposto e sul quale, fatalmente, convergono investimenti in danaro sonante ( qui siamo nell’ordine dei 9,6 milioni di euro ); “tema” che ora è quello del fenomeno delle migrazioni più o meno clandestine.

Neppure serve oggidì un’anche solo parziale adesione al “tema”. Essendo sufficiente una visitazione dello stesso al modo della firma, del nome, della presenza. È l’apoteosi del gesto che, glorificando opprime il senso di una vita trascorsa col giogo artistico. La gesture che si tramuta in beffardo svolazzo, una cinica esternazione del concetto che il mondo è dei furbi e dei ruffiani. Neppure serve quindi, alcuno sforzo “creativo” in cui l’intellettuale organico, vezzeggiato coll’epiteto d’artista, debba cimentarsi al fine di dare una determinazione “decor” al “tema”.

Lo sforzo è visto ormai malamente quasi fosse prova d’inettitudine, essendo invece determinante un’astratta etimologia che conduca l’atto del fare all’ozioso opinare.

Ci aggiriamo in territori aridi in cui imperversano feroci sciacalli col naso umido e sempre al vento, pronto ad intercettare le tendenze.

Questa “deposizione” che vediamo alla Biennale altro non è che un’elementare puntualizzazione gestita da supponenti parti politiche, al solo scopo di sollecitare una presunta sensibilità.

Tuttavia, essendo in totale ridondanza col contesto sociale, che non ammette tali sciagure e atti criminali ( scafisti ), non ne è complice e le contrasta nei limiti del possibile, ad una lettura meno immediata potrebbe suscitare l’idea del monito sopra accennato. Questo monito, di sussiego del tutto subliminale, avrebbe l’intento d’alimentare, nel subconscio del cittadino, quella sorta di sacra soggezione o di monacale contegno che favorisce una società conformista.

Indizi di questo intento si riscontrano anche nell’uso generoso di acronimi in molti aspetti pubblici delle arti. Musei enti ed eventi sempre più spesso ridotti a sequenze di lettere maiuscole puntate, che hanno la funzione di referenziare ogni qualsivoglia contenuto dandovi un’aura istituzionalizzata.

Ciò detto, traiamo le conclusioni. Oggi si celebrano questi morti ma si trascura che si muore comunque e che vi sono mille ragioni per cui si può morire. Ci perdiamo i significati e ci teniamo i significanti. Questa surroga è dirompente perché distorsiva, annienta il vasto e multicolore territorio della retorica, dal quale gli artisti ( diminuiti e vezzeggiati ) sono tenuti alla larga.

Quale potrà mai essere a questo punto, una buona morte?
Una morte degna di essere glorificata e portata ad esempio?

Se non esiste alcuna possibilità di risposta, questa “deposizione” è solamente un monito: ricorda che devi morire o, tutt’al più un esorcismo contro una fine orrenda claustrofobica e buia.
Forse, ad esser cinici, un monumento a chi, nonostante tutto, riesce ancora oggi a realizzare delle tragedie tanto efficaci sul piano della fiction, un elogio al santo contrabbandiere di carne umana, al sacro avvoltoio che profitta dell’ambizione di chi ha quattro soldi da gettare assieme alla propria vita per inseguire il mito dell’occidente europeo.

Mai un imprenditore suicida potrebbe assurgere a tale pathos, non c’è eguaglianza nelle tragedie ma solo l’opportunismo della cronaca.

poeta fuorilegge venezia melis antonio

Dissertazione#44 poeta fuorilegge! E sia!!

Estate 2012: no, Venezia pare proprio non essere una località adatta agli artisti, non più; magari un tempo; ma oggi non più. Antonio Melis, poeta, regala i suoi componimenti alla gente; in cambio s’aspetta un’offerta per tirare avanti. Questo non piace. No!

Perchè è una libera e spregiudicata affermazione del libero pensiero, in cambio di una mancetta per un caffè, una pizza, un paio di scarpe usate.

La profonda potenza destabilizzante e sovversiva dell’agire nella legalità con scopi elevati senza alcun patrocinio, senza alcuna ratificazione ufficiale, senza alcuna consacrazione al pubblico si mostra in tutta la sua luce in questo fatto che sembra banale. Antonio Melis non è in linea con ciò che si possa tollerare anche perché è assolutamente lecito.

poeta fuorilegge venezia antonio melis

come uccidere gli artisti

Dissertazione#40 come uccidere gli artisti

Nel corso della terza parte della mia vita, quella vissuta tra le rovine della Civiltà Anfibia, ho conosciuto gli aspetti più truci e amari della società umana. Quelli che, nelle periferie della gioventù e delle amabili provincie venete, magari non giungono con tutta la loro crudezza.

Vi fu a Venezia il poeta Mario Stefani, che scelse d’affrettare quel fausto processo di restituzione del maltolto agli elementi, che consente la prosecuzione del fenomeno vitale. Lo fece per crisi? O per lucida ragione?

Capita spesso che, agli individui che fan della loro vita un’opera d’arte, rivolti così spietatamente alla verità delle cose, s’attagli un precoce trapasso; indotto od autoprocurato che sia. Poi la comunità elabora.

uccidere gli artisti venezia mario stefani

Questa targa è stata affissa solo nel 2011 ( dieci anni dopo ) per interessamento del prof. Pietro Bortoluzzi della Municipalità di Venezia dopo ben dieci anni di richieste ed un procedimento burocratico degno solamente della cara Russia di Stalin, passando per le amministrazioni Costa, Cacciari, Orsoni.

Alla celebrazione dell’Anniversario del trapasso del poeta dr. Mario Stefani non era presente nessun rappresentante ufficiale della Giunta di Venezia ( Giunta Orsoni, già ben nota per motivi giudiziari ) e questo per me è stato un bene: forse si son vergognati?
Non credo proprio…

Quei tristi fatti amministrativi ci ricordano sempre che l’artista va ucciso, ucciso sempre e possibilimente in modi diversi e subdoli. Le amministrazioni pubbliche di un paese che è miniera dell’arte, chissà perché, devono avere questo misero primato con gli artisti. Potrebbe essere l’incredulità cinica di chi ha la stolta convinzione che gli artisti sian già tutti morti, o sian ben altrove e mai proprio davanti al loro naso.

Amare è scontato ed è anche un’azione involontaria nell’animo del poeta e dell’artista. Amare inutilmente accade quando non si è compresi.
Stefani richiama le parole di Pasolini che disse che si è soli quando non si è compresi. Stefani parla d’un amore che non è quello del 14 febbraio, non è un amore carnale. Stefani in questo aforisma non è intimista ma universale, si rivolge agli altri, all’universalità.

È per questo che gli artisti e i poeti son immortali…

L’inutilità dell’amore non ha nulla a che fare con un rapporto “DARE AVERE”, non si tratta di un bilancio ma del fatto che la propria involontaria natura d’artista e poeta si scontra con la dura realtà universale che può essere lontana e avulsa tanto da non capire da non cogliere…

Non è detto che ciò abbia un significato negativo.
La semplice constatazione della realtà quale essa è, conforta il pensatore che, in tal modo, raggiunge uno stato d’illuminazione e conoscenza superiore. Egli sa cosa sia la Solitudine a differenza di molti che non sanno e vivono nel terrore dell’ignoto.

È per questo che gli artisti e i poeti son illuminati.

uccidere artisti mario stefani venezia

Quindi questo aforisma di Mario Stefani è un inno alla gioia, alla gioia di riconoscersi soli, di riconoscere la propria fortuna d’esser nato con quella naturale predisposizione che ti rende immortale e illuminato; consapevole, con gli occhi spalancati sulle pendici verticali dell’autocoscienza.

Gli artisti han sempre avuto questa grande marcia in più, questa indivisibile ricchezza, questa profonda, inspiegabile risorsa.

Col tempo gli umani hanno imparato ad ignorarla e magari a sminuirla o a sbeffeggiarla, un modo come un altro per combattere i morsi dell’invidia.

Mario Stefani avrebbe gradito sentirsi definire “Poeta Veneziano” poiché considerava Venezia un continente o forse un universo al quale era attaccato il resto del mondo.